Capitolo XIX

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Non parlavano.
Se ne stavano semplicemente abbracciati sotto le lenzuola, i corpi che si strofinavano tra loro. Era una bella sensazione.
Abigail, che solitamente preferiva parlare, in quel momento se ne stava zitta, con la testa poggiata sul petto nudo di Jonathan. Il ragazzo le stava accarezzando i capelli con le mani, delicatamente, come se avesse avuto paura che lei fosse solo un'illusione.
Un fuoco caldo le scottava la pelle, come se il solo tocco di Jonathan le stesse accedendo qualcosa dentro.
-Ho avuto paura di perderti.- gli sussurrò, a fior di labbra, stringendo la mano libera di Jonathan con la propria: unite, le loro mani sembravano combaciare l'una nell'altra.
Come due pezzi mancanti di un puzzle: perfetti, uniti; incompleti, separati. si disse Abigail. E rimase soddisfatta di quel pensiero.
Quella frase, «Ho avuto paura di perderti», gliel'aveva ripetuta tante volte, mentre si amavano sotto le lenzuola, mentre il sollievo le bruciava il petto.
Jonathan era lì con lei, vivo, vero.
Questo si era ripetuta più volte, mentre le sue dita sfioravano il volto del ragazzo.
Jonathan abbassò lo sguardo su di lei: quello sguardo sorridente, dolce, con quegli occhi verdi felici, non più tristi e rassegnati. Le alzò il mento con due dita e avvicinò le sue labbra a quelle di Abigail, baciandola.
Abigail sorrise.
Jonathan aveva i capelli biondi platino arruffati in modo ridicolo, ma Abigail li trovava adorabili.
Sembrava il suo ultimo pensiero quello di avere i capelli fuori posto. Il primo, ovviamente, era Abigail.
La ragazza sorrise.
Si mise sopra di lui e prese a passare le dita nei soffici capelli del ragazzo, tranquilla: era da tanto che non sentiva quella sensazione di calma, tranquillità e quel profumo di casa, di amore.
Jonathan era la sua casa.
Dovunque fossero andati, pensò lei, con lui sarebbe sempre stata a casa.
Tra le sue braccia, nei suoi baci, persino al sol pensiero dei loro cuori che si battevano sul petto all'unisono Abigail sorrideva.
Jonathan non disse niente. Semplicemente si sporse in avanti e azzerò le distanze fra loro.
Solo Raziel sa quanto odiassero le distanze, loro due, dopo tutto quello che era successo.
Né Abigail né Jonathan volevano riprovare quel senso di impotenza, mentre qualcosa dentro di loro si spezzava: no, non volevano ripetere quel momento, mai più.
Stavano appena ricucendo i pezzi di un amore quasi andato perduto, e tutti gli altri problemi che li attendevano sembravano nulla in confronto a quello.
Fratello Zaccaria una volta le aveva detto che l'amore è un sentimento forgiato nel fuoco e nel sangue. Ora Abigail comprendeva le sue parole, e le utilizzava come proprie.
Sì, aveva avuto ragione.
L'amore è come un'arma, forgiata nel fuoco e nel sangue, nelle lacrime e nei sorrisi. si disse nella mente, mentre chiudeva gli occhi e assaporava il momento.
Il suono delle loro labbra che si scontravano si diffuse per la stanza silenziosa, mentre il fruscio delle lenzuola che si sfregavano sui loro corpi nudi erano un debole sussurro alle loro orecchie.
Sembrava che niente e nessuno potesse spezzare la loro piccola bolla di felicità.
Ma, d'un tratto, si aprì la porta.
Contemporaneamente, Abigail e Jonathan si voltarono verso la soglia.
Abigail si coprì con le lenzuola, impallidendo.
-Jace.- disse, mentre Jonathan si passava la lingua sulle labbra gonfie di baci, a disagio.
Suo fratello stava sulla soglia della porta con il volto sconvolto, arrabbiato e livido allo stesso tempo. Abigail non sapeva a cosa pensare.
Jace non si muoveva. Ma lei comunque notò come strinse i pugni forte, come se non volesse urlare loro contro.
Guardava Jonathan in cagnesco.
Il ragazzo, lentamente, spostò le mani giù dalla vita di Abigail, in movimenti lenti e controllati. Non sapeva nemmeno lui come comportarsi.
Abigail superò il momento di shock, strizzando gli occhi dorati e guardando il fratello temendo che potesse scoppiare: Jace stava diventando rosso, non sapeva dire se per l'imbarazzo di averli sorpresi nudi tra le lenzuola o se per la rabbia.
Spero con tutto il cuore che sia vera la prima. pensò Abigail, a disagio.
Ma, ovviamente, le sue speranze erano vane.
Solo allora Jace parlò.
-Abigail,- la chiamò gelidamente, fissando gli occhi su di lei: sembrava arrabbiato, molto arrabbiato.
Come se lui non lo avesse mai fatto con Clary.
-Vieni.- le disse, come se glielo stesse imponendo.
Ad Abigail non piacque il suo tono di voce.
Jonathan si schiarì la voce, stringendo la mano di Abigail con fare protettivo: come a dire, tranquilla, ci sono io qui con te.
-Ehi amico, va tutt...- cercò di dire, ma Jace gli lanciò un'occhiata di fuoco.
-Non sto parlando con te!- quasi urlò il fratello, con gli occhi dorati che sprizzavano rabbia.-Abigail, vieni.
Abigail non si mosse.
Non voleva.
Perché era così arrabbiato?
Perché invece non era contento per lei?
-Abigail, vieni.
-Ci vediamo dopo.- mormorò a Jonathan, lasciandogli un ultimo bacio sulle labbra. Il ragazzo sorrise.
Abigail si alzò e raccolse velocemente i suoi vestiti, infilandoli nel modo più veloce possibile.
Jace stava ancora sulla soglia.
Jace era ancora arrabbiato.
Abigail si sentiva a disagio.
Si mise i capelli biondi scuri su una spalla e, lanciando un'ultima occhiata a Jonathan, raggiunse Jace.
Il fratello, da vicino, le incuteva ancora più timore. Cosa veramente insolita.
Non gli sembrava quasi lui.
-Andiamo.- disse Jace, la prese per un polso e se la trascinò fuori dalla stanza, sbattendo forte la porta dietro di sé.
Abigail si lasciò trasportare, malgrado la presa di Jace le infondesse una strana sensazione.
Quando la lasciò, erano vicini alla rampa di scale di legno che portavano al piano di sotto. Il suo sguardo continuava a essere tagliente come metallo freddo e affilato.
Abigail sostenne il suo sguardo.
Nei suoi occhi dorati simili ai suoi, Abigail leggeva qualcosa che non vi aveva mai letto prima: qualcosa di strano, di malvagio, di estraneo alla figura calda che aveva del gemello.
-Jace, tutto bene?- gli domandò a bassa voce. Non si era neppure accorta che la voce le tremava, come se avesse paura.
Ma io non ho paura, non di Jace. È mio fratello, perché dovrei? si chiese da sola, ma non seppe darsi una risposta.
Jace non le rispose.
Stava avvicinando la mano macchiata di rune vicino alla colonna di legno della rampa di scale, con le dita serrate.
-Jace?- lo richiamò, cercando di attirare la sua attenzione.-Jace!
Jace, come in trance, alzò gli occhi su di lei: Abigail indietreggiò.
Vi leggeva chiaramente un sentimento che non aveva mai visto in qualcuno che non fosse un demone.
-Jace, c-cosa c'è?- domandò, la voce ridotta a un filo.
-Non ti ho portata qui per... per... per fare sesso!- urlò Jace, prendendole i polsi: sì, quel sentimento era forte in lui, come una malattia che stava prendendo possesso della sua volontà.-Soprattutto con quel... quel...
Abigail si strattonò via.
Non riusciva a capire perché Jace si stesse comportando in quel modo.
Le voleva incutere terrore?
Perché se era quello il suo obiettivo, ci stava riuscendo in pieno.
-Lasciami, Jace! Non sei tu che devi arbitrare la mia vita!- gli urlò allora, sorpassandolo senza neanche guardarlo.
La sete di vendetta nei suoi occhi era troppa, troppa come le gocce d'acqua nell'oceano.
Non... non se la sentiva di riguardarlo.
-Abigail, torna qui! Torna immediatamente qui!- le urlò dietro Jace, e Abigail sentì i suoi passi avvicinarsi.
Cercò di velocizzare il passo, ma si sentì presa per il polso.
Il cuore le saltò in gola.
Ma quando si girò, non c'era Jace.
Jonathan la circondò con le braccia forti, sorridendo.
Abigail rimase per un attimo sbigottita, ma ben presto ricambiò la stretta.
-Jonathan...- mormorò, assaporando il suo odore.
Il suo dolce, delicato profumo: le solleticò l'olfatto come petali di fiori.
Un senso di calma le appesantì lo stomaco, in modo innaturalmente veloce.
Ma un altro odore le ferì l'olfatto come una lama: un odore, un odore che non sentiva da mesi.
Abigail tentò di convincersi che non c'era niente. Chiuse gli occhi, sospirando.
Poi alzò la testa per vedere oltre la spalla di Jonathan e spalancò gli occhi. A terra, in una pozza di sangue, c'era Jace.
Una morsa fredda le cinse lo stomaco.
Le venne da rigettare, il dolore era troppo forte.
Il respiro le si serrò in gola.
Sentiva che l'aria le mancava.
-Jace...- disse come in trance, cercando di avvicinarsi al fratello.
