Capitolo 26

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Non ricordo cosa sognai quella notte, ma mi ricordo solo che quando Rachel mi svegliò, una lacrima scese istintivamente sulla mia guancia. La scacciai velocemente, prima che la mia amica se ne accorgesse e guardai la sveglia. Era mezzogiorno. Era da vergognarsi per quanto avevamo dormito.
"Buongiorno dormigliona" mi sorrise Rachel, mentre si metteva a posto i capelli davanti allo specchio a muro.
"Giorno" risposi, con la voce ancora impastata. Ogni mattina avevo l'umore un po' a terra a non trovare Bradley nel letto insieme a me. Mi veniva da piangere per quanto mi mancava.
"Dai, non voglio vedere quei musi lunghi. Dobbiamo fare colazione. O pranzo. Come vuoi. Ma devi mangiare" si voltò e mi sorrise in modo leggermente sadico. "Hai una partita da vincere sta sera" concluse, battendo il pugno sul palmo.
Al ricordo della scommessa alzai gli occhi e respirai frustata, facendo cadere la testa tra le mani.
"Mia madre ha fatto i pancake" disse, e bastò a convincermi ad alzarmi, cambiarmi e fiondarmi giù per le scale.

Mentre tornavo a casa a piedi passai davanti ad un negozio di foto. Il mio cuore ebbe un tuffo al pensiero che non avevo neanche una foto del mio Bradley. Mancava solo un mese a vederlo, ma mi sembrava veramente troppo tempo.

A casa mi tuffai sul divano. Ormai la mia vita si alternava tra il letto, il divano, la spiaggia e il bar. Ero una nullafacente e la cosa mi andava benissimo. Salutai mia madre, che stava uscendo e le lanciai un'occhiata ammonitrice.
"Oh ma falla finita" fu l'unica cosa che mi disse prima di chiudersi la porta alle spalle.
Un attimo dopo mio fratello uscì dal bagno e si avviò alla porta.
"Dove vai?" Gli chiesi curiosa. Non era solito uscire da solo.
"Vado a giocare al parchetto con gli amici" rispose entusiasta, stringendo la spallina della sacca contenente le scarpe.
Alzai il pollice in segno che avevo capito e mentre lui si chiudeva la porta alle spalle rituffai la faccia sul cuscino. Avevo tutta la casa per me, avrei potuto fare quello che volevo.
E fu con questo pensiero di grandezza che mi addormentai di schianto.

Quando mi svegliai erano ormai le sei. Mi sentivo particolarmente intontita, probabilmente per le molte ore che avevo dormito. Sarei rimasta sveglia per i due giorni successivi, sicuro.
Mi alzai controvoglia e mi diressi in bagno a farmi una doccia. Non avevo minimamente voglia di andare al bar quella sera, ancora meno quando mi tornò in mente la scommessa. Mi tirai una sberla in fronte maledicendomi per  la superficialità con cui avevo affrontato quella sfida, poi mi spogliai ed entrai nella doccia.
E se avessi perso? Avrei dovuto baciarlo? Non potevo farlo. Baciare Jake voleva dire tradire la fiducia di Bradley, ed io non avevo la minima intenzione di perdere neanche un minuscolo pezzettino di quella fiducia che avevo conquistato con grande fatica. Dovevo vincere e conclusa la doccia mi sentivo più determinata che mai a farlo.
Indossai i jeans ed una maglia bianca, poi scesi le scale e preparai la tavola nell'attesa di mia madre e mio fratello.
Attaccai la musica dal cellulare e lo collegai alla cassa, in modo che il suono fosse più forte. Partì "Whis you were here" dei Pink Floyd e pensai che non potesse esserci canzone più adatta di quella in un momento del genere.
Dopo la favolosa introduzione della chitarra, che mi rilassò come poche altre cose erano in grado di fare, partì la prima strofa.

So, so you think you can tell Heaven from Hell?

Mi soffermai su quella prima frase, perché sembrava fatta per me. Come si può pensare di distinguere l'inferno dal paradiso? La linea che li divide è sottilissima, quasi invisibile, e ad oltrepassarla si sta un attimo. Bradley era il mio paradiso, il mio tutto, il motivo per cui sorridevo prima di andare a dormire e per cui mi svegliavo con le lacrime agli occhi. Jake e la scommessa erano il mio inferno, la causa che avrebbe potuto dividere me e Bradley per sempre, rovinare tutto.
Poi senza rifletterci troppo mi salì alla mente un'altra interpretazione di quella frase. L'uragano era l'inferno, la causa di ogni male che aveva colpito la mia amata città e distrutto le vite di molti dei suoi abitanti. Eppure io potevo ritenerlo quasi il mio paradiso, poiché era grazie a quel turbinio tumultuoso di aria che io e Bradley ci eravamo avvicinati. Il confine che divide queste due facce della stessa medaglia è impercettibile, attraversarlo è un attimo. Senza rendertene conto puoi salire la scala verso il paradiso o essere trascinato lungo l'autostrada per l'inferno.
La porta si aprì di scatto e mio fratello entrò a passo cadenzato trascinando la sacca a terra. Quando mi vide mi sorrise stanco e mi venne incontro allargando le braccia.
"Non pensarci nemmeno. Vai immediatamente a lavarti" gli ordinai perentoria, puntando un dito nella direzione del bagno. Era completamente ricoperto di fango, dalla testa ai piedi, e la sua unica intenzione era quella di sporcare anche me.
"Ma non vuoi un abbraccio dal tuo fratellino?" Domandò fintamente addolorato, piegando il labbro inferiore.
"No. Muoviti o non ti preparo la cena" continuai, ferma nella mia decisione, ma lasciandomi sfuggire un sorriso.
Al sentirsi negare un pasto non ci pensò due volte, ma si dileguò in una frazione di secondo, chiudendosi in bagno.
In quel momento anche mia madre fece capolino dalla porta d'ingresso. La salutai senza prestarle troppa attenzione, puntando lo sguardo sul grissino che ero in procinto di azzannare. Nell'attesa mi era venuta fame.
Quando posai lo sguardo sul suo volto notai però le sue labbra aperte in un raggiante sorriso. Era la prima volta dopo anni che la vedevo sorridere in modo così sincero.
Mi soffermai a fissare ogni dettaglio del suo volto, sorridendo a mia volta dalla felicità di vederla finalmente felice. Non sapevo niente di quell'uomo con cui usciva, ma se era capace di farla sorridere in quel modo, gli volevo già bene.
"È andata bene noto" affermai sorridendole.
"Molto" confermò lei, abbassando lo sguardo con un leggero imbarazzo.
"Sono contenta" mi limitai a dire. Avrei voluto chiedere di più, sapere ogni cosa, ma decisi di aspettare il momento in cui si sarebbe sentita di raccontarmi.
Si avvicinò, grata per non aver insistito, e mi diede un bacio sulla testa, poi si diresse verso la sua camera a cambiarsi.
"Ordiniamo la pizza per cena?" Urlò dalle scale.
"E me lo chiedi?" Risposi entusiasta.
"Chiama la pizzeria. Io prendo la solita" disse prima di chiudersi in camera. Mi piaceva questa mamma felice che mi prendeva la pizza.
Chiamai la pizzeria ed ordinai una pizza con il prosciutto per me ed una capricciosa per lei, poi presi da un armadietto una pentola e tirai fuori dal frigorifero una bistecca per mio fratello.

Uragano CooperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora