16. Ancora

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Feci un giro su me stessa e gettai con forza per terra una stupida statuetta raffigurante un elefante. Si ruppe in mille pezzi allo schianto. Non resistette all'urto, l'impatto era stato evidente, troppo potente per un'anima cosí fragile.
E se valeva la pena lottare per qualcosa o qualcuno in quel momento allora dovevo essere scossa e presa a calci per tutto.

Aprii lentamente le ante dell'armadio aspettandomi chissà cosa, magari una realtà differente e magica come quella di Narnia. Qualunque cosa potesse per un attimo fermare tutto e lasciarmi respirare. Perchè credetemi non è possibile restare in apnea per tutta la vita, bisogna pur trovare l'ossigeno da qualche parte e ricaricare i tuoi polmoni. Se necessiti di aria allora non puoi farne a meno. Ma se non ce n'è, cosa pensi di fare? Fino a poco prima avrei pensato di arrendermi, ora no. Avevo trovato qualcuno per cui valeva la pena lottare sul serio.

Tuttavia quel vestito non era adatto. E sapevo bene che nessun altro sarebbe sembrato tale per quella sera. Chissà quanto dovevo essermi illusa certe volte, pensando che Eleonora sarebbe rimasta. Credendo di aver trovato la migliore amica, colei che avrebbe dovuto spingermi a vivere tutte le avventure, trascinarmi e poi risollevarmi dai guai. Ma dai. Che stupida.
"Non sei ancora pronta?"
"Lo decido io quando sono pronta, okay?"
Ed ecco che il malumore andava peggiorando come il veleno che lentamente si espande in un corpo fino a farlo morire.
Ero così: non sapevo essere mite, avrei potuto fingermi di esserlo, ma non ero capace neanche di fare quello. Menzogne, su menzogne, a cosa servono? Avessero un scopo, un premio che ti rende fiero di quello che hai fatto allora sarebbe un altro discorso. In fondo lo sai che se menti, perdi la fiducia di qualcuno a cui ci tieni, e a quel punto beh... È dura andare avanti quando lui ti vede come un potenziale pericolo da evitare a tutti i costi.
Per Christian io ero tale. Non mi aveva considerata minimamente per tutto il giorno. Durante l'ora di Diritto aveva persino domandato alla prof di sedersi accanto a Greta. Non che la cosa mi abbia fatto effetto, semplicemente non me l'aspettavo. Insomma sì mi avevo bruciato parecchio che abbia preferito passare l'ora a discutere di moda e rapporti sessuali piuttosto che chiarire con me.

"Christian posso spiegarti"
"Non c'è niente da spiegare. È tutto okay" mi aveva risposto in modo distante. Era glaciale peggio del solito.
E da quell'affermazione avevo capito che realmente mi sentivo in colpa per qualcosa di innocente. E non era affatto un buon segno. Perchè se da un lato per lui era chiaro che fosse tutto a posto per me non lo era.

E intanto io rimango la stessa di sempre, perchè non trovo soluzione ai problemi in modo naturale, devo riflettere, pensare, colpevolizzarmi e poi chiedo scusa e basta. Termina tutto lì e niente cambia. Rimane tutto immutabile. E se devo dire la verità: questo non mi sta piú bene. Pretendo di crescere ed essere considerata una persona matura e ragionevole ma sono peggio di Greta in fondo.
Perchè inciampo rialzandomi senza muovermi. Insomma inciampo su me stessa, su uno stesso errore senza procedere.
E mi odio, odio quel viso con i tratti lineari che mi ritrovo davanti ad uno specchio. Gli occhi spaventati e sognanti di una sedicenne qualunque. Eppure sono sempre quella. Un po' distrutta, sempre pronta a cacciare dalle labbra parole che nascondono tutto il resto.