Ma Jonathan la strinse forte, non permettendole alcun movimento.
Abigail strizzò gli occhi: no, Jace era sempre là. Dal suo petto si espandeva una macchia rossa da cui gocciolava, come in una cascata, il suo sangue.
Rosso.
Rosso come il peccato.
Rosso come l'amore.
Rosso come... il dolore.
Abigail iniziò ad alterarsi.
-Jonathan, lasciami...- mormorò al ragazzo, senza voce: Jace non si muoveva. -Jonathan, lasciami, ho detto!
Jace non si muoveva.
Ma Jonathan la stringeva forte.
Troppo forte.
In una morsa che, dopo quella allo stomaco, le sembrava la più dolorosa.
-Jonathan! Jace non si muove!- urlò allora, cercando di levare le braccia del ragazzo dal suo corpo.
Ma la sua presa era di metallo.
-Jonathan! Lasciami!- urlò ancora, spaventata. Sentiva gli occhi pizzicare, mentre l'aria prendeva a cazzotti il suo stomaco.
D'un tratto, la stanza si fece fredda.
Il respiro di Abigail si condensava in nuvolette, mentre la sua pelle rabbrividiva come raffreddata.
Provava un dolore lancinante, ma anche confuso.
Com'era possibile?
Cos'era successo?
Jace era...?
-Jonathan...- lo chiamò, cercando la sua voce a darle conforto.
Sentì il sorriso di Jonathan sulla sua pelle, mentre il ragazzo le sfiorava l'orecchio con le labbra.
Erano fredde.
Tutto era freddo.
Abigail rabbrividì.
Quella sensazione era netta. Come la ghigliottina sul collo.
-Ho sentito che ti dava fastidio, e così...- le mormorò, togliendole una ciocca di capelli dal volto.
Abigail si immobilizzò.
Il suo cervello stava elaborando.
Non capiva.
Cosa intendeva?
Cosa le aveva detto?
Il cervello elaborò.
Abigail spalancò gli occhi ancora di più.
-Cos-cosa hai fatto?- fece a mezza voce, guardando il corpo di Jace: i suoi occhi dorati erano aperti, non si chiudevano.
Abigail aspettò e aspettò, ma quegli occhi tanto simili ai suoi non battevano ciglio. Né il petto si alzava.
Un insetto si posò sulle sue orbite vuote, morte.
Abigail trattenne il respiro, scossa dai singhiozzi.
Jonathan non rispose, sempre con quel sorriso stampato sul volto: ma non era uno dei suoi sorrisi dolci e belli che Abigail adorava; no, quello non era il suo Jonathan.
Fu presa da un dolore acuto al petto, proprio sopra al cuore.
La presa di Jonathan ora le sembrava fuoco che le bruciava la pelle.
Sulle sue guance iniziarono a scorrere le lacrime, infrenabili.
-Jonathan...- mormorò piangendo.-Dimmi che non sei stato tu, ti prego.
Jonathan le alzò il mento con due dita per costringerla a guardarlo negli occhi: occhi scuri, neri, profondi e malvagi.
Abigail voleva urlare.
-Odio smentirti piccola, ma ora sono costretto.- le disse, avvicinando le labbra alle sue: restò in apnea con il viso a pochi centimetri da quello di Abigail, come se aspettasse qualcosa.
Abigail si sentiva in trappola.
Cercò di liberarsi dalla sua stretta, ma una mano di Jonathan le stringeva forte il bacino contro il suo.
Quello non era il suo Jonathan.
No, non poteva essere lui.
Un macigno le schiacciò il cuore.
-Non sei Jonathan.- sputò acida lei, sputandogli in faccia.
Il freddo le si insinuò sotto la pelle.
Jonathan non mosse ciglio, mentre lo sputo di Abigail diventava aria al contatto della sua pelle.
Come vapore.
Come se la sua pelle fosse... incandescente.
Il ragazzo sorrise, i lineamenti duri e calcati.
-Il mio nome è Sebastian, Abigail, e voglio sentirtelo urlare, ora.- le mormorò davanti.
Il suo respiro non si stava condensando in nuvolette, come invece stava accadendo a Abigail.
Abigail sentì dietro di sé, contro la sua schiena, una fredda superficie: un muro.
Si sentì spacciata, e un freddo terrore le invase le membra.
No, no, no. No! urlò nella sua mente.
-Lasciami...- gli disse con un filo di voce. Non riusciva a liberarsi, non riusciva a guardare negli occhi quel mostro.
Perché quello non era Jonathan.
Jonathan non era così.
Jonathan non era un mostro.
-Oh, certo,- le rispose il ragazzo, mentre una sua mano scendeva giù verso i pantaloni di Abigail.-ma prima voglio divertirmi un po'.
Abigail urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Shadowhunters: Città Dei DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora