ANGELO CUSTODE

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"Non lo so fare questo ballo", piagnucolai.

"Lo so io", ribatté, e mi fece voltare verso la pista, posando entrambe le mani sulle mie spalle per paura di vedermi fuggire. "Segui me!".

Ero avvinghiata al suo braccio e trascinavo i piedi nella sabbia per non affondare i tacchi e ritrovarmi a terra.

"C'è qualcosa che non sai fare?". Cominciavo ad accusare un fastidioso senso di inferiorità standogli accanto.

Stephen riuscì a trascinarmi nel punto centrale in cui alcune coppie si stavano esibendo come dei veri professionisti, scoraggiando tutti gli altri ballerini. La musica cambiò e i ritmi si calmarono.

"Stephen, sul serio". Sentivo il panico ardermi la gola. "Non ho mai ballato in vita mia".

Le sue labbra si incresparono in un sorriso come le onde del mare, soffici, morbide, mentre si avvicinarono al mio orecchio.

"Non fare la difficile...". Guidò un mio braccio a cingergli il collo e intrecciò l'altra mano alla mia. "Potrai sempre dire che, grazie a me, non avrai fatto una figuraccia con Alex".

Mi stava prendendo in giro, era ovvio.

E mi ritrovai a roteare sulle punte dei piedi.

Inizialmente provai a controllare i movimenti degli altri ma poi mi arresi, accorgendomi che Stephen mi teneva ancorata a sé senza preoccuparsi di seguire il ritmo. La sua mano era salda su un mio fianco, mi obbligava a muovermi insieme a lui, ad ondeggiare a pochi centimetri dal suo petto. Non mi lasciava la possibilità di retrocedere di un solo millimetro, tuttavia nella sua morsa d'acciaio non c'era niente che mi portasse a credere di essere imprigionata.

"Ho parlato con Anne", dissi.

S'incupì e una profonda ruga gli scavò la fronte. "Sai tutto, quindi!".

"Ne so ancora molto poco".

Il senso di colpa arrivò improvviso, nello stesso istante che ricordai di aver provato dei dubbi su di lui. L'avevo mal giudicato senza sapere, avevo permesso alla mia testa di considerarlo manesco e impulsivo. Invece alla base di ogni suo gesto c'era un senso di protezione per Anne... ed ora anche per me.

"So di non averti dato una buona impressione di me la prima volta che siamo usciti insieme", mi lesse nel pensiero. "Il fatto è che le mani cominciano a prudermi appena Alex mi è accanto".

"Ma perché non vuole il bambino?".

L'espressione era ancora accigliata. "Anne non te l'ha detto?".

"Non abbiamo avuto il tempo di scendere nei particolari".

"A quanto pare Alex non vuole assumersi altre responsabilità", mi spiegò, lanciando un'occhiata ad Anne, seduta su un tronco con Trevis e altre due ragazze. "In questo momento è molto preoccupato per sua sorella Bea. Sembra che quella ragazzina goda a mettersi nei guai". Scosse la testa e sospirò. "L'anno scorso è stata fermata dalla polizia mentre faceva il bagno nella fontana comunale e se non fosse per suo padre l'avrebbero espulsa dalla scuola già da un bel pezzo".

Deglutii, tenendo a bada i ricordi. "So che il loro padre non è stato molto presente e che Alex si è sempre sentito responsabile per la sorella".

"Suo padre era il nostro professore. Te lo ricordi?".

Annuii, seria, e lasciai cadere il discorso per riportarlo su Anne. "Non posso credere che Alex possa essere tanto meschino da lasciare Anne ad affrontare tutto da sola".

"Credimi, lo è". Non c'era alcun dubbio nel tono.

"Forse potrei provare a parlarci io".

Mentre glielo proponevo cambiò di nuovo espressione lasciando svanire i tratti dolci dietro alla rabbia.

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