"Se vuoi che ti accompagni devi scendere adesso"
"Ecco allora puoi anche andare al lavoro ed io me la caverò da sola"
"Perchè fai così Desy? Non ti capisco proprio" contrattaccò mia madre spazientita dalla mia arroganza.
Scesi per salutarla e senza dire una parola lei andó via. La casa era vuota, come sempre del resto. Al momento Diego era in Estonia con Amanda a mettere negli scatoloni ciò che rimaneva. Mia madre al lavoro in uno stage di Toronto e mio padre non ci era mai entrato in quella piccola villa in cui rinchiudevo un po' tutta me stessa.
Diedi un'ultima controllata allo specchio e rimasi stupefatta dell'altezza. Mi sembrava di essere cresciuta troppo in fretta. Il vestito viola scendeva lungo fino alle caviglie mentre mi stringeva il petto proprio sotto al seno. Le braccia erano scoperte così come la gamba destra per via dell'apertura laterale dell'abito. I lunghi capelli biondi piastrati scendevano sulle spalle ed incorniciavano il viso leggermente truccato. Ed ero alta sì, merito dei tacchi neri che avevo acquistato appositamente.
Mi voltai intorno per assicurarmi che fosse tutto a posto, presi la borsa, il giacchetto e le chiavi di casa ed uscii dall'ingresso secondario.
Cacciai l'IPod dalla borsa e un po' malinconica feci partire una canzone. "Mirrors".
E dio quanti specchi c'erano stati nella mia vita, ma io avevo preferito coprirli tutti con un telo bianco ormai coperto dalla polvere.
Che poi quella luce e l'ombra sembravano così empatici. Sempre in sintonia, nonostante l'uno impedisse la presenza dell'altro. Anche io volevo essere così, ostinata ma colma dalla voglia di stargli vicino. E non si poteva dire che Christian mi mancava. Perchè non puó accadere. Non puoi affezionarti a qualcuno e poi così per caso dire che è tutto ciò di cui hai bisogno. Come quella bambina, che nel giardino fiorito della sua umile dimora teneva per mano un bambino. Era una scena surreale e forse non mi accorsi neanche di essere rimasta a osservarli troppo a lungo. Mi innamorai per un attimo dei loro sorrisi e di quegli occhi così meravigliosi.

"Guarda David c'è una principessa" urlò la bambina dai ricci capelli biondi.
"É vero, quant'è bella" annuì l'altro. Accennai un sorriso ai due ma a quanto pare 'riccioli d'oro' si ingelosì lanciandomi un'occhiataccia per poi dare una forte spinta David buttandolo per terra.
Il bimbo la afferrò per una caviglia e la fece cadere su di lei.
Loro si che sapevano cos'era la felicità pura.
Proseguii svelta poi verso il centro città raggiungendo il locale che avevamo appositamente riservato. Non notai nessuno all'interno nonostante l'ora. Feci un giro tra le pareti giallognole dell'ingresso. Mi diressi poi verso la sala principale, sulla destra il bancone dei drink ben allestito a quanto pare, di fronte le apparecchiature del Dj e tutto intorno le decorazioni che avevo raccomandato a Lilly, la proprietaria, di appendere.

Scivolai dentro la porta di quello che aveva tutta l'aria di essere un rispostiglio e intuii che non era vuoto. In effetti non appena avevo spalancato la porta, avevo sentito un freddo anormale all'altezza dell'ombellico. Il freddo di una bibita gelata, come quella che Christian teneva salda nella mano destra. La luce era fievole ma avrei riconosciuto la luminosità dei suoi occhi anche nel buio delle Tenebre.
"Ma lo fai di proposito ogni volta?!" mi scaraventai su di lui di scatto.
"Sei tu che non presti attenzione a quello che fai!"
Appoggiò la bibita su una panchina di legno che si trovava accanto alla parete destra dello sgabuzzino. Prese fiato ma si trattenne prima di dirmi qualcosa. Uscii di lì irritata mentre tentavo di asciugare la macchia sul vestito.
"Aspetta! Dove vai?" mi ammonì poco distante.
"Devo andare a cambiarmi! Come se non fosse ovvio deficiente"
"Deficiente a chi?!" mi tirò per un braccio facendomi voltare bruscamente verso di lui.
"Lasciami"
"Non ci penso proprio"
"Lasciami andare, ho detto"
"Ora e per sempre?"
"Ora e basta"
Christian accennó un sorriso strafottente ed io mi morsi il labbro inferiore rendendomi conto della mia ambigua confessione.
Solo allora mollò la presa ed io mi incamminai. Uscii frettolosamente ma mi resi conto che un'ombra vagante si ostinava a seguirmi.
"Cosa c'è adesso?" domandai.
"Ti accompagno"
Dio che rabbia. Perchè doveva tenermi sotto controllo? Che bisogno c'era di seguirmi e accompagnarmi ovunque?

Cinque minuti dopo aver attraversato due quartieri molto eleganti, notai l'assenza del suo respiro.
Mi voltaii e mi accorsi che si era bloccato per un istante.
"Vuoi dirmi che adesso rimani lì?!" sbuffai esausta.
"Non ti dava fastidio la mia presenza?"
"Daje vieni stronzo e non farti pregare"

Non aspettò neanche un istante per precipitarsi al mio fianco ed accompagnarmi fino casa discutendo dei più svariati argomenti. Mi sentii piú leggera come svuotata di un peso. Lui aveva accettato il mio bacio con Daniel e io non l'avevo aggredito per avermi rovesciato la bibita gelata sul vestito. O quasi.
"Allora è una cosa che fai con tutte, quella di bagnare i loro abiti intendo?"
"Solitamente solo con le più insopportabili tipo..."
"... Tipo me" completai la frase.
"Tipo la maschera che usi per coprire la vera te. Ecco tipo lei"

Rimasi spiazzata da quell'affermazione. E di domande in quel momento ce n'erano tante ma la più evidente era: E io chi sono?

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