15.

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I giorni successivi a scuola furono tremendi. Nei corridoi attorno a me e ad Aria aleggiavano gli sguardi truci e i mormorii. Appena passavamo tutti si voltavano dal lato opposto, si scambiavano occhiate e bisbigliavano. Quei bisbigli mi facevano impazzire. Arrivavo persino a sentirmi in colpa per quello che era successo, poi ricordavo. Ricordavo quello che Simona aveva fatto e che avrebbe continuato a fare. Un sorriso malato mi spuntava sul viso e mi riempivo di felicità al pensiero che non ci fosse più. Simona infatti si era trasferita due giorni dopo con la madre in una città piuttosto distante, lasciando qui Claudio e il padre. Ah, Claudio...
Sapendo dell'accaduto era andato su tutte le furie. Ci evitava, non capiva come avessimo potuto fare una cosa simile. Non sapeva, ovviamente. Un pomeriggio riuscimmo a raccontargli tutto. Sul suo viso si dipinse un'espressione di disgusto e sorpresa. La ricorderò sempre. Era il ritratto di un ragazzo, di un fratello, incapace di credere all'assurdità delle azioni che gli venivano raccontate, frutto di una mente non sana. Claudio è stato uno dei pochi a capire la situazione e a non giudicarci. Certamente gli è stato difficile mantenere il rapporto che avevamo prima, ma non ci trattava come se fossimo assassine. Perché sì, proprio così apparivamo agli occhi degli altri. Loro non capivano, non ci provavano nemmeno. Noi eravamo dalla parte del torto perché l'avevamo picchiata, Simona, invece, era nel giusto. Proprio la Simona egoista che pur di tenere Marco per sè lo aveva portato all'amnesia. Questi pensieri ogni giorno mi occupavano la testa. Ad Aria, invece, non importava più di tanto. Era convinta di aver fatto la cosa giusta, come me d'altronde, e non si curava del parere altrui. Eravamo diverse, lo eravamo sempre state, eppure così uguali.
Era un venerdì pomeriggio di fine novembre, faceva freddo e il mare era in tempesta. La giornata perfetta per rimanere chiusi in casa sotto una coperta a sorseggiare cioccolata calda. Ma io non ero adatta a questo tipo di cose. Indossai un paio di calze lunghe pesanti e da sopra i jeans. Infilai un maglione pesante bordeaux e infine misi gli stivali. Un quaderno, una penna e la borsa. Scesi le scale in fretta, salutai con un sorriso Emily e Alex, feci un cenno a Sara e uscii. Il vento impetuoso batteva sul viso e mi scompigliava i capelli. Il freddo entrava nelle ossa e le rendeva come gelatina. Iniziai a correre per riscaldarmi. Chi può mai andare in spiaggia a fine novembre mentre é in corso una bufera? Io ovviamente. Ma a me piaceva osservare le onde infrangersi sugli scogli, la sabbia sollevarsi e il cielo scuro. È l'esempio che si può essere perfetti anche nell'imperfezione. È l'esempio che anche l'apparente tranquillità può trasformarsi in un'impetuosa catastrofe, temuta e rispettata allo stesso tempo. Cercai un posto riparato dal vento dietro le colonne del portico vicino la spiaggia. Mi sedetti per terra. Il contatto con il pavimento ghiacciato mi fece rabbrividire. Chiusi le mani a coppa, le portai al viso e ci soffiai dentro tentando di riscaldarle.
Aprii il quaderno alla prima pagina e inziai a scrivere:
"Caro Marco, vorrei che tu ora fossi qui, seduto su questo pezzo di pietra freddo, accanto a me. Ti racconterei del mio amore sconfinato nei confronti del mare. Ti farei ammirare e apprezzare tutte le sue sfumature. Vorrei che potessi vedere com'è bello il mare in tempesta proprio come il flusso dei miei pensieri. Ti porterei qui ogni giorno, nel mio rifugio segreto, lontani da tutto e da tutti. Aspetteremmo il tramonto e rideremmo fino a non poterne più. Prenderei la macchina fotografica e inizierei a scattare foto alle cose più belle presenti: tu e il mare. Inizieremmo a ballare sotto la pioggia, sempre qui, sempre sulla spiaggia, nel mio, nel nostro rifugio. Ti farei leggere le poesie che scrivo nel tempo libero, ti farei diventare oggetto di esse. Vorrei vedere il tuo sorriso a sentirmi pronunciare quelle due paroline, pronome e verbo. Vorrei sentire il loro suono provenire dalla tua bocca. Vorrei rimanere qui tutta la sera abbracciati. Potremmo fare e dirci tante cose. Vorrei solo aver avuto più tempo. Ora io sono qui ad accanirmi su un foglio di carta, con le dita rosse per il freddo e per la forza con cui stringo la penna, e tu, tu sei in una stanza bianca di ospedale a cercare di recuperare i ricordi. Che brutta cosa i ricordi, eh? Fanno male, tanto, ma senza di essi non potremmo vivere. Senza di essi non possiamo vivere. A volte vorrei dimenticare tutto anche io, smetterei di soffrire. Ma poi ci ripenso. Senza il ricordo del tuo sorriso, dei tuoi occhi verdi, di quella prima volta in cui ci siamo incontrati, come potrei vivere? Come potrei affrontare le mie giornate consapevole della perdita di certi ricordi? Te lo dico io, non potrei. Mi manchi, mi manchi tanto. Il tempo è crudele. La nostra felicità è durata un attimo, il dolore invece sembra non voler passare. Ma arriverà, arriverà anche per noi un periodo di solo splendore. Ne sono sicura. Si aggiusterà tutto e tu tornerai da me. Ritorneremo insieme. Nel frattempo custodiró gelosamente i nostri ricordi. Li custodirò anche per te. Non permetterò che nessuno più ce li porti via. Li terrò per me fino al tuo ritorno. Poi li convideremo. Fino ad allora li chiudo in questa lettera.
Ti amo, Luna."


Quindicesimo capitolo! È un capitolo di passaggio. Nella prima parte capiamo un po' cosa è accaduto dopo la rissa tra Aria, Luna e Simona; nella seconda, invece, la nostra Luna è presa dallo sconforto. Scrive una lettera a Marco, imprime i suoi pensieri e i suoi desideri su un foglio di carta. Come continuerà la storia? Ci saranno solo altri periodi bui o anche il periodo di splendore tanto sperato dalla protagonista? Continuate a leggere e lo scoprirete. Ditemi cosa ne pensate, baci.❤️

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