Capitolo 22

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Il torpore oltre il buio era inestimabile e prezioso nel suo contesto. Sembrava che tutto intorno a loro svanisse in quel preciso istante che andava bruciando insieme al tempo che sembrava essersi fermato proprio in piccoli attimi perfetti. Wendy sentiva la rabbia dentro di sé venire accompagnata da una strana sensazione di calore che quasi la infastidiva. Era come se urlasse tutta la sua ira dal suo interno fuori, venendo sentita ma non ascoltata. E dopotutto, il delirio poi diventa eco, e sentire tutto ciò dentro di lei, la uccideva.
Gli occhi di Peter Pan, freddi e immensi come un buco nero, erano fissi in quelli di lei. Era avvenuto tutto. Eppure lei non sentiva solo l'ira in lei, o il vuoto, era come se quel buco nero dentro di lei venisse invaso da una sensazione di benevolenza, come se si sentisse protetta da quella piccola gabbia formata dai loro corpi in cui Peter la teneva. Lei fece un passo indietro, sbattendo nuovamente contro l'angolo del muro, premendo contro di esso come se avrebbe raddoppiato la distanza tra loro. Il ragazzo allontanò le mani dalle spalle di lei allonandosi leggermente, aspettandosi che lei sarebbe corsa via, ma invece era ancora lì.

«Mi dispiace» sibilò lui. Wendy si chiese se era tutto quello che aveva da dire, se dopo tutto il male che era successo quelle erano le uniche parole che lui riusciva a formulare.

«Le scuse non servono» fu l'unica cosa che lei riuscì a dire, avanzando vicino al volto di lui, avvicinandosi all'orecchio di lui.

«Tu, non servi» disse allontanandosi da lui e uscendo di fretta dalla casetta. Tremava per le parole che aveva lei stessa detto, come se il suo corpo si rifiutava di pensarla davvero in quel modo. Wendy prese un respiro per poi camminare nel boschetto, come se una parte di sé sapeva dove andare, chi trovare, e cosa fare. Era inquietante.
La luce di mille lucciole intorno ad un albero la incuriosì, avvicinandosi ad esse vedendole poi sparire via dentro il grande albero, tranne una, che prese la forma di un umana, facendole capire che quelle erano proprio fate. Prese un sospiro, guardando essa impassibile.

«Che cosa vuoi Wendy?» le chiese la fata. Lei la guardò per un attimo; sembrava finta, e nonostante fosse vera non riusciva a credere in lei.

«Trilly, giusto?» chiese lei.

«Si. Che cosa vuoi?»

«Stavi per dirmi una cosa, ma Peter Pan te lo ha impedito. Cosa stavi per dirmi?».
Trilly prese un sospiro per poi ridacchiare nervosa.

«Vuoi davvero saperlo?» le chiese la fata, che aveva incrociato le braccia pallide e luminose intorno alla vita coperta da un piccolo velo trasparente e luminoso che di poco copriva le sue nudità. Wendy annuì.

«Che sei senza ombra Wendy. Peter Pan ti ha presa per questo; voleva capire perché qualcun altro oltre a lui fosse "speciale". Non so cosa voleva concludere con ciò, ma alla fine si è innamorato di te» disse schifata alla fine «e chissà che cosa vuole farne di te dopo, forse ti ucciderà» continuò. Wendy la guardò esitante, non sapeva se credere alla fata oppure no, sembrava così innocente e veritiera, eppure c'era quel briciolo di oscurità nei suoi occhi, che sembravano emanare complicità e malevolenza, quasi come se vi entrasse luce dentro, non permettendo di illuminare il resto del corpo. Trilly sospirò facendo un passo indietro, come se la presenza di Wendy le desse fastidio, ed in effetti era proprio così, sbattendo le palpebre provocatoriamente.

