22. "Nuvole bianche"

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«TOM!» non si rese conto, ma urlò. Urlò perché era felice, urlò perché gli mancava quella voce, urlò perché voleva essere lì accanto a lui.

«Scusa, ma chi parla?» era una voce conosciuta quella che aveva percepito dall'altra parte, ma non aveva alcun numero.

«B-bill, s-sono Bill» rispose, un po' amareggiato, aveva già eliminato il suo numero di telefono dalla rubrica?

«Bill!» urlò «Scusami, ho perso tutti i numeri» era la verità, quel telefono era andato a puttane due giorni prima, cancellandogli di sua spontanea volontà ogni contatto.

Silenzio. Questo c'era tra loro adesso. Nessuno dei due osava chiedere spiegazioni.

«Stai bene?» chiese Kaulitz, facendosi avanti.

"Sto solo piangendo ed imprecando il tuo ritorno. Se per te questo vuol dire stare bene, allora sì, sto bene."
Pensò Bill.

«Sì» rispose l'altro, titubante. Non voleva mostrarsi debole, non voleva piangere con il moro ad ascoltare i suoi singhiozzi.

"Sta bene, visto? Non ha bisogno di me." Questo diceva la testa di Tom, era un continuo.

«C'è bel tempo lì?» ottima domanda Kaulitz, veramente. Di sicuro non vede l'ora di raccontarti se c'è il sole o la pioggia.

«Nuvole grigie, c'è stato di peggio» aveva alzato gli occhi al cielo prima di rispondere, avrebbe voluto descrivere al ragazzo ogni sfumatura di quegli ammassi di finto cotone, ma forse non gli sarebbe importato.

«Quelle bianche arriveranno» disse con un filo di voce l'altro, quasi fosse un pensiero detto ad alta voce.

«Cosa? T-tu» non fece in tempo a finire.

«Mi hai ripetuto per un pomeriggio intero, che ti piace il cielo quando ci sono le nuvole bianche, di quel bianco latte denso» fece una pausa «perché ti ricordano la tua canzone preferita».

Se lo ricordava. Tom, si ricordava anche di quel misero e inutile particolare raccontato in un pomeriggio di sole, avevano iniziato a parlare del tempo in modo casuale. Forse era stata colpa di Bill, nessuno può dirlo.

«Enaudi» dissero entrambi, e le loro voci vennero trasmesse una nel telefono dell'altro. Sorrisero a quel nome pronunciato all'unisono.

Nuvole bianche, più che una canzone era una specie di sinfonia. Bill aveva provato a studiarla al piano per diversi mesi, ma non era mai riuscito a suonarla nel modo che desiderava. Con Tom c'era riuscito, lui sembrava far volare le dita su quello strumento.

Più volte gliel'aveva suonata. Gli faceva fare il bis, poi il tris e così via. Amava chiudere gli occhi allo scorrere di quelle note e lasciarsi trasportare sulla sua nuvola bianca, il suo posto sicuro.

Preso dai pensieri, dal ricordo, si fece scappare una frase:
«Quando torni?».

Esatto, quando sarebbe tornato? L'avrebbe mai fatto?

«Presto, credo. Non c'è bisogno che ti preoccupi, hai altro a cui pensare» alludeva a Saimon, ma Bill non sapeva e quindi non capiva.

«Di che cosa parli, Tom?» era confuso.

«Non fingere, ti prego, fa già abbastanza male. So tutto, Saimon mi ha detto tutto. Bastava dirlo, ti giuro che avrei capito» ma non era vero. Non avrebbe mai capito, non desiderava farlo. Per lui Bill non poteva stare con quello, Bill era suo e basta.

Ora era tutto chiaro: Tom era venuto a conoscenza del fatto che non avesse troncato definitivamente con Saimon.

Tutto aveva un senso. Tutto era andato in quello sbagliato, però.

«T-tom, lasciami spiegare, io» ma anche questa volta, non potè finire la frase.

«È lui ciò che vuoi. Stammi bene, Bill» e la sua voce sparì, nell'aria, da dove era venuta.

La telefonata finì troppo presto. Dopo aver premuto il rosso, Tom pronunciò un "ti amo" allo stremo delle lacrime, era destinato a Bill. L'altro, stava per aggiungere "io voglio te, Tom" alla sua frase. Nessuno dei due ebbe la possibilità di dire quelle parole, di esprimerle.

In quel momento, il moro capì che il ragazzo non sarebbe più tornato. In quel momento capì che era a pezzi e che nessuna macchina o treno l'avrebbe riportato da lui di sua spontanea volontà.

Trattenne le lacrime, bruciavano nei suoi occhi ma non dovevano cadere, non potevano. Ne aveva perse troppe, quando poteva trasformare quelle lacrime in parole di scuse. Scuse che forse avrebbero fatto tornare il suo Tom. Scuse che gli doveva.

Lui aveva fatto quel casino, ora avrebbe rimediato.

"Perdonami mamma" pronunciò sulla soglia di casa, torturandosi le punte dei capelli e giocando col bracciale argento al suo polso destro.
Guardò dietro di sé, guardò dritto, e fece scattare la maniglia.

Brown Eyes || Twincest.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora