PSICOLOGO

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"Se vuoi la prendo io quell'ordinazione", mi propose Giusy, guardando di sbieco le occhiaie nere sotto i miei occhi.

Al Burgher King era stata una mattina piena di lavoro ed ora finalmente il locale si stava svuotando. Al momento erano rimaste solo due persone e a giudicare dalla loro accesa discussione non se ne sarebbero andate tanto presto.

"D'accordo, fa pure", risposi.

Riempii i portatovaglioli e mi affrettai a fare il giro del bancone dove poco prima avevo tolto dalla lavastoviglie una dozzina di bicchieri e almeno cento forchette. Stavo togliendo le macchie di calcare dal bordo di un bicchiere quando d'un tratto, senza una ragione, nei miei pensieri si insinuò il volto mozzafiato di Stephen. Qualcosa dentro di me cominciò a muoversi. Una strana sensazione sconosciuta si materializzò nel mio cuore, facendosi strada a forza per uscire da lì.

Subito non capii di cosa si trattasse.

"Stephen", mormorai il suo nome tra me e me, pensando a lui con un'intensità tale da farmi sentire nello stomaco una sensazione di panico misto a felicità.

Mi accorsi che stavo rigirandomi tra le mani lo stesso identico bicchiere e sbirciai verso Giusy, certa di trovarla ancora al tavolo degli unici due clienti rimasti. Ma non la trovai dove pensavo. Stava rientrando proprio in quel momento dalla sua pausa.

Da quanto stava andando avanti così? Per quanto tempo ero rimasta imbambolata a pensare a Stephen?

"Sei allegra, oggi!", notò il signor Robert, rientrando fianco a fianco con Giusy.

"Ehm, sì". Ero distratta.

Sentivo i miei piedi sollevarsi da terra, facendomi fluttuare nell'aria. Era la prima volta che provavo una cosa simile, eppure ero abbastanza certa di sapere di cosa si trattasse. Nella mia assoluta inesperienza sapevo cosa mi stava succedendo, lo sospettavo quantomeno, e nel momento stesso in cui l'idea mi affiorò in mente ebbi la certezza di non sbagliare. Forse l'avevo capito già alla palestra, mentre vincevo la mia paura di toccare Stephen. O forse, a farmi scattare un campanello d'allarme, era stata la nostra ultima telefonata.

Dal fondo dello stomaco sentii salire veloce un brivido che planò alla base della gola, sgorgando in un verso stridulo che somigliava vagamente ad una risata.

Mi stavo innamorando? Era questo ciò che mi stava accadendo? Era possibile?

Pur sentendomi raggelata continuai a lavorare fino alla fine del turno, concedendomi una pausa solo quando dovetti andare al bagno. Uscii dalla porta sul retro, salutai Robert e mi infilai in macchina. Alla luce del sole quel parcheggio non era così terrificante; macchie bianche e celesti di fiori estivi si spargevano a vista d'occhio tra i fili alti d'erba, ai lati degli alberi.

Affondai il piede nell'acceleratore e la macchina protestò, ringhiando e spegnendosi, come la sera prima. Non potevo guidare in quello stato. Dovevo prima calmarmi.

Non capivo il perché mi sentissi tanto shoccata. Dopotutto sapevo che sarebbe successo prima o poi, altrimenti non gli avrei mai permesso di meritarsi la mia fiducia.

Posai la fronte sul volante e cercai di distrarmi pensando alla festa di quella sera.

Grosso sbaglio! Grossissimo. Anziché rilassarmi mi irritai ancora di più.

Cosa sarebbe successo quando Alex mi avrebbe vista arrivare con Stephen? E lui? Come avrebbe reagito lui nel vedermi ballare col suo peggior nemico? L'unica volta che li avevo visti insieme nella stessa stanza avevano fatto a pugni. Come potevo anche solo sperare che quella sera sarebbe andata diversamente?

Avrebbero litigato un'altra volta e questa volta per colpa mia. Mi ero ritrovata coinvolta senza nemmeno accorgermene e non avevo idea con chi consigliarmi. Anne era da escludere poiché, se avevo visto giusto, aveva problemi ben più seri di cui occuparsi che una scaramuccia tra amici. Con Trevis non avevo praticamente confidenza e l'avevo visto solo una volta da quando ero tornata a Port Angeles. Mi restava Sarah. Ma lei non sapeva nulla delle vite dei miei vecchi amici. A dire il vero nemmeno io sapevo più nulla delle loro vite.

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