UN FULMINE NON COLPISCE MAI DUE VOLTE LO STESSO PUNTO

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Se solo la mia mente non si fosse lasciata sopraffare dalla paura non avrei impiegato tanto tempo a capirlo.

"Sto aspettando", mi incalzò Stephen.

Mio malgrado gli raccontai quello che avevo visto nel parcheggio del Burgher King e del modo in cui ero scappata.

"So di aver agito da stupida", conclusi.

Mi massaggiò una spalla e con uno scatto di lato mi ritrassi. Questo gesto ovviamente non gli sfuggì ma non scatenò in lui alcuna reazione.

"E so anche che quelle due ombre potevano essere due semplici clienti". Mentivo sapendo di mentire. Ma non potevo lasciargli sospettare nulla.

"Ti è successo di vedere qualcosa di strano anche vicino a casa tua?", chiese.

Tirai su col naso. "Non ci ho mai fatto caso... non penso".

"Vuoi andare alla polizia?".

"NO!", urlai, staccando la schiena dal muro.

"Okay! Niente polizia", parlò con calma, sollevando una mano in avanti e muovendola al ritmo delle sue parole.

"Niente polizia", ribadii. Pian piano avevo smesso di tremare.

Stephen contrasse la mascella, irrigidendo la faccia in una maschera di cattiveria da apparire più vecchio di me di una decina d'anni. Picchiettò due dita sul pavimento e cambiò posizione, incrociando le gambe. Sembrava non accorgersi del tremore che gli scuoteva ogni muscolo.

"Sarà bene tenere gli occhi aperti. Ed è inutile che ora ti dica che tu, da sola, non andrai più da nessuna parte", decretò.

"Che intendi dire?".

"Intendo dire che non ti perderò di vista".

Trafitta dal panico cercai di mettere a fuoco i miei pensieri e di separarli dai suoi. Intuii che stavo per perdere la testa. Avevo commesso un enorme errore, il più grosso forse di tutta la mia vita. Anni e anni di abnegazione, di silenzi forzati, ed ora mi ero lasciata andare proprio con Stephen, fornendogli senza volerlo un enorme indizio sul mio passato. Lo avrebbe smembrato, insieme a quelli che gli avevo fornito attraverso ogni mio atteggiamento, fino a ricomporre il tutto e arrivare quindi a capire cosa gli tenevo nascosto.

"Non voglio che sacrifichi il tuo tempo libero per qualcosa che magari ho solo immaginato", protestai.

"Non è un problema tuo", tagliò corto.

"E' solo un problema mio", sottolineai.

Si rabbuiò. "Pensi non sia in grado di difenderti?".

"Penso solo che tu stia esagerando le proporzioni di questa storia. Ho visto solo due ombre, non mi sembra il caso di preoccuparsi tanto. L'immaginazione a volte fa brutti scherzi, è statisticamente provato. Magari erano solo delle coppiette appartate".

"O magari no".

Finsi di pensarci su.

"Magari no", concessi infine, "ma andiamo, Stephen! Se avessi davvero paura pensi che non correrei dalla polizia? Non ti pare?".

Continuavo a mentire sperando che non se ne accorgesse.

Avrei mentito anche per tutta la notte se questo fosse servito a tenerlo il più lontano possibile da chi -e ormai ne avevo l'assoluta certezza- mi stava spiando nel parcheggio.

Stephen posò entrambe le mani sulle ginocchia e fece pressione, scattando in piedi. La sua agilità era per me qualcosa di assurdo.

"Quella della polizia mi sembra sempre l'idea più saggia", cercò di convincermi.

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