RESTA FUORI DALLA MIA MENTE

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Il buio era stato sostituito da una luce improvvisa e accecante. Spalancai gli occhi e mi ritrovai in una stanzetta anonima, con le pareti dipinte di azzurro. Davanti al mio naso una mano muoveva qualcosa di simile ad una minuscola torcia, spostandola a destra, poi a sinistra e infine ancora a destra. Cercai di muovermi ma qualcosa mi teneva ancorata sopra un materasso duro e rumoroso.

"Che succede?", biascicai.

La fastidiosa luce si abbassò insieme alla mano, rivelando il volto rugoso di un uomo che non riuscii a riconoscere.

"Alla fine ce l'ha fatta, signorina Connor", mi sorrise, svelando una linea di denti perfetta. "Come si sente?".

"Mi gira la testa".

"E' del tutto normale, non si preoccupi", mi rassicurò, concentrato sulla cartellina appesa in fondo al letto.

Sbattei le palpebre mettendo a fuoco il camice bianco che indossava e la consapevolezza si fece strada attraverso la nebbia. Sulla mia destra, un apparecchio collegato ad un monitor tracciava i battiti del mio cuore.

"Ha perso molto sangue", mi spiegò, "e nelle prossime ore probabilmente accuserà nausea e forti emicranie. Ma tutto sommato se l'è cavata piuttosto bene".

Controllò il monitor e il livello della flebo collegata al mio braccio. Dopodiché abbassò gli occhi sulla cartelletta che reggeva tra le mani e riprese ad elencare l'inventario dei danni che avevo subìto.

"A quanto pare non ci sono fratture ma ha riportato una brutta lesione all'avambraccio che abbiamo dovuto suturare con diciotto punti. Ha delle piccole lacerazioni sulla guancia, niente di così grave che non possa essere curato con qualche disinfettante. Le ho prescritto degli analgesici nel caso dovesse accusare emicranie e un antibiotico per i punti di sutura, perché c'è il rischio che si infettino...".

Smisi di ascoltarlo. Ricordavo molto poco di ciò che era successo e la mia mente si rifiutava di ricostruire l'accaduto. La mia mano che agguantava il posacenere era un fermo immagine, dopo di ché il nulla. Solo il buio, solo un vago ricordo di un sogno che sapevo di aver fatto e che non volevo assolutamente imprimere nella mente.

"Signorina Connor?", mi chiamò, posandomi una mano sulla spalla. "Mi sta sentendo?".

"Sì".

"Si sente male?".

"No", risposi in fretta, stando attenta a non muovere neanche un muscolo.

Sospirò. Un sospiro pesante e lungo. "L'ha trovata un suo amico. Ora è qua fuori".

D'istinto pensai a Stephen, alla paura che doveva aver provato nel trovarmi svenuta sul tappeto del salotto, inghiottita in milioni di schegge di vetro. Cercai di mettermi seduta ma la testa mi girava troppo.

"Ci sono anche i miei genitori?", chiesi.

"Saranno qui a momenti. Li abbiamo avvertiti appena arrivata l'ambulanza. Se la sente di ricevere visite?". Un sorriso stanco gli increspò le labbra. "Il suo amico qua fuori sta facendo il diavolo a quattro per convincermi a farlo entrare".

Annuii.

"Bene allora, vado a chiamarlo".

Controllò ancora una volta le carte e uscì, lasciando la porta aperta. Da lì a qualche secondo sentii dei passi avvicinarsi, sulla porta si scagliò l'ombra di qualcuno, seguita immediatamente da Alex.

"Alex?", sussurrai, sorpresa, dimenandomi sui cuscini.

Si avvicinò in punta di piedi e si chinò a baciarmi la fronte.

"Mi hai fatto morire di paura".

"Lo so. Mi dispiace. Non deve essere stato bello trovarmi in quello stato".

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