Giornata storta

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Borsa in spalla e passo spedito stavo camminando nel corridoio pressoché deserto ed il mio umore non era certo tra i migliori. Rigraziando non so bene quale dio, per fortuna ero riuscita a soppravvivere a due intense ore di fisica. Per un assurdo motivo a me ignoto oggi avevamo dovuto fare degli esercizi davvero stancati e fondamentalmente inutili, se non per il divertimendo della professoressa. Alla fine di ogni esercizio sembrava più maleficamente soddisfatta del precedente, evidentemente faceva parte di quella categoria di professori che amavano vederi i propri alunni che strisciavano grondanti di sudore.
Eppure dopo quell'infauste ore di fisica le sorpese non erano finite e infatti ad attenderci in classe l'ora successiva c'era una graziosa verifica a sorpesa di due pagine di chimica, da completare inesorabilmente entro la fine della lezione. Affianco alla mia migliore amica, terrificata almeno quanto me, ero peró riuscita a scamparla.
Infatti Sofia, che superato il panico iniziale, era partita in quarta alla volta del completamento della verifica mentre io guardavo il tempo scandito dalle lancette dell'orologio che passava inesorabilmente.
Alla fine, la mia amica era riuscita a salvarmi, lanciando ripetutamente la gomma fra i nostri banchi e dandomi così il via libera al suo compito perfettamente completato ed ero riuscita a scrivere qualcosa che si avvicinava scarsamente alla sufficienza.
Ma la mia fortuna era destinata ad esaurirsi incredibilmente in fretta e ora invece di essere in mensa, dove teoricamente mi aspettavano Sofia, Matteo e Luca, io come al solito stavo facendo ritardo. Ma che cosa potevo farci? La professoressa di italiano mi aveva placcata prorpio a fine lezione, ostacolando ogni tentativo di fuga per discutere il tema che ci aveva dato la settimana prima e che a sua detta avevo completato in modo esemplare e blablabla, un sacco di altre cose che non mi interessavano, ma che lei ci teneva un sacco a chiarire e ribadire, una fra tante "il mio talento da non sottovalutare nella scrittura".
La verità era che scrivere non mi entusiasmava particolarmente, certo, non mi dispiaceva farlo occasionalmente, ma preferivo il brivido della lettura e l'arte e le sue varie sfaccettature era la mia più profonda passione.
La professoressa peró si ostinava a non voler capire che avevo scelto un liceo artistico per un motivo e che quello, di certo, non erano i temi chilometrico che lei non mancava mai di farci fare.
Quindi ora, mentre la scuola si faceva sempre più vuota, i miei amici più lontani e il mio stomaco più vuoto, a me toccava percorrere a lunghi passi il corridorio della scuola, da sola.
I corridoio impietosamente lunghi oggi, stranamente, erano addornati di volantini fino al soffitto e nastrini multicolori che prima non avevo notato. Sicuramente era un modo come un'altro di annunciare una festa studentesca e questa volta la scusa era che era stata indetta per festeggiare la fine dei lavori di ricostruzione del liceo. Da non credere! Come se ad un gruppo di studenti scapestrati importasse qualcosa che il proprio liceo, fonte di studio esagerato e di votacci ingrati, fosse appena stato rimesso a nuovo. No, questo era solo un altro pretesto per organizzare una festa dove sarrebbero corsi fiumi di alcol e chissà cos'altro e l'unica certezza che io non ci sarei andata, almeno stavolta.
Ero fermamente convinta a non prenderla neppure in considerazione, ma alla mia età , se non partecipavi ad almeno a due o tre feste al mese e se la pensavi come me a riguardo , potevi sembrare una vera bacchettona, ma visti gli eventi precipitosi di appena due settimane prima ero decisa a passare il testimone, a costo di sembrare una vecchia mummia rinsecchita come una prugna.
<< hey! >> mi sorprese una voce alle spalle. Accellerai il passo.
<< hey, Aurora! >> si ostinó Enrico. Sentii uno scalpiccio e poi me lo ritrovai davanti che mi bloccava la strada.
<< ciao Enrico! >> cercai di sembrare più allegra possibile, per non fargli capire che chiaramente non avevo voglia di rimanere a parlare.
<< ciao, ma mi stai evitando? >> chiese divertito, leggermente quardigno.
<< no, certo che no. >> mi affrettai a smentirlo << stavo solo andando di fretta >> conclusi più leggera.
<< e dove? >> chiese cominciando a camminare affianco a me.
<< beh, veramente in mensa. Sofia mi sta aspettando. >> risposi garbatamente.
