2.

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"Demente!" mi insultò.
"Imbecille!" gli risposi a tono io.
"Stronzo!" continuò imperterrito.
"Coglione!" mi difesi io.
"Lunatico!" continuò, volendo avere l'ultima parola.
"Decerebrato!" risposi stringendo i pugni.
"Fro-...!"
"RAGAZZI, BASTA!"  ci interruppero mia madre e suo padre.
"Smettetela, una volta per tutte!"
"E' STATO LUI!" rispondemmo contemporaneamente indicandoci a vicenda.
I nostri genitori sospirarono guardandosi. Fu mia madre a prendere di nuovo parola guardandomi con sufficienza.
"Liam, chiedi scusa a Zayn, immediatamente. Yaser ci sta ospitando gentilmente in casa loro, non puoi permetterti di insultare così suo figlio. E' questo il tuo ringraziamento nei loro confronti? Non vorrai mica passare per maleducato?!" mi rimproverò severa. Notai Zayn incrociare le braccia mentre metteva su il suo solito sorrisetto soddisfatto, guardandomi poi con sfida ed aspettativa.
Rivolsi, poi, lo sguardo alla donna che mi aveva messo al mondo come se fosse un'estranea. Feci un mezzo sorriso consapevole, prendendo lentamente la mia tracolla dal divano.

Come eravamo finiti ad evitarci in questo modo? Fino a qualche anno fa, mia madre sapeva tutto di me. Era la mia consulente, l'unica che sapesse regalarmi le parole adatte per farmi tranquillizzare. Diceva di essere fiera ed orgogliosa di me, del ragazzo che stavo diventando. Pensavo accettasse ogni parte di me, eppure qualcosa nel nostro rapporto si ruppe non appena feci coming out, due anni fa. Mio padre sorrise, rivelandomi di averlo capito già da qualche tempo. Mi abbracciò e mi disse di non preoccuparmi, non mi avrebbe mai giudicato negativamente. Mia madre invece...oh, mia madre. Rimase in silenzio, rivolgendomi uno sguardo glaciale, e senza dirmi nemmeno una parola, si rintanò nella sua camera da letto.
Fu l'inizio del decadimento della nostra famiglia, e non c'era giorno in cui io non mi sentissi in colpa per questo. Mi ero scusato più volte con mio padre, sentendomi la causa dei loro costanti litigi: mia madre non riusciva ad accettare che mio padre mi appoggiasse, e così iniziò ad attaccare anche lui. Geoff Payne mi tirò bonariamente un orecchio, ammonendomi.
"Non ti azzardare a chiedermi ancora scusa! Non è colpa tua, Lee, e anche se la tua omosessualità fosse il problema principale per cui tua madre ha chiesto il divorzio, beh allora meglio così! Non voglio avere nulla a che fare con lei, in questo caso!"
Questo mi riportò a pensare a quando ero piccolo.
La maestra chiese alla mia classe di disegnare il nostro eroe, ed io disegnai mio padre. Sarebbe stato il mio eroe per sempre, ed ero fiero di essere la sua fotocopia, esteticamente e caratterialmente.

Guardai a stento quella famiglia a cui non appartenevo - e mai sarei appartenuto - e scappai via da quella casa.
Uscii con l'eco di mia madre che mi richiamava ripetutamente, ordinandomi di fermarmi.
Ma era cieca o cosa? Come poteva pensare che fosse un "buon nuovo inizio" anche per me?
Quello era il suo posto, non il mio!
Io passavo tutto il tempo a litigarci, con quello schizofrenico, e lei che faceva? Ovviamente dava la colpa a me.
Lui mi disturbava, io dovevo smetterla.
Lui mi insultava, io dovevo scusarmi.
Lui mi tirava i capelli, io in punizione.
Lui mi faceva cadere, io dovevo stare più attento.
Con quella donna era sempre stato così. Ogni evento avverso, avveniva a causa mia. Anche quando, al tempo, litigavo con le mie sorelle.
"Tu non eri in programma."
La ringrazio, gentil donna, e come la mettiamo che io non sarei mai voluto nascere?
Indossai il cappuccio della felpa per proteggermi dalla leggera pioggerella che mi stava colpendo. Possibile mai che il tempo fosse cambiato così velocemente in corrispondenza del mio umore?
Mi incamminai verso l'unico posto in cui potevo stare tranquillo sentendomi protetto ed amato, raggiungendolo dopo dieci minuti, circa, di camminata.
Suonai il campanello allo specifico appartamento del palazzo ingiallito ed un po' malridotto che tanto amavo, sentendo subito un nodo allo stomaco per la nostalgia che mi attanagliò in quel preciso istante. Una volta aperta la porta, mi trovai di fronte l'unico uomo della mia vita.
Singhiozzando un "papà" , fra le lacrime, mi gettai fra le sue braccia, le quali mi accolsero subito stringendomi con forza, amore, dolcezza, sicurezza, protezione.
Era tutto quello di cui avevo bisogno, eppure mi era stato negato. Il tribunale mi aveva affidato a mia madre.
Capì subito la situazione, per cui mi fece entrare offrendomi subito una cioccolata calda ricoperta di marshmallows, come piaceva a noi. Ci sedemmo sul divano, uno abbracciato all'altro. Fece passare del tempo per farmi calmare, poi trovò il coraggio di chiedermi cosa fosse successo, così raccontai tutto ciò che mi capitò quella settimana, arricchendo il discorso di dettagli.
Gli spiegai tutto, senza interruzioni. Mio padre era un ottimo ascoltatore, di fatti commentò solo alla fine, dandomi come al solito consigli su come sopportare al meglio la situazione - nonostante non fosse delle migliori - ed insultando quella testa di cazzo del mio fratellastro, facendomi ridere di cuore.
Per tutto il pomeriggio mi divertii, ridendo sinceramente, e guardai film horror - il mio genere preferito - con il mio papà, mangiando schifezze varie e facendo qualche scherzo telefonico, per passare il tempo in modo spensierato.
Guardai fuori alla finestra accorgendomi di quanto il cielo si fosse scurito. Mi alzai di scatto dal divano guardando l'ora. Le 21:48.
MERDA.
"Devi andare, eh? E' tardi..." sussurrò quasi mio padre.
"Sì.." risposi flebilmente io.
Notò i miei occhi inumidirsi, e per questo mi abbracciò forte, rassicurandomi. Ci allontanammo dopo qualche minuto, così mi accompagnò alla porta. Mi tranquillizzò dicendomi che mi sarei potuto rifugiare da lui ogni volta che volevo, che quella casa sarebbe sempre stata nostra, e che potevo quindi raggiungerlo in qualunque momento. Aggiunse, infine, che gli sarebbe piaciuto rivedermi prestissimo. Annuii a quella proposta, sorridendogli debolmente.
"Ci rivedremo prestissimo, te lo prometto!" lo salutai con un bacio sulla guancia, un abbraccio da koala e con un sorriso forzato.
Uscii dalla mia vera casa, tornai a mettermi il cappuccio in testa e ripercorsi la strada a rovescio per raggiungere...casa Malik.
Entrai piano, cercando di non fare rumore, ma il mio sforzo fu del tutto inutile.

"DOVE SEI STATO?! LO SAI CHE A MOMENTI CHIAMAVAMO LA POLIZIA?! CI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO! TI ABBIAMO MANDATO ALMENO 20 MESSAGGI E CHIAMATO ALTRETTANTE VOLTE!" mi aggredì mia madre furibonda.
"Ero da papà." risposi senza nemmeno guardarla, riponendo le chiavi di casa sul piccolo mobiletto all'entrata.
Ed in due secondi la mia faccia era girata dalla parte opposta. Iniziò lentamente a bruciarmi la guancia sinistra - la quale stava prendendo un forte colorito rosso - e portai automaticamente la mano su di essa, guardando mia madre col braccio ancora a mezz'aria.
Guardai dietro di lei, trovando Yaser e Zayn.
Oltre ad essere schiaffeggiato, dovevo pure essere umiliato di fronte a loro. Perfetto.

"I-io..." provò a giustificarsi la donna di fronte a me.
"TU COSA?! MI FAI RIBREZZO! ORA NON HO NEMMENO IL DIRITTO DI VEDERE MIO PADRE?!" gridai fuori di me, lasciandomi sfuggire qualche lacrima, lasciandola spiazzata. Non le avevo mai urlato contro in quel modo.
Corsi in quella che era diventata, ormai, la mia stanza - spintonando Zayn per salire le scale - e mi chiusi dentro a chiave. Aprii il cassetto della mia scrivania con foga, presi le mie cuffie e mi buttai sul letto attaccandole al telefono. Cliccai "play" ad una delle mie playlist, alzando il volume al massimo in modo da estraniarmi dal resto, e passai così tutta la serata: a piangermi addosso, ad odiarmi più di quanto già non facessi, a desiderare che tutta la mia vita cambiasse, che tutto questo non fosse reale, che fosse soltanto un brutto incubo.
Mia madre era riuscita a farmi sentire in colpa per quello che ero, era riuscita a farmi odiare me stesso.
Quando i miei compagni di scuola iniziarono ad insultarmi, a schernirmi, a picchiarmi, io riuscii comunque ad affrontare tutto a testa alta, fregandomene del giudizio altrui, avendo quotidianamente il sostegno di mio padre.
Ma poi c'era stato il divorzio e ci eravamo trasferiti e lei...lei, in poco tempo, mi aveva convinto che meritassi ogni parola dispregiativa rivolta nei miei confronti, che meritassi ogni pugno, ogni calcio, ogni spintone, ogni furto. Mi aveva fatto rassegnare, mi aveva fatto sentire diverso, sbagliato, anormale, malato - come mi definivano in molti.
Rendendo pubblica la mia omosessualità, mi aspettavo di certo questo comportamento da alcuni. Sapevo che molte persone avevano una mentalità chiusa ed ottusa...ma non pensavo che mia madre rientrasse in una di queste.
Avrebbe dovuto sostenermi, starmi vicino, consolarmi...non dare corda a tutte quelle cattiverie.
E se non avevo nemmeno l'appoggio di mia madre, come potevo pretendere che mi accettassero gli altri?
Strinsi forte il cuscino, girandomi su un fianco. Piansi fissando la parete che avevo di fronte a me, sentendomi completamente vuoto.
Inspirai ed espirai lentamente, focalizzandomi su Doncaster. Tutto questo sarebbe finito, dovevo solo pazientare un altro po'.
Chiusi gli occhi ed immaginai il mio arrivo in quella meravigliosa città, immaginai il mio sorriso mentre passeggiavo fra quelle strade, cercando di visitare il più possibile. Immaginai l'appartamento che avrei affittato in centro una volta ambientato, il cane che avrei adottato, gli amici che mi sarei fatto. Mi immaginai a lavoro, mentre mi impegnavo per svolgerlo al meglio, per poi tornare a casa dal mio compagno. Mi immaginai il nostro primo incontro, il nostro primo bacio, il nostro matrimonio. Immaginai i figli che avremmo adottato, il modo in cui avremmo sistemato casa per avere più spazio. Immaginai i miei piccoli mentre addobbavano l'albero di Natale, e le loro risate mentre venivano presi in braccio per le decorazioni da mettere in cima ad esso. Immaginai la mia famiglia riunita a tavola il giorno del Ringraziamento, immaginai mio marito pulire le labbra sporche di nostro figlio. Immaginai le gite che avremmo fatto, i picnic sulla spiaggia, le scampagnate in montagna. Immaginai il giorno del mio anniversario, alla sorpresa che mi avrebbe preparato mio marito portandomi sul luogo del nostro primo incontro, avendo avuto la premura di lasciare i nostri piccoli con una babysitter.
Immaginai la mia vita l'opposto di quello che era ora: spensierata, felice.
E non so dopo quanto tempo, ma riuscii finalmente a cadere fra le braccia di Morfeo, sfinito.

You stood by me. || Ziam Mayne.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora