17. Poligono

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Come ormai era abituata a fare, Katherine aspettò che Michael aprisse la sua portiera dall'interno.

Di solito non le dava fastidio attendere qualche secondo, ma in quel momento temeva di essere vista da un professore, quindi non desiderava altro che Michael facesse più in fretta. Si guardò intorno, nervosa. Sentendosi subito sollevata dal piccolo "click" che segnalava l'apertura della macchina. Michael le riservò il solito sorriso sghembo mentre la osservava salire sulla vettura, la ragazza non capiva ancora se stesse ridendo con lei o di lei.

«Ci stai forse ripensando, Katy?» chiese una volta che ebbe chiuso la portiera. Katherine scosse la testa con fare nervoso, non del tutto sicura della sua decisione, ma Michael sembrò ignorare il suo sguardo terrorizzato.

«Bene.» le disse invece, «Perchè ormai è troppo tardi.» Ingranò e partì come un razzo, facendo spalmare Katherine sul sedile.

«Questa partenza molto elegante non darà di certo nell'occhio.» fece allora sarcastica, cercando di sistemarsi alla meglio contro lo schienale. Michael fece una piccola risata.

«Se ci beccano do la colpa a te.» Il ragazzo mosse le sopracciglia in maniera comica, sorridendo quando lei spalancò la bocca fingendosi offesa, per poi riprendersi subito dopo.

«Io dirò che mi hai rapito.» fece allora sollevando le sopracciglia a sua volta, in una muta sfida. Michael buttò la testa indietro in una risata, riportandola poi con uno scatto alla posizione normale, un incidente stradale avrebbe decisamente rovinato l'atmosfera.

«Perchè dovrebbero crederti?» chiese, cambiando la marcia e avvicinando pericolosamente la mano al ginocchio della ragazza. Katherine si tese leggermente, ma cercò di non darlo a vedere, rispondendo a tono.

«Perchè no? Dopotutto sono una studentessa modello, mentre tu sei uno che si fa le canne vicino allo sgabuzzino dei bidelli... O nel bagno dei ragazzi.» aggiunse con enfasi, alludendo alla prima volta che si erano effettivamente accorti l'uno dell'altra, lui piegò gli angoli della bocca all'ingiù.

«Touchè.» disse, facendola ridere. Cambiò nuovamente marcia, stavolta sfiorando la pelle della ragazza e facendole venire i brividi.

Nell'ultima settimana sembrava che quei tocchi casuali fossero aumentati rispetto a prima, o forse era Katherine ad essere diventata più sensibile. Si chiedeva spesso se Michael provasse la stessa stretta allo stomaco che provava lei, quando lo sentiva così vicino. A volte sembrava che lui creasse di proposito quei piccoli contatti, in cerca di chissà quale reazione, mentre altre sembrava quasi che la evitasse. Katherine stessa alternava momenti in cui era sicura che lui provasse lo stesso sentimento, e altri in cui cercava di convincersi che lui lo facesse solamente perchè spinto da quella strana curiosità che l'aveva avvicinato a lei in primo luogo.

Immersa nei suoi pensieri, la ragazza quasi non si accorse che Michael stava parcheggiando la sua vecchia carretta di fronte ad un grigio edificio, completamente privo di insegne o indizi che potessero suggerirle dove esattamente si trovassero. Spalancò gli occhi quando lui uscì dal veicolo senza aspettarla, ne darle spiegazioni.

«Michael, dove diavolo mi hai portata?» chiese allora slacciandosi la cintura e uscendo per seguirlo verso lo stabile, lui non si preoccupò di chiudere a chiave la macchina, ne tantomeno di risponderle.

Spinse le porte di metallo, grige e anonime quanto il resto dell'edificio, e la fece passare per prima con l'imitazione di un gesto cavalleresco. Katherine entrò tentennante. La ragazza non aveva idea di cosa avrebbe dovuto aspettarsi, ma quello che si trovò davanti era come minimo insolito.

Credenze di esposizione in vetro e legno chiaro occupavano tre pareti della stanza, la quarta, quella su cui si affacciava l'entrata, era tappezzata da certificati e manifesti. Ovviamente la cosa inaspettata di quell'ambiente era ciò che contenevano le vetrine.

Rumors || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora