TRAPPOLA

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Quello che avevo provato ad immaginare prima di spalancare la porta non si avvicinava neanche lontanamente a ciò che trovai nella stanza.

Alex e Stephen erano in piedi, al centro, tesi come statue di orrore, con le mani protese in avanti in un tentativo di mantenere la calma. Due uomini erano con le spalle al muro, in mezzo a loro la sorella di Alex si contorceva, tenendo gli occhi puntati sulla punta del coltello che il padre di Stephen le stava premendo sulla giugulare. Nell'angolo della stanza, il padre di Alex era rannicchiato in un angolo con polsi e caviglie legati. Sebbene sulla bocca avesse una benda scura, riusciva a imprecare qualche suono indistinto. Le lacrime gli rigavano le guance, accarezzando dei lividi bluastri che si allungavano fin sopra le tempie. Dal naso colava un rigagnolo di sangue e alcune ciocche di capelli gli si erano incollate sulla fronte, accanto ad un taglio profondo che gli scendeva fin sotto la palpebra destra. Benché la stanza fosse in penombra riuscivo a distinguere senza difficoltà il suo volto.

Rimasi a fissare la sua espressione il più a lungo possibile, gioendo in silenzio della sensazione di sconfitta che gli lessi nello sguardo. Era come un dolce sottofondo che rallegrava tutti gli incubi che mi avevano tormentata ad occhi aperti, e che mi restituiva a ondate di gioia tutto ciò che mi era stato rubato.

Appena il padre di Stephen si accorse della mia presenza mi lanciò un'occhiata d'intesa, premendo un po' più a fondo la lama del coltello nella gola della ragazza.

La reazione di Alex fu immediata: si sporse in avanti, pronto a balzare su di lui e Stephen si gettò di lato, bloccandogli la strada.

"Non ancora", gli sentii dire.

Poche parole ma bastarono a calmare Alex che spostò la sua attenzione dalla sorella a me.

"Micol!". Alex sputò il mio nome, trasformandolo in un insulto. "Dimmi che non è vero".

Il respiro mi uscì in un rantolo, incrinando la mia voce. "Chiedilo a tuo padre".

Gli occhi di Alex slittarono veloci verso di lui, vuoti e indecifrabili. Poi di nuovo su di me. Un'ombra di furia gli scurì il volto. "Stai usando mia sorella Bea per la tua vendetta?", ringhiò.

"Sta usando tutti noi", precisò una voce.

Cercai di capire chi avesse parlato, guardando i volti ad uno ad uno e tenendo per ultimo quello della ragazza. Un lampo di speranza le attraversò gli occhi quando incrociò i miei. Distolsi lo sguardo, frastornata, sgusciando accanto alle gambe ben divaricate di Stephen. Sembrava pronto a balzare contro qualcuno sebbene i piedi fossero ben piantati a terra.

Il tono di Alex salì di qualche tono: "Hai usato la mia amicizia, hai flirtato con me!!! Lo sai come si chiamano quelle come te?".

Un urlo concluse la sua frase. Con sorpresa mi accorsi che veniva da me. Qualcosa mi aveva colpita al torace facendomi schiantare contro la porta. Le ginocchia già deboli mi si piegarono e caddi in avanti per il contraccolpo, acquattandomi sul pavimento. Confusa e disorientata afferrai la mano che Stephen mi stava porgendo, permettendogli di aiutarmi a rimettermi in piedi. Oltre allo spavento, sentivo un dolore lancinante al petto. Era difficile da ignorare col cuore che rimbombava aritmico, eppure mi costrinsi a tenere le labbra piegate in un sorriso misurato, per non dare a vedere la paura che pian piano mi stava paralizzando dal collo in giù.

Quando notai il modo in cui Alex cercava di oltrepassare la figura massiccia di Stephen che si sovrapponeva tra lui e me, facendomi da scudo, capii che era stato lui a colpirmi.

Stephen si spostò di lato, compensando un movimento di Alex. Si muovevano quasi contemporaneamente, leggendosi nel pensiero a vicenda, e assecondando ogni minima mossa. Era difficile stare a guardarli, ma ancor più difficile distogliere l'attenzione. Dalla parte opposta della stanza la ragazzina aveva cominciato a singhiozzare, ormai disillusa del fatto che fossi una sua alleata.

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