Capitolo 2

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Corsi giù per le scale prima che mia mamma potesse ripetere nuovamente la stessa cosa e con un groppo alla gola chiesi scusa del ritardo, dopo essermi resa conta che i piatti erano tutti vuoti eccetto il mio. Mia mamma mise del cibo avanzato nel frigo sbattendo con forza lo sportello del frigo frantumando così qualche uovo che fino a qualche secondo fa era intatto; cercai di ignorarla in tutti modi, contendendo i mille rimproveri nei suoi confronti poggiati sulla punta della lingua. Tentavo di tenere ben stretti i miei denti, provare a essere indifferente. 
Ma in questo momento neanche il cibo riusciva a togliermi quell'amaro disgusto, niente calmava quella tempesta in me, nemmeno la quiete e il silenzio che avvolgevano l'aria. Avevo un casino nella mia testa, mi sentivo impotente e arrabbiata. Negli ultimi giorni, gli occhi di mia mamma erano pieni di furia e dolore al tempo stesso e adesso che ci penso deve avermi contagiata in qualche modo. E' come se entrambe avessimo bisogno di qualcosa, di qualcuno ma non riuscissimo a identificare cosa. La vedo, sconsolata e abbattuta, priva di forze, ci deve essere un motivo a questa continua sofferenza ma non comprendo proprio cosa sia. Insomma non l'avevo mai vista in questo stato, capisco che forse solo adesso sente la mancanza di papà ma perché proprio ora. Cosa le avrà fatto cambiare idea? Cosa avrà cambiato i suoi sentimenti? Cosa le avrà portato a ripensarci? Chi, cosa l'ha stravolta a questo punto?!

All'improvviso udii un piatto frantumarsi, mi voltai di scatto e agii d'impulso. Tolsi i piatti di mano a mia madre con tale brutalità da farla infuriare.

" Puoi anche andare adesso, qui ci penso io" mi rimproverò

" Non capisci: voglio solo aiutarti"

" E io non ne ho bisogno: forza va di sopra" disse puntando l'indice verso l'alto e stendendo il braccio mentre tamburellava con il piede sinistro aspettando che mi levassi di torno. Lei non digerisce la mia presenza quindi nemmeno io la sua. Poggiai i piatti sul tavolo, imitai un finto sorriso e con passo deciso mi precipitai nella mia camera.

La porta rimasta chiusa aveva imprigionato il calore all'interno della mia stanza tanto da non permettermi di pensare. Sbottonai la cerniera dei jeans, li tolsi in tutta fretta indossando dei pantaloncini di cotone e mi sfilai la camicetta rimanendo con la canottiera. Riordinai un po' di cose sulla scrivania, tra libri, quaderni e matite sfuse ovunque; gettai il tutto nello zaino ed incapace di resistere un secondo di più tra le pareti che rinchiudevano il calore soffocante con un gesto brusco girai la maniglia lucida della portafinestra che apriva sul balcone della mia stanza e mi appoggiai alla ringhiera prendendo una boccata d'aria. Quant'erano belle quelle stelle, tutte accese, tutte così brillanti, così splendenti. Che pace assurda, compresi tutto d'un tratto mentre scorsi la luna fuoriuscire da dietro una nuvola.

"Ehi splendore" disse una voce dolce e rassicurante attirando la mia attenzione.
"Ehi...Christian giusto?" chiesi dubbiosa riconoscendo il volto del ragazzo che mi aveva rovesciato addosso la bibita. Così dall'alto, da questo balcone... sembrava quasi umanamente credibile il suo sorriso. Il collo piegato all'indietro per potermi guardare negli occhi. Eccolo, di nuovo presente con la sua padronanza per il mondo, con tutta quella sicurezza da ragazzo potente che gli avevo letto negli occhi.

"Si, io in persona" annuì mentre un sorriso faceva capolino sul suo viso.

"Allora ti ricordi di me?" indagò scostandosi i capelli dagli occhi, lasciando intravedere due folte sopracciglia che sovrastavano lo sguardo meravigliato e orgoglioso allo stesso tempo orgoglioso.

