Capitolo 16.

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Mi svegliai di soprassalto e al mio fianco vi era Clara che mi teneva per le spalle.
«Cosa è successo?» le chiesi cercando di stabilizzare il mio respiro.
«Avevi iniziato ad agitarti nel sonno e non volevi svegliarti. Hai urlato più volte e...pensavo ti fosse successo qualcosa» mi abbracciò posando la testa sulla mia spalla.
«È stato solo un incubo niente di più» cercai di convincerla ma quello che avevo visto nel sogno mi aveva scosso molto e non riuscivo neanche a convincere me stessa, come pretendevo di riuscirci con lei?
«Va tutto bene ora, torna a dormire» aggiunsi staccandomi di poco dall'abbraccio.
«Per qualunque cosa chiamami»
«Va bene»
Clara uscii dalla stanza socchiudendo la porta. Non avevo la minima intenzione di richiudere gli occhi e addormentarmi di nuovo con il rischio che avessi potuto rivedere quelle immagini.

Erano giorni ormai che non chiudevo occhio o che, per quanto riuscissi a dormire, mi svegliavo poche ore dopo per colpa di qualche incubo. Gli effetti del sonno riuscivano a farsi sentire e diventava sempre più difficile nasconderli.

Le ore passarono lentamente e dopo camomille, tisane e camminate lungo la casa, si fece l'ora dell'alba.
Alle prime luce del sole iniziai a prepararmi truccandomi e vestendomi prima che Clara si potesse svegliare.
Avevo ancora due ore di tempo prima dell'inizio delle lezioni e, come da abitudine negli ultimi giorni, mi rifugiai dentro Tastes.
Dopo aver preso il mio solito caffè doppio e il solito dolce alla crema per Thomas, intrapresi la strada verso l'istituto con molta calma.

Passai per il sentiero più lungo così da metterci più tempo. Mi inoltrai nella stradina pedonale costeggiate da lunghe file di alberi su entrambi i lati. A parer mio, era un vero spettacolo in quel periodo dell'anno. Le foglie ormai secche ricoprivano la stradina e i rami, non ancora del tutto spogli, facevano da riparo.
Amavo passeggiare in quel punto della città data la poca confusione e la calma che regnava. Se non fosse stato per i grattaceli alti che superavano di gran lunga le chiome degli alberi, avrei detto che quella su cui stavo passeggiando, non era una banale stradina di New York.

Il "Paradiso" in cui mi trovavo venne rimpiazzato dalla fredda realtà che stavo affrontando. In lontananza si potevano scorgere i grandi cancelli dell'edificio che mi avrebbe tenuto prigioniera per sei ore consecutive. Stavo seriamente pregando qualcuno che mi venisse a salvare da quella tortura.

Oltrepassai i cancelli ritrovandomi nel parcheggio dell'istituto.
«Abby» come sempre ad aspettarmi c'era Thomas con un grande sorriso sulle labbra.
«Buongiorno anche a te» gli consegnai la bustina di carta bianca dove all'interno c'era la sua colazione. Avevo abituato bene il mio amico.
«Abby così mi vizi»
«Se non lo vuoi, puoi anche restituirmelo» ma come sempre lui lo addentò facendomi scappare una risatina.

Mentre Thomas finiva di mangiare, raggiungemmo l'aula in cui si sarebbe svolta la prima lezione della giornata e, udite udite... in quella lezione avrei sicuramente incontrato Jonathan.
Ripensando all'incubo avuto la sera, mi sentivo in imbarazzo e ancor di più sentivo lo stomaco come un blocco di cemento.
«Allora? Non vuoi entrare?»mi chiese Thomas assumendo un'aria pensierosa.
«No andiamo» mandai giù il boccone amaro che mi si era formato in gola e a passi lenti e indecisi entrai dentro l'aula che si era fatta più piccola tutto d'un tratto.

Incontrai il suo sguardo in penultima fila e un sorriso malizioso comparve tra le sue labbra.
«È successo qualcosa con mio fratello che io dovrei sapere?» alle parole di Thomas sussultai colta alla sprovvista. Ero diventata come un filo così teso che al minimo movimento si sarebbe potuto spezzare.
Negai con un cenno del capo e, prima che potesse aggiungere altro, mi sedetti a cinque file di distanza da Jonathan.
«Sei strana. Perché non ci siamo seduti al nostro solito posto?»
«Non ho seguito molto bene l'ultima lezione e-e così ho pensato che se mi fossi seduta più vicino al professore, non avrei avuto scuse per distrarmi» inghiottii a vuoto sperando con tutta me stessa che si bevesse quella scusa tanto banale e assurda.
«Mh» mugolò incerto.

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