-Non mi sono mai sentito così... leggero.- concluse, appena muovendo le labbra, stanco come non mai, e chiuse gli occhi.
Si sentiva leggero, si sentiva sereno, si sentiva felice, si sentiva libero.
Non gli importava che ci fossero cure o quant'altro, la morte era troppo allettante per farsela scappare.
Fluttuava, così, nel cieco buio: sarebbe potuto morire in pace, almeno, sapendo che la sua morte avrebbe portato del bene tra la gente che amava, ma...
Poi cadde.Aprì gli occhi, la testa che gli bruciava. Vedeva tutto sfocato, i colori scuri che si plasmavano e cambiavano forma, come onde.
Poi la sua vista si stabilizzò, delineando i contorni dell'erba sotto di sé. Riprese a respirare.
Era tutto buio.
Ma non quel buio che una volta sentiva come una lama nel cuore, ma semplicemente...il buio della notte.
Una fresca ondata di vento gli accarezzò il volto, sferzando i suoi capelli e scompigliandoli.
Il suo cuore batteva ritmicamente, come...come se fosse normale.
Contro la guancia gli facevano il solletivo i ciuffi d'erba e la terra fresca, l'umidità gli penetrava tra i vestiti e tra le mani avvertiva i dolci petali dei profumati fiori.
E si sentiva leggero.
Il rancore, l'odio, la gelosia...erano tutti spariti, non esistevano più.
Chiuse gli occhi, assaporando l'aria fresca sul viso: era vivo o quello era forse il Paradiso?
Ma, d'altronde, perché mai qualcuno lo avrebbe mandato nel Paradiso, dopo tutte le cose cattive che aveva commesso?
No, non era morto, era vivo.
Con l'anima leggera, alzò leggermente gli angoli della bocca in un sorriso.
Un sorriso vero: non quel sorriso malvagio, provocante, possessivo, ma un sorriso dolce e felice, un suo sorriso.
Alzò lentamente la mano, ridendo, sentendo le sue terminazioni nervose contrarsi sotto il suo volere: era una sensazione bellissima quella di sentire le vdne palpitare di sangue puro e non sporco e pesante.
Sollevò la testa lentamente, quasi temesse che tutto quello fosse un miraggio, verso il cielo scuro, notturno, fresco, libero: come in un sogno, vide milioni e milioni di stelle luminose che illuminavano il firmamento come milioni di scritte, piccoli puntini irrangiungibili ma comunque bellissimi.
La Via Lattea danzava lenta, distendendo per il cielo scuro miriadi di sfumature viola e azzurrine, spennellando le stelle di luce bianca e inghiottendo l'oscurità per lasciar posto alla luna.
La luna sembrava una dama bianca, pallida, con un mantello di nuvole ai piedi e i capelli fluenti dipinti di stelle: era un faro nel mare della notte.
Gli venne una strana voglia, un desiderio che non aveva mai percepito: quella voglia di prendere un pennello e disegnare, predersi fra il vero e la fantasia, quella voglia di dipingere le cose belle che non vanno dimenticate.
Si rotolò sulla schiena, dolorante ma felice, osservando il cielo con gioia, come se non avesse mai visto niente di simile prima d'ora.
Sono Jonathan...non Sebastian, solo Jonathan. si disse, prima di sprofondare in un sonno tranquillo, il primo di diciassette lunghi anni.Sentì un viscido coso rotondo strusciarsi sul suo volto, inondandolo di alito fetido e guaire.
Spalancò gli occhi, sorpreso, e vide due occhioni marroni, una cosa scodinzolante e due zampe premute sulla sua schiena.
Il cane abbaiò quando lui si mise seduto, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando stirandosi come un gatto, e scodinzolò forte mentre Jonathan si chinava a grattargli le orecchie. Il cane si buttò a terra e rotolò sulla schiena, strappando qualche risata al ragazzo che non rideva davvero da anni.
Una signora dai vestiti costosi, vedendolo, arricciò il naso dal disgusto e tirò per il guinzaglio il suo cane, sparendo dietro ad un angolo del parco, con la bestiola che abbaiava arrabbiata.
Jonathan la seguì con lo sguardo, mettendosi seduto a gambe incrociate: cosa aveva visto in lui quella signora? In quel momento, lui assomigliava ad un barbone? Che aspetto aveva?
Spese qualche minuto per alzare gli occhi al cielo, per vedere il sole ancora crescente illuminare di arancione il cielo bianco: avvertiva sulle guance un po' di caldi raggi, e la tentazione di toccarsele era tanta.
Con agilità si alzò dal terreno umido del parco giochi, l'aria fresca del mattino che gli scompigliava i capelli; non c'era quasi nessuno, tranne qualche persona che gironzolava con i cani a spasso o con le valigie del lavoro sotto braccio.
Sono mondani. pensò, camminando verso la fontana rotonda al centro del piccolo parco: l'acqua fluiva dalla pietra levigata come un torrente in montagna, mentre cinque alberi torreggiavano ai suoi fianchi con i rami pieni di foglioline verdi scure.
Jonathan pensò che i rami dovessero essere spogli, visto che l'ultima volta che era stato sulla terra - se un mondo demoniaco si può chiamare terra - era inverno; poi, stranamente, quelle piante gli erano del tutto estranee.
Posò le mani sul bordo della bianca fontana, assaporando la brina su di essa tra le mani calde, e solo allora si rese conto di quanto fossero sporche: incrostate di sangue, secche, le unghie sporche di una sostanza nera.
Rimase ad osservarle, mentre ricordava tutte le cose malvagie che quella sostanza, nel suo corpo, gli aveva fatto fare. Provò odio per quello, odio per le cose che aveva fatto ma che non voleva fare.
Sangue di demone. si disse infine, immergendo le mani a coppa nell'acqua fresca: le mani si sciacquarono in fretta, oscurando l'acqua del color del sangue, che man mano si fece meno evidente. Avvicinò il fresco liquido alle labbra e le mani, con quella forma, in quella posizione, gli ricordarono la Coppa Infernale.
In preda ai ricordi, sciolse con velocità le mani e si allontanò dalla fontana, inspirando ed espirando con il cuore che batteva a mille.
La paura, paura che lui tornasse, che lo riportasse nel limbo nero dove non era nessuno ma allo stesso tempo parte di qualcuno...
Voi, come vi sentireste ad essere odiati da tutti quando non siete voi a commettere errori?
Come vi sentireste a essere criticati solo perché " siete il figlio di Valentine Morgenstern" ?
Come vi sentireste a vivere solo conoscendo l'odio, la gelosia, il rancore, e non saper a chi chiedere aiuto, a chi farsi salvare?
Infine, come vi sentireste a essere odiati persino dal proprio padre e dalla propria madre?
Penso non bene.
Deglutendo, Jonathan si riavvicinò all'acqua, guardando il suo riflesso: la donna di poco prima aveva ragione.
Aveva il volto magro e pallido più del solito, come il teschio di un cadavere, i capelli biondi chiarissimi macchiati di rosso e verde simili a paglia, le guance e gli zigomi pieni di lividi e terra e gli occhi...
Gli occhi.
Aveva gli occhi verdi.
Di un bel color prato, come di quello su cui si era addormentato la sera precedente; del colore della natura, della primavera che nasce, della speranza e dell'armonia della nascita. Erano bellissimi, forse un po' più chiari di quelli di Clary e più simili a quelli di Jocelyne.
Rilassò il volto, sconvolto dal piacere: non aveva più gli zigomi calcati, duri, quasi scolpiti nella granite, ma morbide guance colorite di porpora per il freddo, gli zigomi dalle linee dolci e le labbra sottili e leggere, di un color rosa pallido, invidiabili.
E gli occhi, quegli occhi rendevano il tutto più semplice, più povero, più umano.
Riprese l'acqua fra le dita e se le portò sul viso, strofinando via lo sporco dal viso e dai capelli; se li ravvivò passandoci una mano sopra, mentre le goccioline d'acqua gli colavano sul volto.
Nel petto, aveva una sensazione di leggerezza, di purità che lo rendeva felice, facendogli spuntare un leggero sorriso sulle belle labbra.
Sono Jonathan. si ridisse, fiero di quelle due parole.
Non era più Sebastian Morgenstern, ma solo Jonathan.
D'ora in poi, scelgo io chi essere. decise, ammirando il suo sorriso nello specchio d'acqua.
Quando il parco cominciò a essere affollato, i giochi di legno pieni di bambini, si allontanò dalla fontana sorridendo, anche se i mondani lo guardavano male per il suo strambo abbigliamento rosso.Non sapeva bene dove si trovasse, ma tutte le strade erano molto affollate, strapieni di gente di ogni altezza o etnia; c'erano alcuni venditori che, dall'alto di alcuni pulpiti, reclamavano a gran voce eventi o spettacoli o persino le parole della Bibbia in una lingua straniera a lui.
Cambiò i suoi abiti con alcuni usati scambiati da un venditore di strada, così da confondersi tra la folla: quella divisa rossa degli Ottenebrati gli aveva fatto ricevere molte occhiate curiose dei mondani e l'ultima cosa che aveva in mente era mettersi contro la polizia mondana.
Ora, invece, indossava una maglietta a quadri azzurra e degli jeans neri che gli mettevano in risalto la carnagione chiara e che lo facevano per confondere con la folla di turisti.
Inoltre, odiava quello che aveva fatto in passato: non voleva pensarci.
Non era colpa sua, non era colpa sua, non era colpa sua...
Bancarelle di ogni tipo e genere si affacciavano sulla strada, emettendo profumi deliziosi o cibi stravaganti super piccanti.
Ammirato, sporse la testa un po' più in là e per sbaglio andò addosso ad un signore, che urlò:
-Cuidado, chico!
-Oh, scusa...io...- cercò di giustificarsi Jonathan, ma il signore lo interruppe gesticolando.
- Estamos en México, no en América!- disse il signore, mentre i suoi baffi vibravano. Dopo qualche altra parola, si allontanò, continuando a dire:-Bah, los estadounidenses!
Jonathan, prima che potesse ribattere che lui fosse per metà svizzero e inglese, fu spinto dalla corrente di gente verso la piazza principale del paese di cui ancora non sapeva il nome.
Una cosa la sapeva: un po' grazie all'italiano che aveva imparato lui, un po' per i gesti del signore, fatto sta che capì che era in Messico.
Poi, che quella città fosse Città del Messico o chissà che altro, questo non lo sapeva.
Sono in Messico. Menomale che dovevo essere morto. pensò sbuffando, rendendosi conto di quanto avesse fame: non mangiava da...aspettate, Sebastian non mangiava molto, quindi teoricamente non mangiava da diciassette anni.
Wow, record. si disse, avvicinandosi ad una bancherella di tachos profumati e tortillas piccanti.
Quanto avrebbe voluto uno di quelli...al sol pensiero, gli venne l'acquolina in bocca.
Lo stomaco gli brontolò, chiamando a gran voce il cibo, ma Jonathan sapeva che non poteva permetterselo. Non aveva soldi o cose con cui scambiarlo.
Stava per chiedere al venditore se potesse dargli degli avanzi, quando dal fondo della via in fondo alla strada principale esplose un rumore terribile: un grido acuto, inumano, seguito dal suo eco che ne raddoppiava il volume.
Jonathan si girò e, con i riflessi di uno Shadowhunter, zigzagò per la strada principale, evitando la gente che camminava normalmente nella direzione opposta.
Nessun mondano si era accorto del rumore, nessuno tranne lui, e stava per chiedersi se non se lo fosse immaginato, quando arrivò nel punto da dove proveniva il rumore: ma non vi trovò niente.
Non c'era niente, tranne qualche cestino dell'immondizia e, più in alto, dei vestiti bagnati appesi su un filo davanti ad una finestra.
Girò su se stesso più volte, in allerta, ma vide solo una ragazza bionda con un vestito lungo nero da sera immergersi nella folla.
Ma dove diamine sono finito? si chiese, pensando che solo lui aveva sentito quel rumore.
Una cosa positiva però c'era: era lui, il vero lui.
Non era più comandato dal sangue di Lilith, non era più appesantito dal padre o dall'odio che tutti gli riservavano...
Era Jonathan Christopher Morgenster.
E per lui quel giorno era come se fosse rinato dopo anni di prigionia.
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Shadowhunters: Città Dei Dimenticati
FanfictionFinita la Guerra Oscura, Jonathan Christopher Morgenstern - conosciuto come Sebastian -, dopo aver passato diciassette anni sotto il controllo del sangue di demone, quando crede finalmente di poter morire e dare sollievo a tutti con la sua morte, si...