Ultimamente la nostra iniziale antipatia e tutto il resto sembravano essersi appianate e convivevamo in una sorta di una pacifica amicizia. L'accordo di quel giorno nello stanzino ci aveva fatto davvero bene e lui sembrava davvero volervi tenere fede e cominciava anche a rivelarsi di buona compagnia, certo quando non spariva.
Occasionalmente ci parlavamo e senza sbranarci discutevamo anche di argomenti spinosi, ma non andavamo sempre d'accordo. Avevo capito quei giorni in cui era meglio lasciarlo stare se non volevo farmi male e mi andava bene così.
Ritornai con la testa al presente e chiesi << ma perché tu che puoi non sei in mensa? >>
Mi rivolse un sorriso tutto denti, che lo faceva tanto sembrare uno squaletto furbo appena colto con le pinne fra i coralli e rispose << stavo aspettando lei, mia cara >>
<< mio caro. Questo lo escludo palesemente! >> risposi sorridendo.
<< dubitate delle mie intenzioni madama? >> chiese con un finto tono offeso.
<< delle vostre? >> lo squadrai da capo a piedi. Oggi era in una delle sue giornate buone. << sempre. >> risposi.
<< oh!! Quale oltraggio devono sentire le mie povere orecchie!! >> finse un colpo al cuore e mi guardó sbigottito.
Gli assestai un sonora pacca sulla spalla e risposi << smettila di fare il buffone! >> lo rimproverai sorridendo. << devo andare in men- >> DRIIIN DRIINNN << accidenti! >> gridai esasperata.
<< penso che non servirebbe a molto andare in mensa ora. Ma é solo una riflessione mia. >> disse Enrico trattenendo a stento una risata.
<< Ohh, maddai!! >> mi arrestai in mezzo al corridoio. << non ho nemmeno pranzato e adesso comincia già il rientro. Ma cos'altro deve succedere oggi?! >> terminai sbuffando.
Ci fu un attimo di completo silenzio, in cui io non avevo alcuna intenzione di parlare per il crescente nervosismo e Enrico dal canto suo non fiatava per paura di chissà quale pazzia avrei potuto commettere. Magari si immaginava già che gli sarei saltata al collo e lo avrei sgozzato per poi potermi cibare di tutti quei muscoli e addominali, il tutto sorseggiando amabilmente il suo sangue.
Respirai profondamente uno, due, tre volte, dopodiché feci dietro-front e andai a grandi falcate verso il mio armadietto. Enrico che sembrava ancora leggermente incerto riguardo alla mia sanità mentale mi seguì silenziosamente a debita distanza, evidentemente aveva ancora paura che potessi mordere.
Man mano che proseguivamo per il corridoio cominciava ad affluire sempre più gente che rideva e scherzava, certamente a stomaco pieno, con un rumoroso gorgoglio anche il mio stomaco comunicó il suo disappunto . Appoggiai rumorosamente i libri nell'armadietto e lo chiusi sbattendolo malamente. Enrico, in disparte, che aveva visto tutta la scena e se la rideva a crepapelle, si avvicinó a braccia incrociate e scherzó << qui qualcuno a problemi di instabilità mentale senza cibo eh?! >>
<< smettila di prendermi per il culo. Guarda, davvero, non é aria. >> grugniì.
Mi guardó fissa per alcuni secondi in cui provó visibilmente a non ridere e invece subito dopo inciampava in un risolino molesto. Scossì la testa indispettita e mi voltai per andarmene, ma prontamente la sua mano mi fermò per la spalla.
Mi voltai come una furia e sbottai << senti, ho avuto una giornata difficile e ora non ho nemmeno pranzato. Detesto che la gente rida di me e tu lo stai facendo proprio adesso e io non ho voglia di sentirti, quindi o la smetti o te ne vai oppure vado via io. >> conclusi fissandolo.
<< ok ok. Scusa, non volevo farti incazzare. Non pensavo davvero che per te fosse un problema saltare il pranzo. >> cercó di calmarmi, come un ammaestratore con una leonessa.
<< e invece si. Non riesco a ragionare senza cibo. >> risposi ingrugnita.
<< ascolta, in segno di pace potrei portarti fuori a mangiare. >> chiese mestamente.
<< quando? >> risposi leggermente dubbiosa.
<< ora. Vieni! >> mi prese per il polso e mi trascinó come un ciclone verso il portone d'ingresso. Sbalzata di sorpresa in avanti quasi non inciampai e dovetti aggrapparmi alla sua mano mentre correvo per raggiungerlo.
<< tu sei pazzo! >> gli urlai dietro, superandolo e ridendo leggermente. Mi girai a guardarlo ed era bellissimo.
<< lo so >> rispose sorridendo con la lingua fra i denti.

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