One.

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Essere poveri non piace a nessuno, ma ha i suoi lati positivi.

Mi ero stabilita lì due settimane prima, ovvero una settimana dopo la morte di mia madre.
Avevo preso tutto ciò di più indispensabile e lo avevo ammucchiato in uno zaino, poi me ne ero andata di casa.
Vi starete chiedendo come mai, dato che avevo un tetto sopra la testa, non fossi rimasta lì. Semplice, ero minorenne. L'unica alternativa sarebbero stati i servizi sociali e il centro d'accoglienza.
Dunque, avevo preferito fuggire da quella casa che mi ricordava troppo mia madre e la mia vita con lei.

Avevo portato con me coperte, cibo fino ad esaurimento scorte, una foto di mia madre, alcuni vestiti, uno spazzolino e il dentifricio. Nient'altro.
Niente telefono, niente soldi.
Avevo scelto come angolo per la notte le scale del teatro, e ora vi spiego perchè.
Oltre ad essere in pieno centro storico, ai suoi lati aveva uffici, bar e negozi. Insomma, un bel via vai di gente. Ma la cosa principale che mi aveva fatto dire "Sì" a quel posto, era la vista delle stelle di notte.
Mi bastava sdraiarmi, alzare gli occhi al cielo e vedere quegli infiniti puntini bianchi su sfondo nero per addormentarmi sorridendo.
Era uno spettacolo che non tutti potevano permettersi.

La mia routine quotidiana, prevedeva colazione da Freddy's, il bar all'angolo, quando i soldi erano sufficienti, girovagare per la città senza una meta precisa, e successivamente, sotto sera, elemosina davanti al teatro fino alla fine degli spettacoli.
"Elemosina che brutta cosa" penserete voi.
In realtà no, ve lo assicuro. Ovvio, se avessi ancora mia madre, una casa, e dei soldi senza doverli chiedere a quel modo, ne sarei ben felice, ma stare ore e ore seduta ad osservare come si veste la gente, a sentire le loro conversazioni, a ringraziare se ti lasciano degli spiccioli o mandare a fanculo mentalemente se non te li lasciano, può anche essere divertente.
Poi non mancano mai gli abitudinari, quelli che passano sempre di qua per andare a lavoro o per andare in stazione.
Più o meno sono sempre le stesse facce e ho imparato a identificarne i proprietari dando loro anche dei nomi.

C'era il vecchino a parer mio centenario, grasso, basso e con l'immancabile coppola in testa tale e quale a Bernie del cartone Bianca e Bernie. Non vi sto a dire come lo avevo soprannominato, potete arrivarci.
C'era la signora sulla trentina, sempre con sigaretta e pellicciotto diretta alla stazione. Nome d'arte Crudelia de Mon.
C'era la 'Coppia del Boulevard', novelli sposi credo. Lei rideva ad ogni battuta di lui anche se pessima, lui la teneva fin troppo stretta a sè.

E poi c'era lui, Quello del teatro. Il biondino dagli occhi magnetici. Il mio abitudinario preferito. Quello dei cinque dollari e delle caramelle gommose.
Arrivava sempre un ritardo, o semplicemente gli piaceva correre.
Lavorava in teatro, non so che mansione avesse, ma a giudicare dagli abiti che indossava doveva ricevere un buono stipendio.
Non mi aveva mai rivolto la parola, solo un cenno del capo come segno di saluto prima di posare il biglietto da cinque nel mio cappello da rapper.
Io dal canto mio, mi limitavo a fare lo stesso per ringraziarlo.
Era un problema dei giovani quello di non parlarsi nemmeno o di tutti?
Non sapevo trovare una risposta.

Non vi ho parlato di amiche o amici per il semplice fatto che non ne ho. O almeno, non più.
Da quando ho lasciato la scuola, nessuno si è preoccupato di sapere come stessi e dove fossi.
Non li avevo nemmeno più incontrati per strada, nonostante continuassi ad aggirarmi nei luoghi di Los Angeles che frequentavo in loro compagnia.
È proprio vero che gli amici si vedono nel momento del bisogno. Il loro.

Questa era la mia vita, un film in bianco e nero in un mondo a colori.

Saver || J.B. {Conclusa} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora