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Un anno dopo
Il vento mi scompiglia i capelli, la sabbia si solleva e si insinua tra i vestiti. Il cielo è cupo, grandi nuvoloni neri annunciano una tempesta imminente. Tuttavia il mare è calmo, di un colore che riflette quello del cielo. Mi tolgo le scarpe e a grandi passi mi dirigo verso la riva. La sensazione dell'acqua ghiacciata a contatto con la pelle nuda dei miei piedi mi fa rabbrividire.
Mi siedo proprio lì. I pantaloni a poco a poco si inzuppano e il mio corpo è scosso da brividi sempre più violenti. Sto tremando.
In questo momento potrei sembrare una pietra, una fredda pietra, scalfita dal tempo e pronta a farsi consumare ancora e ancora.
Ho sempre amato il senso di immensità e, contemporaneamente, di impotenza che provo qui, su questa spiaggia. Ricordo ancora quando una volta, su questa stessa sabbia, ho dormito per una notte intera, dopo una fuga da un certo ragazzo. Dal mio Marco.
E in un certo senso la storia si sta ripetendo.
Fuggo sempre io, scappo via dal dolore. Ho sempre saputo di essere troppo debole e codarda per affrontarlo.
Le sue parole, le parole di quell'uomo in camice bianco, l'ennesimo, riecheggiano nella mia mente.
'Mi dispiace signorina, la situazione si sta ripetendo.'
Di nuovo, nel limbo dei ricordi.
È incredibile come quel maledetto giorno, in un attimo, sia cambiato tutto.
E sono sempre più convinta che la colpa sia solo mia. Se quel giorno avessi rifiutato, se non fossi andata in discoteca con lui, se l'avessi avvisato in tempo, se non fossi rimasta lì imbambolata a guardare e a urlare, se...
I miei pensieri sono occupati da ipotesi su ipotesi, ma so che non servono a nulla. Non si può mica tornare indietro nel tempo.
Ed ecco di nuovo la voce del medico.
"Si tratta di una lesione traumatica non completamente guarita e che ora sta peggiorando."
Progressivamente Marco aveva iniziato a dimenticare le cose. Prima erano banalità, piano piano ricordi. Di nuovo. Avevo deciso di accompagnarlo a fare dei controlli. Aria, Federico e Claudio erano venuti con noi.
Le parole del dottore erano state quelle.
Ora sono due mesi che è in ospedale. Due mesi che ogni giorno vado da lui e me ne prendo cura. Due mesi di pianti continui e ininterrotti. Due mesi in cui non faccio altro che darmi la colpa di tutto.
"Ti amo, Luna. Sai che non mi dimenticherò mai di te."
Tutti i giorni mi ripete questa frase. Mi sembra quasi uno scherzo del destino.
Sono il suo ricordo indelebile, non si sa come. I medici stessi non se lo spiegano.
E a volte vorrei proprio che dimenticasse anche me, sarebbe più facile.
E a volte vorrei poter dimenticare anche io.
Avrei bisogno di un tasto 'reset', per cancellare tutto e rincominciare dall'inizio.
O forse sarebbe più facile un 'game over'. Tutto finito.
Perché sì, delle volte le decisioni più semplici sono le peggiori. E molto spesso, per non soffrire, per non rendere la vita ancora più complicata di quanto già non sia, scegliamo la strada più facile. La strada lineare e senza ostacoli che porta dritta alla rovina.
Proprio come sto facendo io adesso.
Non voglio più lottare, non voglio premere quel tasto di reset, voglio solo farla finita e trovare, forse, quella pace che mi è sempre stata negata.

Lentamente, ancora tremante, mi sollevo da terra. Sento la sabbia appiccicata ai miei vestiti bagnati. Decido di togliermeli e li lascio sul bagnasciuga. Rimango in biancheria intima. Il freddo inizia a penetrarmi nelle ossa. Le lacrime mi riempiono gli occhi. Sono stanca. Stanca del senso di colpa che non mi avrebbe mai abbandonato, e dei rimpianti che non potranno mai essere cambiati.
Senza pensarci più di una volta, mi tuffo nell'acqua gelida. Nuoto più che posso, mi allontano dalla riva. Mi fermo e inizio a galleggiare sulla schiena, con le braccia aperte per poter cogliere appieno quella tranquillità.
Non c'è nessun rumore, solo io e il mio respiro.
Sono sicura di quello che sto per fare. So che non è la decisione migliore, ma è la più semplice.
Inspiro un'ultima volta, godendomi la sensazione dei polmoni che si riempiono d'aria, mi raggomitolo su me stessa e mi lascio andare sotto la superficie. Chiudo gli occhi e l'acqua mi riempie le orecchie. Il silenzio ora è assoluto.
In questi istanti di pace sott'acqua inizio a pensare e a rivivere gli avvenimenti degli ultimi due anni. Ripenso ai miei genitori, quelli adottivi, ma anche a quelli biologici che presto rivedrò.
Emily e Alex mi mancheranno, troppo.
Mi dispiace non aver salutato Aria e tutti gli altri, ma non potevo farlo, altrimenti avrei perso la mia determinazione.
Resteranno sempre con me, ovunque sarò e qualsiasi cosa diventerò.
I polmoni bramano aria. I battiti del cuore stanno accelerando.
Tutto quello che devo fare è lasciarmi andare e respirare.
E così faccio.
Apro la bocca e inspiro con il naso, questa volta acqua.
La sento entrare nel mio corpo, investirmi con la sua potenza. Brucia tutto.
Il mio ultimo pensiero va a Marco.
Ti amo- sussurro sott'acqua, mentre vado sempre più giù.

E fu proprio ciò che più amavo a trascinarmi sul fondo.

FINE

Il sapore del mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora