Capitolo 8

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Mi prese per mano e mi portò nel letto. Ci sedemmo entrambi. Era una situazione strana, e non riuscivo a parlare. Volevo tornare tra le sue braccia, volevo che mi accarezzasse e mi dicesse ancora che sarebbe andato tutto bene. Quando ero nel suo abbraccio mi sentivo più forte, sentivo che ero al sicuro, nonostante la situazione disastrosa in cui ci trovavamo.
Non sapevo quanto quel rifugio fosse al sicuro, quanto forte fosse quell'uragano (anche se a vederlo sembrava molto potente), e quanto sarebbe durata questa situazione.
Lo guardai negli occhi con uno sguardo implorante, e ricominciai per l'ennesima volta a piangere.
"Cosa ne sarà della mia famiglia?" Gli chiesi tra i singhiozzi.
Lui esitò nella risposta, ma quando vide il terrore invadere i miei occhi, mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo.
"Ehi, andrà tutto bene. Si saranno sicuramente messi al riparo." Mi disse, massaggiandomi la guancia con il pollice.

Si distese nel letto e mi attirò a se. Mi distesi accanto a lui e appoggiai la testa sul suo petto. Potevo sentire i suoi pettorali tesi per la paura.
"Sarà qui a momenti" disse cingendomi con il braccio destro il fianco, in modo da avvicinarmi ancora di più. "Dobbiamo solo aspettare" concluse.
"Brad, ho paura" dissi piangendo.
"Ehi, ci sono qui io con te. Andrà tutto bene, siamo in un posto sicuro" Mi diede un bacio sulla testa. "Dobbiamo solo stare qui, e aspettare che passi" continuò.
"Comunque, mi hai chiamato Brad, ti sei accorta?" Disse sorridendo.
Arrossii leggermente. Quella situazione ci aveva portato ad un comportamento meno distaccato del solito, e ora che cominciavo a calmarmi, la pancia cominciò a farmi quel solito dolore piacevole.
"Scusa" dissi sottovoce, appoggiando la mano sinistra sul suo petto.
"E di cosa? Mi piace che mi chiami così" rispose, sorridendo immagino. Non lo vedevo in faccia, visto che avevo la guancia appoggiata al suo petto.

Erano passati dieci minuti da quando eravamo arrivati e non era successo niente. Lo trovai molto strano. Pensai che forse aveva cambiato direzione, che forse per qualche miracolo del cielo era svanito e noi saremmo potuti uscire come se nulla fosse.

Con questi pensieri in testa, stavo per addormentarmi, quando sentii la terra cominciare a tremare, molto più forte delle volte precedenti. Bradley si tirò a sedere sul letto e appoggiò la schiena al muro. Aspettò che io facessi lo stesso, ma non ero capace di muovermi. I ricordi affollarono la mia mente e la paura mi bloccò.
Bradley si accorse che qualcosa non andava, allora si avvicinò, mi prese per la vita e mi tirò su con se. Tornò ad appoggiarsi al muro con la schiena e mi fece sedere tra le sue gambe. Mi avvolse con le sue braccia e io appoggiai la testa alla sua spalla.

La terra continuava a tremare, ma quasi non la sentivo, perché tremavo più di lei.
Fuori c'era il finimondo. L'uragano si stava avvicinando sempre di più, lo capii dal rumore che si faceva sempre più assordante. Si sentivano gli alberi cadere a terra sradicati e i muri delle case staccarsi dalle fondamenta. Ad ogni colpo provocato dalla caduta di qualcosa di pesante stringevo la maglia di Bradley sempre più forte.
Dal soffitto l'intonaco cominciò a scrostarsi ed un pezzo abbastanza grosso cadde ad un paio di metri da noi. Bradley mi strinse più forte e mi coprì in modo protettivo la testa, poi ci posò sopra un bacio delicato.
Quel contatto mi calmò leggermente, ma più il rumore aumentava, più i miei singhiozzi si trasformavano in un vero e proprio pianto.

Ad un certo punto, fu sopra di noi. La terra tremò in un modo che non avrei mai ritenuto possibile.
Bradley mi strinse sempre di più. Per quanto volesse sembrare calmo, le sue mani lo tradivano. Tremavano e mi stringevano a se.
Ad un certo punto qualcosa colpì la casa in cui eravamo, e io urlai.
"Calmati, siamo sotto terra" disse Bradley, con la voce che gli tremava. Decisi che sarei stata forte, così trattenni un secondo urlo, quando qualcos altro colpì la casa.

Quell'inferno continuò per un'interminabile mezz'ora. La casa sopra di noi sembrava essere andata distrutta. O almeno così pensavo dato il rumore proveniente dall'esterno.
Fortunatamente il rifugio che avevamo trovato era sicuro, e, a parte la caduta dell'intonaco, non era andato distrutto niente.
Anche dopo la fine di quell'incubo, io e Bradley rimanemmo in quella posizione per un quarto d'ora. Tra le sue braccia mi sentivo più sicura, e pensai che anche lui stesse meglio avendomi vicina.
Quando si staccò, sentii un vuoto dentro, tanto che lo afferrai per la maglietta e lo riavvicinai a me. Non mi sentivo ancora pronta ad allontanarmi da lui. Non ero sicura che quell'incubo fosse finito, e soprattutto non sapevo che cosa sarebbe successo dopo.

"Val, calmati" disse afferrandomi per le spalle ed allontanandomi lentamente "è finita, è tutto finito. Andrà tutto bene" continuò, guardandomi negli occhi e sorridendo.
"No, tu non sai" dissi, scuotendo violentemente la testa. Mi stavo trattenendo dal piangere. Lui non poteva capire. Non era finita.
Era solo l'inizio.
Mi guardò con aria interrogativa, si mise a sedere meglio e mi fece segno di sedersi accanto a lui. Mi avvicinai a gattoni sul letto e mi sedetti dove mi aveva indicato.

