Stavo camminando lungo la strada verso casa, mentre le lacrime rigavano le mie guance.
Non so neanche perché stessi piangendo. Probabilmente per l'arroganza e il comportamento di Bradley di poco prima, o probabilmente perché non sapevo bene cosa provavo per lui. Pensai che forse reagivo così perché mi aveva fatto paura, ma era inutile cercare di auto convincermene, io non avevo paura di lui. Sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male.
Una parte di me era in lacrime perché pensava al fatto che dal giorno successivo non lo avrebbe più rivisto, un'altra pensava al fatto che quello che provavo per lui era troppo grande, per una persona che conoscevo da soli cinque giorni.
Mi sembrava di conoscerlo da una vita, di conoscere ogni dettaglio di lui, ogni suo movimento abituale, ogni suo modo di dire. Sapevo come farlo arrabbiare e come calmarlo, nonostante ci avessi parlato seriamente poche volte.
Quando stavo con lui il tempo sembrava fermarsi, mi faceva male la pancia, ma era un male che avrei sopportato per sempre, se significava averlo accanto.
Mi faceva paura provare tutti quei sentimenti per una persona che molto probabilmente non avrei più visto.
Inoltre, non era detto che lui ricambiasse, anzi. Ci metteva ben poco ad urlarmi in faccia.
Ma quel "voleva portarti via da me" significherà pur qualcosa, o no?
Sempre più confusa, svoltai a destra in direzione casa. Ero ancora un po' distante, ma camminare mi avrebbe aiutata a schiarirmi le idee.Alzai gli occhi al cielo, cercando di ricacciare indietro le lacrime, che ormai avevano inondato il mio viso. Notai che il cielo aveva uno strano colore, sul violaceo, tendente al grigio. Pensai che fosse una cosa molto strana, ma data la situazione in cui mi trovavo non gli diedi troppa attenzione.
Continuai a camminare, cercando di affrettare il passo, visto che si stava facendo buio. Ad un certo punto, la terra tremò sotto i miei piedi al punto da farmi cadere.
Atterrai sulle ginocchia, e subito si fermò. Aspettai qualche secondo prima di alzarmi, per accertarmi che non ci fosse un'altra scossa.
Appena mi rimisi in piedi, la terra tremò nuovamente, questa volta per un lasso di tempo più lungo, e io caddi nuovamente sulle ginocchia.
Questa volta mi alzai non appena finì di tremare, e cominciai a correre verso casa.
Ero spaventata e l'unica cosa che pensai fu correre da mia madre.
Corsi più veloce che potevo, mentre le lacrime ripresero a scendere. Ero ancora lontana da casa e la cosa mi terrorizzava a tal punto che mi balenò in testa l'idea di fermarmi ed abbandonarmi alla disperazione. Per fortuna la parte razionale di me fece ripartire le mie gambe più veloce che potevano.
Una terza scossa mi fece cadere a terra, facendomi sbucciare le ginocchia, non essendo coperte dalla gonna.
Appoggiai le mani per terra e le lacrime cominciarono a cadere copiose sull'asfalto.
La strada era deserta. In quella via non passava mai nessuno, era una scorciatoia che conoscevano solo pochi del posto e sicuramente con un terremoto nessuno sarebbe passato.La scossa continuava e sembrava non volesse fermarsi. Alzai la testa per controllare la situazione e notai che i sassolini saltellavano sull'asfalto al tremolio della terra.
Tentai di alzarmi in piedi, e dopo qualche tentativo ci riuscii, mantenendo comunque un equilibrio precario.
D'un tratto una folata di vento mi travolse, ma mantenni l'equilibrio, anche se con difficoltà. Subito dopo un altra folata di vento mi investì, poi un altra ancora, finché non mi trovai in mezzo ad un turbinio di aria, che si portava con se tutto quello che trovava.
Rami, fogli di giornale, pezzi di terra, addirittura copertoni di auto venivano trasportati da quel forte vento.
Dovetti abbassarmi per schivare un ramo che mi stava per travolgere.
Avevo già vissuto una situazione simile, ma i ricordi erano molto offuscati e la mia mente faticava a focalizzare il momento.
Poi un lampo. Lentamente mi voltai e alle mie spalle trovai il mio peggiore incubo.
I ricordi riempirono la mia mente in un secondo e ricordai ogni minimo dettaglio di quella giornata. 28 agosto 2005.Ero immobilizzata, la paura aveva fatto perdere al cervello il controllo su ogni mio muscolo, e il mio corpo non riusciva a ribellarsi.
Davanti a me, a distanza di vari chilometri, un alto e possente uragano si dirigeva nella mia direzione, trasportando con se palazzi, automobili e tutto ciò che trovava. Mente io, come un'idiota, non riuscivo a muovermi, e tra pochi minuti sarei stata investita da quel turbinio di aria.La disperazione si fece largo in me e mi fece crollare per l'ennesima volta a terra, con la testa tra le mani. Non piangevo più, dopo quella giornata le mie lacrime erano terminate.
Nella mia testa si stavano già facendo largo scenari sulla mia possibile morte per mano di quel mostruoso gigante di aria, mentre il mio corpo sembrava abbandonarmi sempre di più.