«Guardi il groppo, eh? Noti l'oscurità in me, nei miei occhi. E non ti chiedi perché mi stia nutrendo? Si che te lo chiedi, ma sei troppo codarda per chiederlo, sei solo una ragazzina stupida che si fa sottomettere.» cominciò a parlare la fata, accarezzandosi il gomito. «lo vedi?» chiese nuovamente la fata indicandosi l'occhio, proprio nel punto in cui sembrava nascere la freddezza, invisibile alla vista. Wendy restò quasi pietrificata, non riusciva neppure ad aprir bocca. Trilly rise della giovane, per poi continuare a parlare con quel suo tono di superficialità. «Chiunque c'è la qui sull'isola che non c'è, e non pensare di poter scampare a ciò; anche tu hai l'oscurità, che ti piaccia o no.» concluse la fata. Wendy respirò pesantemente, per camminare via, sentendo la fata ridere. Aveva perso la memoria, la sua fanciullezza nonostante fosse su un isola senza età, e anche la purezza, ma sapeva di non aver perso la bontà. Sarebbe potuto essere successo di tutto in quel periodo di cui non aveva alcun ricordo, ma era certa che nulla l'avrebbe distrutta, né l'oscurità, né la sua ombra. Wendy prese un respiro profondo per poi girarsi verso di Trilly che non aveva smesso di bruciare lo sguardo su di lei.

«Io non credo nelle fate»

***



Wendy soffiò sulle sue mani fredde intenta a riscaldarle, nonostante la temperatura bassa impediva al suo fiato di riscaldare per più di un secondo le sue mani.

«Ciao» la voce di Peter risuonò nella sua testa quasi come il rumore delle onde faceva sulla sabbia in quel momento. Wendy respirò l'aria marittima per poi girarsi verso il ragazzo che era alzato poco dietro di lei, ammirandola in tutta la sua maestosità.

«ciao» rispose lei riluttante, per poi guardarlo con la coda dell'occhio mentre si distendeva sulla sabbia alla destra di lei, che osservava le stelle.

«Mi dispiace per oggi» disse lui, incrociando le braccia dietro la testa come cuscino, imitando la posizione di lei, osservandola, proprio come se l'unica cosa a risplendere in quel momento fosse lei, più delle stelle di quella notte e di tutte le notti più belle, ma lei per lui sarebbe stata sempre la più bella.

«non fa niente» disse freddamente lei, stupendolo di poco. «Voglio dire.. ormai è successo, perciò evita di ricordarmelo e di chiedermi continuamente scusa. Togliti il pensiero, io sto cercando di dimenticare» continuò. Nonostante il suo sguardo fosse fisso sulle stelle, poteva giurare di averlo visto annuire. Entrambi respirarono rumorosamente, scambiandosi uno sguardo, lei infastidita, e lui divertito, sembrando a chiunque avesse potuto vederli, dei bambini, come se fossero spensierati.

«Wendy?» la chiamò. La ragazza aspettò qualche secondo prima di rispondere, per poi girarsi su un lato, verso di lui.

«Che c'è?» chiese. Lui la guardò accennando un piccolo sorriso, per poi cingere i fianchi di lei con le mani, avvicinandosi in modo di rimuovere tutta la distanza rimasta tra loro, poggiando le sue labbra su quelle gonfie e morbide di lei, mordendole leggermente, per poi unirsi in un bacio. La lingua di lui chiese l'accesso, baciandola con tutta la foga e passione che aveva in lui.
Quel bacio poté durare parecchi minuti, facendoli rimanere senza fiato quando si staccarono dal contatto creato. Gli occhi erano immersi gli uni negli altri, ma non si poteva dire lo stesso dei cuori, o delle menti.

«Che cosa significa?» chiese lei. Nonostante conoscesse Peter Pan da soli cinque giorni, anche se era certa fosse passato più tempo, sentiva che nulla di lui fosse sincero, se non menefreghista.

«Cosa significa?» chiese lei.

«Che cosa significa per te?» le chiese. La ragazza lo guardò per un istante, per poi distogliere lo sguardo, ponendolo sulle stelle sopra di lei.

«Niente» disse. E non perché non significava davvero nulla per lei, era certa fosse sicuramente il contraio, ma sentiva che non doveva fidarsi di lui, era come se più lei si sarebbe creata per lui, lui l'avrebbe distrutta.
S

entiva che lui fosse un demone, e lei non voleva diventare come lui per via di amore, se così poteva chiamarlo. Lei non voleva amarlo, sapeva che l'avrebbe distrutta. Eppure se lo sentiva; la paura poi diventa amore.

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