Capitolo 19

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Quando mi risvegliai il sole stava ormai tramontando e il cielo era colorato di sfumature rosse e arancioni.
Mi stropicciai gli occhi e stiracchiai la schiena. Quando mi misi a sedere sentii un fruscio sotto la mia testa. Guardai sotto il cuscino e vi trovai un foglio di carta piegato.
Una lettera.
La aprii con il cuore in gola e cominciai a leggere.

Partiamo dal presupposto che io non sono capace di scrivere, soprattutto di scrivere lettere in cui devo parlare di me. In questo momento tu sei arrabbiata e non ti fidi di me, ma ti prego di non strappare questo foglio almeno finché non lo avrai letto tutto.
Sono venuto a New Orleans con i miei nonni, per visitare la città e darle un'occhiata prima di trasferirmi qui all'università. Il primo giorno di visita ero fuori da un bar con un ragazzo del posto che mi stava dando indicazioni. Non avevo idea di dove dovevo andare per incontrarmi con quella comitiva di vecchi e bambini. Capirai che mi annoiava solo a pensarci l'idea di essere l'unico ragazzo. Ad un certo punto una ragazza mi finisce addosso. Mi volto a guardarla e dentro di me sento il fuoco. È bellissima. Peccato che il mio orgoglio sia grande quanto una casa, e invece che aiutarla a rialzarsi la prendo in giro.
Neanche a farlo apposta, quella ragazza è la guida della mia comitiva. Dentro di me continuo a pensare a un modo per attaccare bottone, ad una scusa per parlarle, ma quando mi si avvicina tutto ciò che riesco a fare è mostrarmi scocciato. Non so perché ho reagito così, non mi era mai capitato prima. Sono sempre stato molto disinvolto con le ragazze, forse perché non me ne era mai importato niente di loro. Ascolto ogni singola parola che esce dalla sua bocca, senza farmi vedere interessato, e osservo ogni suo minimo comportamento. Quando è nervosa si passa una mano tra i capelli, quando è divertita arriccia il naso, mentre quando pensa si mette a posto gli occhiali.
Quando finisce il giro e se ne va, continuo a pensare a lei per tutta la sera. Non era normale, perché pensavo a lei? Doveva uscire dalla mia testa. Dopo cena vado a fare una passeggiata per schiarirmi le idee, finché entro in un bar. Avevo bisogno di bere, bere e non pensare. Ordino un whisky, che poi si tramuta in due whisky e che poi diventano quattro. Vado in bagno, con la testa che mi gira, e quando esco me la trovo davanti. Non riesco a darmi altra spiegazione se non che ho le allucinazioni. Non so cosa mi ha spinto a parlare, perché all'inizio la mia idea era di far finta di niente e sgattaiolare fuori dal locale senza farmi vedere. Ma il mio istinto, mescolato con l'alcool, cerca di attirare la sua attenzione, e mi ritrovo così, nuovamente a risponderle seccato. Quanto eri bella quella sera, nonostante fosse palese che avessi bevuto. Poi ho un vuoto.
Ho sempre sofferto di attacchi di rabbia, fin dall'asilo io sono stato il bambino che veniva chiamato nell'ufficio del preside perché aveva scatenato una rissa. Non è divertente...senti un formicolio alle mani e la rabbia crescere sempre di più, finché l'istinto prevale sulla ragione e si impossessa di te. Non ricordo una sola delle mie risse, perché è come se fosse un altro a combatterle al posto mio. Io non sono nel mio corpo in quel momento.
L'unica cosa che ricordo di quella sera è che mi sono ritrovato a due centimetri dalla tua faccia, e preso alla sprovvista me ne sono andato urlando.
I giorni seguenti ho deciso di avere un comportamento più civile, ma avevo notato che stuzzicarti un po' ti faceva innervosire e la situazione mi divertiva. Anche perché più ti facevo arrabbiare, più tu mi davi attenzione. Poi ti ho vista con quel ragazzo al concerto e il mondo mi è crollato addosso. Eppure non vi comportavate da fidanzati, oppure me ne sono convinto io per darmi una speranza in più. Quindi il giorno dopo ho voluto provare a chiederti di uscire, un semplice caffè. Mi sono preparato il discorso per tutto il pomeriggio, ma quando sono arrivato davanti a te le parole mi sono morte nel cervello. Sei così semplice mentre metti via le radioline. Lo fai in un modo grazioso.