L'unica cosa che sentivo erano le mani, che stringevano sempre di più i miei capelli. Non mi resi neanche conto che stavo per strapparmeli, finché non sentii un dolore acuto al cuoio capelluto.La sirena anti-uragano cominciò a suonare in tutta la città, e sentii le poche case presenti in quella via chiudere tutte le finestre con gli scuri.
I miei pensieri corsero a mia madre e a mio fratello. Sperai vivamente che fossero riusciti a trovare un riparo nella nostra cantina, che si salvassero almeno loro.Mi ero ormai arresa all'idea che l'uragano mi avrebbe presa, e quasi mi venne da ridere a pensare che sarei morta per mano del mio incubo peggiore. Molti anni fa mi salvai per pura fortuna da lui, ed oggi, a distanza di dieci anni, era tornato a saldare i conti.
Poi un vuoto.
Per un momento non capii bene cosa stava succedendo. Aprii gli occhi e vidi le mie gambe correre. La terra aveva smesso di tremare, ma il vento era ancora forte.
Seguii la linea del mio braccio fino alla mano, e la trovai stretta a quella di qualcun altro. Alzai lo sguardo e vidi lui.
Bradley mi aveva presa per mano e mi stava trascinando via da quell'incubo.Avremo corso per una decina di minuti. Lui non ha detto una parola, ma mi stringeva forte la mano. Da quel contatto sapevo che sarebbe andato tutto bene. Me lo sentivo.
Arrivammo in una casa abbandonata nella periferia della città. Quando ci fermammo davanti alla porta di entrata avevo il cuore in gola e il respiro affannoso. Mai in vita mia mi era capitato di correre così tanto.
Bradley sfondò la porta con un calcio, mi prese per mano e mi portò dentro. Poi richiuse la porta e mi portò in quello che sembrava un seminterrato.
Quando vi entrai, capii che era un vero e proprio rifugio anti-uragano. Le mensole erano piene di cibo in scatola e acqua, c'era un letto, delle coperte e una valigetta del pronto soccorso. Tutto l'indispensabile per sopravvivere diversi giorni. La cosa che mi sorprese di più fu una piccola mensola con dei libri, ormai vecchi e usurati.Con l'adrenalina in corpo della corsa mi fiondai in quella stanza, ma quando mi sedetti sul letto, la paura prese nuovamente spazio nella mia mente. Realizzai in un attimo tutto l'accaduto e crollai in un pianto isterico.
Mi alzai e corsi verso la porta di quella piccola stanza nel sottosuolo. Bradley mi dava le spalle mentre sistemava il suo zaino in un armadio.
Aprii la porta, intenzionata ad andare a cercare la mia famiglia, ma, con mia grande sorpresa, si chiuse con violenza."Che cazzo fai?" Urlò Bradley alle mie spalle. Era stato lui a chiudere la porta.
Spaventata mi girai.
"Vado a cercare la mia famiglia, ecco cosa faccio" risposi urlando. Avevo paura, ero preoccupata, e quel comportamento aggressivo da parte sua non mi aiutava di certo.
"Ma sei matta? C'è un uragano lassù" mi guardò come se fossi impazzita.Stavo per rispondergli per le rime, quando la terra sopra di noi ricominciò a tremare sempre più forte.
Mi immobilizzai, e imprecai mentalmente perché il mio corpo non rispondeva ai miei comandi. Senza che me ne accorgessi, ricominciai a piangere e mi appoggiai alla porta con la schiena.Bradley sussultò appena senti il rumore, poi mi guardò e nei suoi occhi lessi la preoccupazione. Mi guardava con quegli occhi azzurri, che cercavano di tirare in salvo i miei occhi scuri, come se bastasse uno sguardo a salvare una vita.
Mi abbracciò forte, e un calore improvviso si sparse per tutto il corpo. Mi abbandonai a quell'abbraccio, appoggiai la testa sul suo petto e lui tuffò la sua faccia tra i mie capelli.
"Andrà tutto bene" mi sussurrò all'orecchio, mentre con la mano mi accarezzava i capelli.Il tremore si fermò. Lui mi mollò lentamente e io mi asciugai gli occhi dalle lacrime.
Ci guardammo negli occhi per qualche istante, entrambi alla ricerca di un segnale. Mi passò una mano tra i capelli e poi la appoggiò sulla mia guancia e la accarezzò con il pollice. Io chiusi gli occhi e appoggiai ancora di più la testa alla sua mano.
"Tutto ok?" Mi chiese in un sussurro.
Io non risposi, mi limitai ad annuire con gli occhi chiusi, godendomi quegli attimi di pace prima della tempesta.
"Sta per arrivare sopra di noi" disse Bradley. "Quindi è meglio se ci prepariamo."
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Uragano Cooper
Romanzi rosa / ChickLitNew Orleans è sempre stata conosciuta da tutto il mondo come la città del jazz. Finché nel maggio del 2005 l'uragano Katrina la distrugge, riducendola in macerie. A dieci anni dall'accaduto la città è stata ricostruita e ospita ogni anno migliaia d...