32. "Best thing"

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Il cucchiaino sbatteva contro la tazza. Era vuota, palesemente priva di contenuto da una manciata di minuti. Non era importante, a Bill piaceva quel tintinnio metallico e assordante. Un martello che perforava i timpani in tempi ben scanditi. Un tin tin continuo che accompagnava il suo triste pomeriggio.

Dieci minuti prima un liquido giallastro riempiva quella superficie. The al limone, il suo preferito. Cioè, non ne aveva mai provati altri, si era focalizzato su quello e quello era. Pesca, the verde, the nero...tutte cavolate per lui.

Due o tre volte al giorno bolliva sui fornelli. Casa Trümper profumava sempre di limone, che fosse the o fragranza per l'ambiente.

Ogni casa necessitava un'essenza secondo lui, qualcosa che la rappresentasse. Nel caso di Tom, casa sua profumava di cioccolata e chiuso. Cioccolata che ogni mattina il moro beveva prima di incamminarsi per la strada, odore chiuso di cuscini troppo consumati e coperte sgualcite da turbolenti movimenti nella notte.

Tom soffriva di insonnia per almeno metà dell'anno, il suo era un continuo girarsi e rigirarsi nelle coperte fino a perdere la battaglia e finire per guardare il bianco soffitto che non trasmetteva nulla. Quello era uno di quei mesi. Di solito aveva questo effetto a mesi alterni, ma non era una regola precisa.

Erano passate due settimane, lunghissime chiunque avrebbe potuto aggiungere. Kaulitz le aveva passate in silenzio, pensando. No, aveva la mente troppo vuota per pensare. Non provava nulla: né sensazioni, né appetito. Aveva perso qualche chilo, cosa fin troppo constatabile.

Gli mancava il padre, quel padre che mai aveva avuto. Però ne era uscito, quattordici giorni per uscirne. Ne era uscito con un semplice gesto: si era finalmente alzato dal suo letto e aveva mangiato un tozzo di pane che la madre aveva lasciato incustodito sulla tavola.

Bill aveva tentato il mille per mille, aveva fatto tutto ciò in suo potere per non farlo sprofondare più del dovuto. La loro relazione aveva avuto una specie di pausa, Tom neanche faceva caso alla presenza del ragazzo nella camera durante quelle giornate. Ma così doveva essere, non poteva pretendere di vederlo saltellare allegro e pimpante da un lato all'altro del paese.

Aspettare, era la parola all'ordine di ogni giorno. Non si dava pervinto, amava troppo ciò che c'era in gioco. Sarebbe stato un test, un test per decretare la solidità della loro relazione, la solidità della loro fiducia.
Avrebbero superato anche quella, in un modo o nell'altro.

Una parte di Bill lo sapeva, l'altra no. Alcune cellule del suo corpo credevano che nulla sarebbe tornato come prima, credevano che presto sarebbero state abbandonate da Tom e sarebbero morte senza rigenerarsi.

Il messaggio che aspettava da ore, da giorni, proveniente dal moro, non diceva quello che si aspettava. Un semplice 'vieni' era apparso sul display. Significava tutto e significava niente. Probabilmente voleva incontrarlo e farla finita.

Era balzato giù dalla scrivania, neanche due secondi e si constatava che aveva le scarpe ai piedi e stava correndo per Friedrich Straße. A passo lento la distanza era dai dieci ai quindici minuti. Bill fece il suo miglior tempo: sette minuti e qualche decina di secondi. Mai vista prestazione sua così ottimale, il professore di ginnastica a stento ci avrebbe creduto. Eppure aveva davvero corso a tutta velocità, un minuto perso poteva significare molto.

Tom era, come sempre, sul letto. In quella stanza così chiusa e così sporca. Bill la puliva appena poteva, lui la risporcava in una giornata. Con cosa poi? Fazzoletti buttati per terra per la poca voglia di alzarsi e vestiti sporchi.

Non bussò neanche, spinse la maniglia e cadde per terra dalla troppa foga. Fece quasi una capriola in avanti, si meravigliò di quanto dolorasse la sua testa. Sbuffò, sapendo che avrebbe dovuto alzarsi con le sue uniche forze. Fu in piedi in neanche tre secondi.

Non aveva fatto il minimo sforzo. Qualcosa lo aveva afferrato da sotto le ascelle e lo aveva riposizionato coi piedi sul pavimento. Kaulitz si era mosso, per la prima volta si era spostato da quel puzzolente letto che si ritrovava.

Aveva sentito un tonfo in cucina, per quanto il moro fosse leggero, e si era precipitato temendo il peggio. Solo per Bill aveva fatto una cosa del genere, tirandolo su con quei pochi muscoli che gli rimanevano. Ora lo aveva davanti, tutto impaurito e in pigiama.

Sì, ma probabilmente lui fu l'unico tra i due ad accorgersene. Quella visione così amorevole e dolce del ragazzo davanti a lui fece ripompare il liquido dei sentimenti nel suo cuore. Riscoprì in una manciata di nano secondi cosa significava amare e sentirsi amato: il moro si era precipitato lì ad una velocità disarmante, con l'avviso di un semplice messaggio. Forse significava seriamente qualcosa, forse Bill lo amava a sua volta.

Che stupido. Ovvio che lo amava, glielo aveva ripetuto minimo quaranta volte, la paura giocava brutti scherzi. Anche le cose certe vacillavano se in gioco c'era quel sentimento.

«Quindi vuoi farla finita?» avevano vinto le cellule negative, quelle convinte in una frattura del loro rapporto, quelle che non credevano più in un miglioramento di Tom.

Quest'ultimo lo squadrò dalla testa ai piedi, chiedendosi come fosse anche solo possibile pensare di lasciare una creatura del genere. Respirò mentalmente, non doveva dire cavolate, doveva esporre in modo coerente i suoi pensieri. Non doveva rovinare tutto con la sua boccaccia.

«Nonostante le cose pazzesche che sono successe, noi ci apparteniamo ancora — disse Tom guardando il ragazzo davanti a sé — non abbiamo mai smesso di farlo. Io sono tuo Bill, io apparterrò a te anche quando mi chiederai di smettere».

Sapeva di averlo trascurato tanto, di aver messo in dubbio tutto, di averlo fatto sentire una merda e poi di esserselo ripreso. Dagli inizi, dal giorno in cui avevano ricominciato a parlarsi qualcosa era riscattato.

Lo guardò nuovamente, si guardarono, una connesione si stabilì tra i loro occhi. Elettrici, magnetici, una droga per entrambi: due occhi nocciola così simili.

«Lasciarti adesso? Lasciare te che sei l'unica persone che mi abbia trascinato di peso fino al bagno per non farmi la pipì addosso?» non potè fare a meno di ridere, perché tutto ciò faceva ridere. Loro insieme facevano ridere, una di quelle risate che riempie il cuore.

«So che non è il momento per dirtelo, so che non è da me — fece una pausa e deglutì tutta la saliva in gola — Bill, tu sei la cosa più bella della mia vita».

Brown Eyes || Twincest.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora