La Gabbia (Cap. 2)

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La scala si componeva di due rampe, la prima fermava a un pianerottolo dove c'erano due porte, una era quella della bidelleria, l'altra era la sala della caldaia; continuando a scendere con la seconda rampa si arrivava al seminterrato (ovviamente l'ingresso a quest'ultimo era severamente vietato)nel quale si diceva ci fossero attrezzature della palestra in disuso, oggetti smarriti non reclamati e la leggenda vuole che il custode, il Signor. Miucci, ci abbia anche nascosto il cadavere di sua moglie.
Io, Monika e Sanders decidemmo di controllare mentre gli altri restavano in auditorium; perché non scappare? L'ombra poteva essere un bidello (o peggio ancora il Signor Miucci) che ci avrebbe fatto espellere ma se avessi fatto notare che non era una buona idea addentrarsi nel buio il mio caro amico britannico mi avrebbe dato del codardo; oltre all'orgoglio devo ammettere che anche una certa curiosità mi spingeva a perdermi per i meandri dell'Istituto dei Pazzi (così chiamato perché al posto di una scuola su questo terreno doveva sorgere un ospedale psichiatrico), il quale nonostante lo frequentassi da cinque anni aveva ancora molti segreti per me.
Monika e Sanders cominciarono a scendere con i telefoni i quali proiettavano un fascio di luce che a malapena scalfiva le tenebre, guardai la luna come se fosse l'ultima volta, feci un grosso respiro come se stessi per andare sott'acqua e li seguii.
Sul pianerottolo non fu concesso neanche il tempo di scegliere se scendere o entrare in una delle due stanze che si sentì un tonfo sordo arrivare dal fondo dell'ultima scalinata, poi dei lamenti...Sanders era caduto e implorarava aiuto.
Lí, nel buio più totale, non era tanto il fatto di non vedere nulla a inquietarmi, o il pensiero dell'ombra,era l'aria il problema; pressoché irrespirabile, pesante e fetida, sembrava che sul pianerottolo ci fosse dell'acqua stagnante o qualcosa di simile.
Sentii una presenza dietro di me, una mano si poggió delicatamente sulla mia spalla e..."Cos'é stato quel rumore?", "Mirko" sospirai," mi hai spaventato", risposi tentando di sembrare seccato ma dalla mia voce trasparí che ero in preda al panico; "Andiamo a recuperare Henry" concluse Monika cominciando a scendere.
A ogni gradino l'aria mi pareva più pesante, mi sentivo impregnato di quell'umiditá e dal respiro affannato di Mirko e Monika capivo che non ero il solo ad avvertire quel gas che ci avvolgeva.
Aiutammo Sanders ad alzarsi, era caduto proprio davanti alla porta del seminterrato, non sembrava si fosse fatto male e pareva potesse camminare ma poi ciò che disse mi colpì così fortemente che quasi fui io a non reggermi in piedi: "credo di aver sentito una voce provenire dalla stanza...".
La porta del seminterrato era molto particolare, era di legno completamente marcio, aveva una serratura dalla quale uscivano molle e filamenti e il pomello era arrugginito e usurato (come se fosse lí da piú di mezzo secolo) ma la cosa più strana è che su una delle estremità di questa tavola di legno degli orrori vi era una scritta, ben illuminata col cellulare si riusciva a leggere
-paziente 203-.
Monika senza dire una parola e con gli occhi persi nel vuoto strinse il pomello e aprí la porta.
Un'ondata di quell'aria putrida ci investí e davanti a noi si profiló uno spettacolo agghiacciante: strumenti di tortura arrugginiti, grossi recipienti che contenevano chissà cosa e in fondo alla stanza si riuscivano a vedere delle sbarre metalliche arrugginite, a causa della poca luce dei cellulari non si riusciva a vedere se ci fosse dentro qualcuno; un lamento confermò i nostri dubbi: c'era qualcosa dietro quelle sbarre, "una cella" mormorai, Monika fece un passo avanti e mi corresse "una gabbia".

Monika non c'è Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora