21. Carte False

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«Posso fare da sola!» La voce acuta di Monica arrivò con un trillo fino alla camera della sorella.

Katherine alzò gli occhi al cielo, fissando il suo riflesso allo specchio e cercando di sistemare l'eyeliner che proprio non ne voleva sapere di essere simmetrico.

Monica stava attraversando quella fase in cui era convinta di essere grande, e di poter fare tutto senza l'aiuto di nessuno. Soprattutto senza quello della madre, con cui negli ultimi tempi aveva un rapporto un po' teso.

La bimba stava per partire per un campus di due settimane organizzato dalla sua scuola di danza classica, era affiliata alla sua scuola elementare, quindi sarebbe contata come una gita. Gli studenti avrebbero partecipato a gare regionali e si sarebbero allenati con i campioni degli anni precedenti.

Impossibile spiegare quanto la sorellina di Katherine fosse emozionata solamente all'idea, continuava a fare avanti e indietro per la casa, blaterando di cose poco importanti, talmente emozionata da cancellare le proprie parole in profondi sospiri.

Katherine uscì dalla sua camera, ormai pronta per andare a scuola, e intrappolò la sorella in un abbraccio stritolatore, stampandole decine di baci sulle guance paffute da bimba. Monica non ne sembrava tanto contenta, ma a Katherine non importava. Non avrebbe visto quella peste per una settimana e stava facendo in una sessione quello che avrebbe fatto nel corso di quattordici giorni.

«Non ti sarai truccata un po' troppo?» Katherine si voltò verso la voce della madre, lasciando finalmente libero il mostriciattolo. Donna osservò il trucco scuro con un sopracciglio alzato e sguardo critico.

«Volevo spostare l'attenzione da questo brufolo.» disse indicando l'ospite indesiderato che aveva preso posto sul suo mento. Forse sarebbe riuscita a confonderlo tra le sue migliaia di lentiggini, ma non voleva rischiare.

La madre si limitò a scuotere la testa, ma non aggiunse altro, tornando in camera della figlia minore per finire di fare la valigia. Katherine non fece caso alla critica e scese al piano di sotto.

Quella mattina suo padre era andato in ufficio presto, e per qualche motivo la ragazza era convinta che non fosse una coincidenza il fatto che proprio quel giorno sua madre avesse il giorno libero.

Era da due giorni che a mala pena si scambiavano parola, e aveva molta paura che quella fosse la quiete prima della tempesta. Nonostante significasse che urla e pianti sarebbero finiti, significava anche la fine della vita come la conosceva.

Ora, Katherine non voleva sembrare melodrammatica, ma se davvero i suoi genitori avessero divorziato le cose sarebbero cambiate. Tanto.

Perchè non sarebbe stato possibile vivere allo stesso modo se lei e Monica avessero dovuto fare avanti e indietro tra due case. Perchè sapeva benissimo che suo padre non andava in giro per bar quando spariva per qualche giorno dopo i loro litigi, e neanche dai suoi nonni, dato che vivevano lontano. E non voleva nemmeno immaginate come la sua sorellina avrebbe potuto reagire a tutti quei cambiamenti, era così piccola, non meritava tutto quello che le stava accandendo.

Ovviamente nessuno lo meritava, ma per Katherine lei era la priorità.

Fu scossa dai suoi pensieri solo dal suono del suo cellulare. Urlò un saluto e uscì di casa.

Vide la macchina di Michael due case avanti alla sua. Gli aveva chiesto di aspettarla in un posto diverso perchè sapeva che sua madre era una migliore osservatrice rispetto a suo padre. E non voleva che sua madre la vedesse salire su un'auto piuttosto che andare a prendere l'autobus come al solito.

Avrebbe fatto domande, avrebbe capito e si sarebbe arrabbiata con Katherine. E, no, Katherine non voleva per niente vederla arrabbiata.

«Ciao Anna.» disse Michael una volta che si fu sistemata nel sedile del passeggero. La ragazza lo guardò con un sopracciglio sollevato.

Rumors || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora