Se c'è qualcosa che ho imparato è che le parole non sono catene, sono l'espressione di un pensiero analfabeta che non ha lingua, né colori, è semplicemente un brivido che scuote l'anima con una differente intensità delle vibrazioni. Le parole non sono incatenate inscindibilmente ad un concetto chiaro e conciso, siamo noi ad attribuirle un significato preciso, le diamo il valore che merita a seconda della forza che lega i nostri pensieri; se il tremito nel nostro corpo è provocato da un componente esterno, di conseguenza il calibro è meno significativo, se invece è un vortice che si origina nel cuore, be' quello è un altro conto. In quel caso le combinazioni infinite di lettere accostate si tatuano sugli stralci del tuo soffio vitale, ti accarezzano i palmi, si insinuano silenziose nel corridoio più buio ed angusto della tua anima fino a raggiungere il vuoto circoscritto alla tua mente in cui sprofondano pesanti. Provocano un suono metallico, un rumore che stride ad ogni svolta sui binari del destino.
Sapere di essere un'altra persona agli occhi degli altri mi agitava sempre più del dovuto, l'immagine che le persone conservavano di me come la copertina di un CD era piuttosto distante dalla verità solitamente. Non che la colpa fosse loro, magari solo in parte, un'analisi poco attenta di una tipa così poco interessante come me, diveniva a quel punto l'unico muro dietro cui schierarsi, per quanto fragile e infimo, era pur sempre uno schieramento che evidenziava la netta distanza che avevo interposto tra me e il mondo esterno. Un'opinione differente, mutata poi in un odio profondo per il pensiero altrui seppure valido e corretto secondo le scienze economiche, fisiche e culturali. Ma i motivi per cui mi ero imposta di gelare ciò che mi circondava erano altre, più profonde e concettualmente più ardue da comprendere. L'unica cosa che potrei tentare di esplicitare a chi sceglie di conoscermi a fondo è che di fatto non sono io ad essere fredda e acida, come molti continuano a credere, dentro di me c'è una grande confusione, una serie di dubbi, interrogative che incontrano l'infinito in un punto o in un altro, sentimenti forse, immagino che anche quelli occupino un angolo, dal momento che le lacrime non scelgono di scendere sulle gote per pulizia di una coscienza sporca, ma per il dolore che brucia lo strato superiore al diaframma. Oserei dire che esiste solo un varco aperto, profondo, in assenza di calore, interposto tra me e tutto il resto, dietro il mio confine continuo a preservare lo stesso mondo che probabilmente esiste sull'altro fronte. E' la distanza il problema.
Christian ha cercato di varcare il confine e credo sia precipitato o dopo essersi sporto oltre abbia fatto marcia indietro conservando di me un ricordo indelebile. Le sue parole però hanno fatto breccia nel cuore senza alcuna esitazione.
Dopo la conversazione della mattina avevo tirato uno schiaffo morale alla mia psiche e mi ero ritirata dietro il velo oscuro dell'ignoranza."Cosa hai?"
"Ti interessa adesso?"
"Guarda che mi dà semplicemente fastidio che tu sappia come gestire la tua vita e io no. Tutto qui"
"Volevo aiutarti prima" Bevvi un sorso del succo all'arancia e tracciai il contorno del bicchiere con l'indice evidenziando la perfezione della circonferenza.
Maddy tacque un attimo raccogliendo i pensieri, apparentemente si era sentita scavalcata, il che non era certamente un buon segno.
"Conosci Mike?"
"Chi?!" balbettò strabuzzando gli occhi mentre per poco non si strozzava con il frullato.
"Mike Harrison, hai presente? E' nella mia classe. Ha detto di conoscerti"
Ora beveva a grandi sorsi, come a prendere tempo. Si asciugò le labbra con un tovagliolo e retoricamente domandò: "Non è fantastico questo bar? Insomma il servizio e la qualità sono ottime. Forse il prezzo sarebbe da migliorare, ma del resto se paghi tutto tu"
Volse lo sguardo al televisore appeso alla parete di fronte ed evitò in ogni modo il silenzio e i miei occhi.
"Devi dirmi qualcosa?"
"Chi? Io? No assolutamente"
Una cosa era certa: la parte della bugiarda non sapeva recitarla. Tra lei e Mike c'era ben altro, inutile nasconderlo, l'unica domanda a questo punto era: Ma quando era accaduto tutto?
Raccolsi le confusionarie informazioni nella mia mente, ma qualcosa non quadrava. Maddy alloggiava in un albergo poco fuori Toronto ormai da un mese. Era una momentanea sistemazione prima di trasferirsi definitivamente qui e lasciare l'Estonia. Si sarebbero spostati a vivere in Canada lei, la madre, e Amanda, la futura sposa di mio fratello. Insomma un perfetto deja-vu. Loro padre rimaneva a Tallin, lui peró aveva una buona motivazione al contrario del mio. Si sentiva in dovere di prendersi cura di una madre malata. E fondalmentalmente era giusto, non si poteva negarlo.
"Andiamo di sopra a fare le valigie?" proposi.
"E' proprio necessario andar via?"
Scossi la testa decisa. Non c'era alcun bisogno di andar via. Non c'era nessuna ragione per cui tornare. Che pensiero masochista ed egoista. Esistevano tre validi motivi per prendere quel volo, buone ragioni intrappolate in situazioni decisamente scomode: dirigermi verso una stanza d'ospedale di cui avrei avuto il terrore di varcare la porta nel dover affrontare mio padre in condizioni disastrose, incontrare, accogliere, non era uno scontro; continuare l'anno scolastico ovviamente; la terza non esisteva affatto invece, non più. Ed era vero che i suoi occhi non avevano più effetto ipnotico su di me, almeno per adesso, adesso che si trattava di ammetterlo senza averlo di fronte.
"Non è affatto necessario, è d'obbligo" finii per concludere arresa ai sensi di colpa per il resto del mondo che continuavo a ignorare. Sarebbe dovuta essere una vacanza, uno stacco dalla monotona solitudine inesistente, invece era stato semplicemente una pausa di riflessione, peccato che le cose fossero più sbiadite e confuse di prima.Mi diressi verso la stanza di mia madre come per rimediare, ma non erano le mie gambe a condurmi bensì un senso di appartenenza che sentivo attraversarmi la pelle per la prima volta. Un paso dietro l'altro, le ginocchia molli e tremanti per la paura di essere rifiutata. Ma ci si poteva sentire rifiutati da una madre, era possibile?
Testa alte, spalle dritte e un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Si trattava di fingere no? Era la cosa che sapevo fare meglio ormai. E non avrei mai voluto ammetterlo e non lo avrei mai detto neanche a me stessa, lui però non si era accorto di nulla. Mi avvicinai al muro e sbattei la testa contro, ma chi ero? Cosa stavo facendo?"Desy che ci fai qui, non eri con Maddy?"
La scrutai dal basso, lo sguardo leggermente alzato. Non ne potevo più, dei rifiuti della mia vita, delle porte sbattute in faccia da me stessa, per tuto quello che mi negavo.
Un lacrima mi rigò il viso mentre mi facevo coraggio a reggere il suo sguardo.
"Si guarisce mai dalla solitudine, mamma?"
Era tutto più offuscato, le linee morbidi, nessuno spigolo nei paraggi, un unico colore il grigio delle nubi cariche di tristezza. La vidi avvicinarsi cauta e prendermi il viso tra le sue mani incrociando i miei occhi, asciugando ogni lacrima.
"Non sei sola. Non lo sarai mai. Io sono qui. Da sempre."
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Storm
Teen FictionDesy, originaria dell' Estonia, all'età di cinque anni si trasferisce in Canada con i genitori e il fratello maggiore Diego. Da quel maledetto trasferimento non ce'è niente la possa rendesse felice perché forse proprio sotto quella corazza, quell'od...