Non gli avevo mentito!
Ero abbastanza certa di non averlo fatto.
Consideravo sul serio Stephen come mio migliore amico e nulla di più. Quindi non esisteva un nesso tra questa mia certezza e la rabbia che sentivo nel provarla; ogni volta che pensavo alla parola amico venivo colta dalla smania di distruggere qualcosa.
La mia mente vagava, sgusciando via dai confini. La zona che controllava l'oggettività e la capacità di analisi si era come addormentata. Annaspava. Sembrava venire lentamente sopraffatta dalla parte destra, quella dell'emotività, dell'irrazionalità, dell'intuizione. Che cosa stava accadendo al lato sinistro del mio cervello?
La risposta era ovvia. Significava che nella mia testa c'era effettivamente qualcosa che non andava. Ero malata, gravemente. Non ero normale.
E metà della colpa ricadeva sulle labbra di Stephen. Perché diavolo dovevano essere così belle e tentatrici? Se fossero state nella norma sicuramente non sarei mai arrivata ad accorgermi che ero mentalmente deviata.
Tutto girava e fuggiva nella mia testa, ogni pensiero perdeva di significato, o meglio, il significato continuava a cambiare senza darmi il tempo di stargli dietro.
Mi guardai allo specchio, concentrata, applicando il rimmel sull'occhio sinistro, poi feci un passo indietro e controllai l'insieme. Sfrecciai in corridoio, diretta verso l'ingresso di casa, e quasi investii mio padre.
"Dove vai così di corsa?", chiese, sorpreso.
"Ho telefonato al tuo amico. E' disposto ad assumermi se oggi non combino disastri".
Guardò l'orologio da polso. "Ma è presto. Fai almeno colazione prima di andarci".
"Sono troppo agitata per mangiare".
Mi bloccava la strada e per un istante pensai di spingerlo di lato, ma subito scartai quell'idea. Sapevo che in ogni caso mi avrebbe seguita fino alla macchina, facendomi perdere il doppio del tempo.
"Quindi ti sei finalmente decisa a restare?".
Ma perché aveva scelto proprio quel momento per farsi i fatti miei?
"E' soltanto una prova ma vale la pena di provarci". Andavo così di fretta che anche le mie parole erano uscite di corsa.
Non ero ancora certa di aver preso la decisione giusta, frutto di un compromesso con i miei pensieri in combutta. E sapevo che ragionandoci sopra avrei cambiato idea. Perciò dovevo tenermi alla larga da qualsiasi genere di distrazione. Mio padre compreso. Dovevo agire d'impulso, svuotare il cervello e salire in macchina. Questo era il primo, piccolo passo in avanti che ero riuscita a fare dal giorno che ero tornata e bastava un niente perché retrocedessi senza rendermene conto.
Inoltre avevo trovato su google l'indirizzo dell'unica palestra a Port Angeles e volevo passarci prima di cominciare il mio turno al Burgher King.
"Vedrai che andrà tutto a meraviglia". Mi aprì la porta, consegnandomi le chiavi della sua auto. "Non voglio che guidi quel rottame di tua madre", giustificò il gesto.
"Grazie".
"Finito di lavorare però, voglio che torni dritta a casa".
Mi rabbuiai. "Da quando ho dei divieti?".
Lo guardai da vicino e solo in quel momento mi accorsi che sotto gli occhi c'erano dei brutti segni bluastri, come se avesse passato una notte insonne.
Le sue labbra si piegarono in una smorfia. "Le stazioni ferroviarie potrebbero rappresentare per te una forte tentazione".
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La libertà più grande
RomanceAttenzione: nel libro ci sono scene di abuso, se ne sconsiglia la lettura ad un pubblico sensibile. TRAMA: Micol Connor non è mai stata baciata. Non vuole essere toccata da nessuno. Perchè quando aveva 13 anni è stata violentata. Ora ne ha 21 ed è t...