Non diedi una risposta anche perché era troppo ovvia, mi limitai così a sfoggiare un sorriso splendente e annuire contenta. Il silenzio stava divenendo imbarazzante e privo di senso, indietreggiai quindi di un passo e lo salutai rientrando all'interno. Chiusi la porta-finestra e lo lasciai nel buio della notte. Presi le auricolari e schiacciai il tasto play osservando una delle cornici della mia famiglia appese al muro.

"Ahi!" lanciai un urlo stridulo sentendo una mano poggiarsi sulla mia spalla

"Ehi,ehi calma non voglio mica farti del male" si giustificò Christian alzando le mani in senso di innocenza pura e facendo roteare lo sguardo perso nel vuoto.

Ma cosa diavolo ci faceva qui, nella mia stanza. E in così poco tempo, a momenti dubitavo fosse un umano. Quasi un supereroe. O semplicemente sarebbe diventato l'eroe della mia vita.

"Mi hai spaventata..." dissi come se volessi dargli tutte le colpe dei miei ridicoli attacchi.
"...Cosa ci fai qui?"

"Mi ha fatto entrare tua madre" rispose diretto gettandosi sul letto con tutta la scioltezza possibile; era quello che più invidiavo in lui; tutta quella confidenza, la sicurezza in ogni gesto e la fierezza fissa negli occhi di ghiaccio ora puntati sul mio pessimo abbigliamento.

"Pensavo giusto di andare a letto" mormorai imbarazzata arrossendo per la troppa paura di guardarlo in faccia, quasi avessi commesso una peccato.
"Perfetto, adesso però devi aiutarmi e non accetto un NO come risposta"

"E se non volessi" protestai incrociando le braccia imitando una faccia così seria che i miei occhi già ridevano.

"Però tu lo vuoi" disse convinto mentre si stendeva in piedi. Un corpo slanciato di un metro e settanta, occhi azzurri splendenti d'un blu oltremare, colore dell'oceano in profondità, negli abissi più profondi, denti perfetti, braccia muscolose e capelli biondi che coprivano la fronte. Okay... le mani sono la prima cosa che ho notato; così perfette, così dolci e morbide, mani che emanano ora una calore fastidioso mentre le nostre dita sono intrecciate non so per quale motivo. Ho la testa china, ma sento i suoi occhi su di me, così belli da far paura. Sento improvvisamente delle vibrazioni attraversarmi tutto il corpo, la pelle si raffredda e l'emozione si fa sempre più forte mentre sussurra all'orecchio: "Sei mia principessa". Mi ritirai immediatamente, strappai via il mio corpo dal suo, mi mancava il respiro. Non amo condividermi con nessuno, né regalarmi ad altri, sono mia e non intendo abbandonarmi a sentimenti che non  mi appartengono.

"Cosa ti prende?" domandò quasi infastidito

"E' che non capisco"

"Cosa? Non puoi aiutarmi per il provino di domani"

"Ma io credevo.."

"Credevi cosa? Io non ti conosco"

"Allora perché sei venuto da me?!"
"Ho sbagliato, ecco tutto".

Prese il cellulare e uscì svelto sbattendosi la porta alle spalle. Non riesco a crederci, ho perso un'altra volta. Ho lasciato che la mia parte peggiore si impossessasse di tutta me stessa. Sempre lo stesso stupido errore che mi distrugge. Spensi le luci e mi infilai nel letto dopo aver osservato per un'ultima volta il cielo, dopo aver chiesto perdono alle stelle ed anche alla luna. Passarono minuti, uno dopo l'altro, ore una dopo l'altra ma era una di quelle notti in cui per quanti ci provi non riesci a dormire perché hai mille emozioni che esplodono in te. Mi manca, devo ammetterlo? Si mi manca da morire Christian. Soltanto ora mi rendo conto di quanto vorrei che mi fosse qui accanto, ammirarlo anche solo mentre respira. 

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