IRRICONOSCIBILE

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Mi risvegliai per il caldo torrido alle prime luci del giorno. Tenevo un braccio sopra gli occhi per difenderli da un fascio di luce che filtrava dalle persiane, una ciocca di capelli mi si era appiccicata alla guancia. La scostai e mi girai sul fianco, sperando di riaddormentarmi. Ma l'afa ristagnava nella piccola camera e qualcosa, un pensiero simile ad un sogno, si faceva largo nella mia coscienza, spronandomi a ricordarlo.

"La festa!", mi ricordai all'improvviso, saltando su d'istinto e scattando verso il bagno col beauty case.

Non avevo avuto ancora il tempo di svuotarlo, anche se ad essere sinceri non l'avevo fatto di proposito. Se non disfacevo tutti i bagagli mi sembrava di avere ancora una possibilità per scappare.

Mio padre uscì di casa prima che io scendessi al piano di sotto a fare colazione così trovai solo mia madre intenta a spadellare. Divorai una manciata di cereali e bevvi il succo direttamente dal cartone mentre organizzavo la mia giornata. Se avessi deciso di restare, cosa poco probabile, mi sarei dovuta trovare un lavoretto per non pesare sulle spalle dei miei genitori. Ma per il momento il mio unico impegno era quello di fare la spesa e tornare a casa il prima possibile per aiutare a preparare le tartine e i piatti freddi per la festa in mio onore. Era un programma semplice eppure ero eccitata all'idea di andare al supermercato, e la cosa mi spaventava.

Inutile stare a raccontarmi storie, ero in agitazione perché sapevo che al supermercato avrei incontrato Stephen. Dopo tutte le mie insistenze per non restare e il mio stupido giochetto di non disfare del tutto i bagagli, questa mia impazienza di rivedere un vecchio amico era del tutto immotivata e contraddittoria. Dei legami avrebbero solo messo in discussione ogni mio proposito ed era l'ultima cosa di cui avevo bisogno.

Chiusi il giornale degli annunci del lavoro e lo abbandonai sul mobile della cucina.

Avevo promesso alla nonna di averci provato almeno un giorno e lo avevo fatto. Erano trascorse ventiquattro ore e la festa organizzata appositamente per me era l'unico motivo per cui presi la strada che portava al supermercato anziché alla stazione. Non tolleravo l'idea di deludere o offendere i miei genitori, perciò sarei rimasta un'altra notte. Una soltanto! Non era un sacrificio così enorme dopo tutto.

Feci rotta senza indugio verso il mini-market, a qualche isolato più all'interno rispetto alla via principale, pittoresca e colorata, dedicata ai turisti. Essendo inizio estate non ce ne erano ancora molti, ma ogni tanto si incontrava qualche famiglia con la macchina fotografica che marciava verso il molo, al centro della baia.

Davanti alla porta del mini-market c'erano delle cassette in legno piene di frutta che formavano una specie di percorso obbligato che si doveva percorrere per entrare. Scostai la tenda a corde appesa al telaio della porta e schivai all'ultimo una girandola caduta dallo scaffale. Una rapida occhiata mi bastò per capire che era più sfornito di quanto mi fossi aspettata.

Comunque non dovevo acquistare molte cose; tolsi dalla tasca dei jeans la lista della spesa e mi avvicinai verso il banco dei dolci. Non impiegai molto a fare il giro di quei dieci scaffali impolverati, dove la merce era sistemata così in alto che dovevo saltellare per afferrare ciò che mi serviva.

Adocchiai il sacchetto dello zucchero proprio di fronte a me, tra il burro d'arachidi e la farina per dolci. Mi rizzai sulle punte dei piedi e quasi mi slogai un braccio nel tentativo di afferrarlo.

"Serve una mano?", mi chiese una voce alle mie spalle.

Ci rinunciai e ricaddi sui talloni.

"Per fare la spesa bisogna portarsi una scala da casa", grugnii, accorgendomi troppo tardi che a parlare era stato proprio un commesso.

Aveva i capelli scuri che gli si attorcigliavano attorno le orecchie, la pelle troppo abbronzata per credere fosse solo merito del sole. I muscoli erano messi in evidenza da una maglietta blu con le maniche strappate all'altezza dei bicipiti e il logo del negozio "Good to Go" stampato sul davanti. Aveva un look fintamente trasandato, di quelli che obbligano quasi tutte le ragazze a voltarsi per ammirarlo. Le linee nere di un tatuaggio tribale gli risalivano dal polso fino al gomito.

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