UNA VOCE SPICCA TRA MILLE VOCI

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La scia bianca di un aereo attraversò il cielo, perdendosi verso l'orizzonte nel punto esatto in cui il sole stava tramontando. La seguii con lo sguardo, provando ad immaginare come dovesse essere stare lassù a guardare il mondo da una prospettiva completamente diversa.

Fino a poche settimane prima avevo guardato la mia vita dietro ad un velo di dolore. L'avevo vista appannata, sbiadita e macchiata di una tonalità di grigio che alla lunga aveva congelato i miei sentimenti nello stesso modo in cui un lungo inverno in bianco e nero abusa del freddo per confinare l'estate in un angolo remoto e impossibile da raggiungere.

Mentre ora, una nuova luna era apparsa nel mio cielo, regalandomi una nuova prospettiva e dando inizio ad una notte illuminata da stelle che tenevano lontano il buio in cui per otto anni vi si erano nascosti i miei incubi peggiori.

La linea bianca tracciata dall'aereo, sempre più sbiadita e lontana, scomparve all'orizzonte inghiottita dal sole. Quell'aereo continuò il suo viaggio, incapace di vedermi e ignaro che i miei occhi invece avevano fantasticato su di esso. Da lassù si aveva una prospettiva completamente diversa, ma molti particolari sfuggivano alla vista, mentre da dove mi trovavo io potevo avere una chiara visione di ogni più piccolo dettaglio. Non mi serviva raggiungere il cielo per sfuggire da ciò che mi spaventava guardare.

Una mano si posò sulla mia spalla e mi tolsi le cuffiette dell'Mp3: la canzone Winter di Joshua Radin venne sostituita dalla voce di Stephen.

"Devo darti due cose", annunciò, sedendosi sulla sabbia, accanto a me.

Sbuffai. "No, no, no e no. Se sono i biglietti per la partita non ci verrò, te l'ho già detto. Se ne è andata?".

Corrugò la fronte, guadando prima a destra, poi a sinistra. Infine tornò a me. "Ma di chi parli?".

"Della ragazza che ha tentato di toccarti il culo almeno una decina di volte da quando ti sei allontanato da me per andare al bar".

Si lasciò sfuggire un risata, passandosi una mano tra i capelli. Sembrava imbarazzato ma forse mi sbagliavo. "Oh, quella! Non la conosco nemmeno...".

"Ci sei uscito una sera sei mesi fa", lo contraddissi mentre cercavo di togliere la sabbia dai miei stivaletti. "Me lo ha detto Anne".

Spalancò la bocca, probabilmente per negare ma poi ci ripensò. La richiuse, si grattò la fronte e infine parlò: "Ci sono uscito sul serio?".

Gli lanciai un pugno di sabbia sul petto. I granelli gli scivolarono rincorrendosi veloci lungo gli addominali fino alla cinta dei jeans. Era così bello che mi faceva quasi male guardarlo.

"Te ne sei portate a letto così tante che nemmeno te le ricordi!!", lo accusai, cercando di restare seria. La sua espressione confusa era talmente divertente che non riuscivo nemmeno ad arrabbiarmi.

Stephen stappò una lattina di birra e me la porse: "Ne vuoi un po'?".

Negai con la testa. "Allora! Cosa dovevi darmi?".

Un lampo di eccitazione gli illuminò lo sguardo. Fremeva per darmela, era evidente. Appoggiò la lattina in mezzo alle mie gambe e rovistò nel suo zaino. Ne tolse una cartella verde, poi mi guardò di sottecchi per un secondo e me la consegnò.

La guardai sospettosa. "Cos'è?".

Bevve un sorso di birra e cambiò posizione, posando gli avambracci sulle ginocchia. Il suo profilo si scagliava contro l'oceano, in penombra. Era quasi irreale.

"Ricordi quella notte?", enfatizzò l'ultima parola per farmi intendere che si riferiva alla notte in cui avevo tentato di portare a termine il mio piano di vendetta.

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