Non parlò subito, sembrava stesse cercando le parole adatte per cominciare.
"Cosa non so?" Mi chiese poi.
"Non è finita. È appena iniziata. La città è distrutta, non ci potremo muovere da qui." Dissi fissando il vuoto.
"Ma il peggio è passato"
"No, il peggio deve ancora venire. Ora arriverà l'inferno" misi la testa tra le mani e respirai lentamente.
Bradley mi prese il meno con le dita e mi fece alzare la testa. Aveva uno sguardo preoccupato.
"Tu eri la, vero?" Chiese. Non risposi, faceva troppo male ricordare.
"Tu eri la. Tu hai vissuto l'uragano Katrina!" Continuò.
Annuii lievemente, mentre i miei occhi diventavano lucidi.
Mi prese per un polso e mi avvicinò a lui fino a farmi sedere sopra le sue gambe. Ne approfittai per appoggiare di nuovo la testa sulla sua spalla. In quella posizione mi sentivo meglio e senza accorgermene cominciai a raccontargli tutto.
"Avevo otto anni, stavo tornando a casa da scuola con Thomas, quando la terra cominciò a tremare" una lacrima scese al ricordo di quei momenti, ma continuai il racconto.
"Cominciammo a correre verso casa mia, ma la terra tremava sempre di più, e ad ogni passo noi crollavamo sull'asfalto. Quando ci girammo, l'uragano era a poche centinaia di metri da noi. Fortunatamente una donna uscì dalla sua casa e ci trascinò nella sua cantina. Fu un'ora orribile quella che seguì, ma le giornate seguenti furono anche peggio. Gli argini del Mississippi crollarono e la città si allagò. Fummo costretti a passare la prima giornata sul tetto della casa senza cibo ed acqua. Il giorno dopo l'acqua se ne era andata, ma questi periodi tirano fuori il peggio delle persone. Eravamo costretti a stare in cantina, per paura che qualcuno entrasse in casa e ci facesse del male. Era un po' come essere nel Signore delle mosche. Gente che saccheggiava, gente che si picchiava, gente che uccideva, e tutto solo per sopravvivere. Mio padre fu ucciso da un uomo disperato in cerca di cibo, mentre la sorella di Thomas fu stuprata da un pazzo che entrò nel loro rifugio mentre loro erano a cercare cibo. Per questo è tanto protettivo nei miei confronti. L'orrore più grande, però, era uscire fuori in strada e trovarsi tutti quei cadaveri. Vedere persone che conoscevi, distese a terra senza vita" raccontare tutto mi aveva distrutta, ma mi aveva fatto anche bene. Non avevo mai raccontato a nessuno la storia intera.
Alzai la testa per guardare Bradley in faccia. Sembrava sconvolto. Boccheggiò per qualche secondo, come non sapesse cosa dire, poi parlò.
"Avevi otto anni" disse sottovoce "e ora è successo di nuovo"
"Sei molto gentile a ricordarmelo" tentai di scherzare, ma lui non sembrò nemmeno avermi ascoltata.
"Non uscire mai da questa stanza" disse guardandomi serio.
"Dovremo uscire Bradley, dobbiamo andare a prendere del cibo" dissi ragionando. Il cibo in scatola non bastava per più di due giorni.
"Andrò io" disse. Decisi di non ribattere, non ce n'era bisogno in quel momento. Ne avremmo riparlato nel momento in cui saremmo dovuti uscire.

La situazione al piano superiore si era calmata. Sapevo che quella quiete sarebbe durata poco, ma almeno in quella stanzina sotterranea nessuno sarebbe venuto a cercarci.

"Cosa ci facevi li, quando sei venuto a salvarmi?" Chiesi d'un tratto. Non mi ero posta la domanda fino a quel momento.
"Camminavo" rispose indifferente. Mentendo.
"E proprio nella via in cui ero io, eh?"
"Certo" andò a prendere del cibo nell'armadio.
"Dai Bradley, ammettilo" dissi con uno sguardo malizioso.
"Cosa?" Chiese voltandosi verso di me.
"Che mi stavi seguendo" risposi in tono soddisfatto.
"Ma che sei matta? Perché avrei dovuto seguirti?" Chiese totalmente indifferente. Quella risposta mi sembrò un pugno allo stomaco. Volevo mi dicesse che mi stava seguendo dopo che avevamo litigato, perché voleva ancora passare del tempo con me, ma a quanto pare non era così. A quanto pare non era interessato.
"Ok" gli risposi semplicemente.

Bradley si girò e continuò a cercare qualcosa nell'armadio. Io restai seduta nel letto in silenzio, cercando di assorbire quella complicata situazione. Era strano pensare che fuori da quella stanza c'era un disastro, mentre dentro di me c'era il vuoto. Perché era così che mi aveva lasciata: vuota.

Mentre ero assorta dai miei pensieri, Bradley si voltò verso di me e mi lanciò qualcosa. La sollevai per vederla meglio e capii che era un paio di jeans.
"Mettiti quelli, la gonna è scomoda. Dovrebbero andarti bene" ordinò. Io annuii semplicemente, mi alzai e lo fissai. Lui mi guardò con una faccia interrogativa, poi capì. Si girò, dandomi le spalle, così da potermi cambiare senza che mi vedesse.
"Comunque non ti avrei mai guardata" disse sghignazzando. Quella frase aprì ancora di più il buco nel mio petto.

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