Il tuo rifiuto mi ha spezzato in due, poi c'è solo buio.
Il giorno dopo lo ricordo in modo molto confuso. Ricordo che eravamo al mare, che ti ho portata di peso in acqua e abbiamo scherzato tutto il tempo. Ricordo che ti ho chiesto di nuovo di uscire e tu hai rifiutato di nuovo. Poi mi hai detto che era uno scherzo e in quel momento l'altro si stava cominciando ad impossessare di me, soprattutto quando Thomas si è messo in mezzo, ma quando ho visto la tua espressione sconvolta, sono tornato in me. Avevo paura di spaventarti, non volevo che mi credessi un mostro. Ma quando ho saputo fermarmi era troppo tardi, e te ne sei andata.
Tornando verso l'hotel mi stavo maledicendo per il mio comportamento. Senza pensarci mi sono girato e sono venuto a cercarti, cercando di immaginare che strada avevi fatto. Quando c'è stata la prima scossa, non riuscivo a pensare. Ho abbassato lo sguardo sulle mie gambe e mi sono reso conto che stavo correndo, e non sapevo neanche dove, finché ho alzato lo sguardo e ti ho vista.
Da quel momento non ho pensato ad altro che a te, al fatto che dovevo proteggerti e che se ti fosse successo qualcosa...non me lo sarei mai potuto perdonare. Ogni singolo momento in quel rifugio, ogni mia azione era fatta pensando a te. Non capivo il mio comportamento, il mio costante bisogno di averti accanto, la mia paura di svegliarmi e non trovarti vicino a me. Non capivo l'odio insensato che provavo per Thomas, finché non ci siamo imbattuti in quei quattro delinquenti. Per la prima volta sapevo cosa stavo facendo mentre picchiavo quel ragazzo. Perché non ero spinto dalla rabbia cieca, ma dalla paura che anche solo ti toccassero. Ho pensato, ho riflettuto tanto da quel momento. Quando stavi con me mi sentivo bene, quando non c'eri, anche solo per andare in bagno, mi sentivo vuoto. Non avevo intenzione di mentire a me stesso ancora, era chiaro che tu mi piacessi. Ma tu avevi occhi solo per Thomas, chiedevi sempre di lui, e per me era sempre più difficile starti lontano. Sentivo un'attrazione nei tuoi confronti che mi faceva quasi male. Dovevo baciarti, ne avevo un fottuto bisogno, e quando mi hai detto che Thomas è gay...non sono riuscito a trattenermi. Quel bacio fu...non riesco neanche a descriverlo perché è stato un turbinio di emozioni. Ho fatto una fatica assurda a staccarmi da te, e quando l'ho fatto avevo bisogno di averne un altro, e un altro ancora. Alla prima occasione infatti ti sono saltato addosso. Cazzo, mi sono dovuto fermare perché mi stavo eccitando solo a baciarti.
Quello che è successo dopo è un errore mio. È la prima volta che mi innamoro, e mi sono fatto prendere dal panico. E se tu non ricambiavi? E se ti avessi fatto del male? Non sapevo cosa fare.
Lo so che ho sbagliato, ma non ho mai minimamente pensato di usarti come un giocattolo. Quello che faccio, nel bene o nel male, lo faccio solo per te. E per me. Perché io e te, abbiamo qualcosa. Non lo so cosa, ma siamo legati in qualche modo.
Io ho pianto per te, lo sai che non avevo mai pianto per nessuno?
Insomma, se non ti fidi di me, lo posso capire, ma voglio chiederti di darmi una seconda occasione. Dammi la possibilità di rimediare ai miei errori e di renderti felice. Ti prego, pensaci.
Io ti aspetterò su quella maledetta panchina dove tutto è andato a puttane.
Brad.

Con le lacrime agli occhi finii di leggere quella meravigliosa lettera, che aveva spazzato via ogni mio dubbio. La rilessi un'altra volta, soffermandomi maggiormente sulle parti che mi avevano fatto più effetto.
Chiusi gli occhi e lasciai che le lacrime calde cadessero lungo le mie guance.
Gli avrei dato quella possibilità, dopo una confessione del genere se la meritava. Chissà quanto si era impegnato per scrivere quella lettera. Asciugai le lacrime, mi alzai dalla brandina e mi diressi verso quella panchina.

Raggiunsi il punto in cui mi stava aspettando e lui era lì, che guardava ossessivamente in giro, passandosi le mani tra i capelli. Poi il suo sguardo cadde su di me.

Uragano CooperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora