Capitolo II

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Il giorno passò in fretta, il sole che si muoveva leggiadramente verso il tramonto, mentre il cielo indossava i colori della sera.
Jonathan era seduto sulla panchina del parco, da solo, osservando come il cielo mutava i suoi colori: sentiva la mano fremere, le terminazioni palpitare da quell'immensa voglia di disegnare, di immortalare quel bellissimo cielo in uno scritto.
Infatti si suol dire: verba volant, scripta manent.
Le parole volano, gli scritti rimangono.
La sera era umida, mentre nel tardo pomeriggio aveva fatto un caldo soffocante tale che Jonathan era rimasto a corto di fiato e, per di più, tutto sudato.
Un leggero venticello prese a soffiare sul suo volto, asciugando il puzzo del sudore.
Quella freschezza lo aiutò a rimettere in sesto i pensieri: ricordò con orrore la morte del piccolo Max, e gli venne un colpo al cuore, non aveva voluto fargli del male; rammentò la morte degli Ottenebrati, le persone a cui aveva fatto del male per infine farle morire e si sentì quasi male.
Si prese la testa fra le mani, inspirando e chiudendo gli occhi: pensò a quando aveva quasi violentato sua sorella, la piccola Clary, la sua sorellina, il sangue del suo sague, solo perché il suo sangue di demone glielo imponeva.
Calmò i singhiozzi che gli fuoriuscivano dalla gola, infrenabili, ripetendosi: non è stata colpa mia, io non volevo. Non è stata colpa mia, io non volevo questo, non volevo tutto questo...
Ricordò come la madre lo aveva guardato con disgusto, con odio, quando lui l'aveva portata nella sua fortezza a Edom: possibile che fosse una persona tanto orrenda?
No, Jonathan non era orrendo, era Sebastian che era stato orrendo.
E ora Sebastian era morto.
Mia madre, Jocelyne, mi vorrebbe bene, ora che sono Jonathan? pensò, portandosi le ginocchia sotto al mento. O si sarà già rifatta una vita, una vita in cui non mi vuole?
Jonathan voleva rimediare a tutto, ma non sapeva come: cosa avrebbero fatto gli altri Shadowhunters, il Conclave, se lui fosse ritornato ad Idris?
No, non poteva tornare a Idris, non adesso: prima doveva rimediare alle ferite più lievi, poi avrebbe pensato a rimarginare quelle più profonde.
Per un attimo, pensò a quando quel mostro di suo padre, Valentine, gli aveva detto quando lui era piccolo che aveva una sorella: ricordava ancora come un angolo del suo cuore stava esplodendo di gioia, gioia al pensiero di poter avere una sorellina da proteggere...ma l'altra parte di sé, quella che suo padre aveva modellato per esperimento, stava provando solo odio per quella creaturina che ancora non conosceva.
Perché la mamma tiene lei e non me? ricordò di aver pensato, e quasi gli venne da piangere.
Stava per ricordare tutto e perdersi nel passato, quando si alzò su di botto e si allontanò dal parco, cercando di rianimarsi il morale.

Dalla piazza emergevano mille e più canti e balli e la gente si agitava e si strusciava al ritmo della musica. Le luci accese dei lampioni era quasi accecante, e si aggiungevano pure quelle dei negozi e delle bancarelle di cibo.
Jonathan si immerse nella massa compatta di mondani, evitando che qualche ragazza ubriaca gli andasse addosso.
La musica non era niente male: era una di quelle canzoni tipicamente messicane, dove il divertimento è espresso in note musicali a ritmo di maracas.
Jonathan aveva sempre amato la musica, anche se il suo sangue di demone gli impediva qualunque attimo di felicità o di svago. Si chiese se non potesse restare lì ed abbandonarsi alla musica, ma gli spazi troppo affollati non gli piacevano.
Una ragazza dai capelli intrecciati in due trecce scompigliate e con una bottiglia di alcolici in mano gli venne incontro e fece per baciarlo, ma lui fece appena in tempo a spostarsi e perdersi tra la folla prima che la ragazza riuscisse nel suo intento.
Le ragazze mondane non sono normali. pensò, guardando come due ragazze prendevano sotto braccio un uomo molto più vecchio e lo trascinavano verso un vicolo scuro.
Dappertutto ruggiva lo speziato profumo di birra e di tachos piccanti, mentre al centro della piazza un gruppetto di donne ruotavano e danzavano con ampie gonne rosse e nere davanti ai felici musicisti, vestiti come dei matatores.
Fu spinto dalla marea di gente verso l'inizio di una stretta via e si appoggiò al muro, evitando di entrare nel raggio di ballo dei mondani.
I mondani sapevano lasciarsi i problemi alle spalle come Jonathan non aveva mai visto fare da uno Shadowhunter: forse era perché gli Shadowhunters non avevano la memoria corta o perché, quando perdevano qualcuno, lo ricordavano e soffrivano per sempre.
Forse ricorderanno pure me, Jocelyne e Clary. si ritrovò a pensare, battendo le mani a tempo di musica quando tutti i mondani iniziarono a farlo. O forse, cerceranno di dimenticarmi. Già, penso che mi dimenticheranno: meglio per me e per loro.
Stava per prendere posto a quella stravagante danza dove tutti si mettevano in cerchio e facevano piroette e salti e bracciate e urrà, quando vide dall'altra parte della piazza un'ombra grandissima e scura che ululava e graffiava i muri: intanto, i mondani continuavano a danzare.
La cosa si mosse e cominciò a scappare, spingendo via i mondani ubriachi che non se ne accorgevano.
Jonathan si fece largo tra la folla spigendo, dando spallate e correndo, inseguendo il demone che si allontanava sempre di più.
Non sapeva bene come si sarebbe difeso, ma doveva evitare che il demone facesse male a dei mondani indifesi o a dei Nascosti.
E pensare che, qualche giorno prima odiava sia i Nascosti che gli Shadowhunters...
Non era colpa mia. Era colpa di Sebastian, solo sua. si ricordò, scuotendo la testa.
Passando vicino ad una casa dalla grondaia rotta, recise un pezzo del tubo e lo afferrò, continuando a correre dietro al demone.
Quando questo, tutto urlante, imboccò una strada a vicolo cieco, Jonathan lo seguì a ruota, puntandogli contro il tubo dalla punta tagliente come un rasoio.
Jonathan provava odio per quella disgustosa creatura non umana. Aveva il volto teso per la concentrazione e gli occhi verdi guizzanti di rabbia, mentre si metteva in posizione d'attacco.
Il demone si girò, aprendo le sue tre bocche affilate di denti e gli si gettò contro, ma lo Shadowhunter lo evitò agilmente e lo pugnalò alla schiena con il tubo, immergendolo nella pelle viscida del demone: dalla ferita cominciò a fuoriuscire dell'icore nero che gli bruciò l'orlo della maglietta a quadri azzurra.
Il demone, come se fosse un toro, gli fece fare un volo e lo sbatté contro il muro opposto del vicolo.
Jonathan colpì duro con la schiena, perdendo il fiato. Cercò di alzarsi, ma cadde pietosamente a terra.
Il demone stava per attaccarlo di nuovo, le bocche affilate spalancate pronte per staccargli la testa, ma una punta di luce gli fuoriuscì dal petto nero, come una stella: si dissolse in una polvere nera simile a smog e il vento lo portò via.
Accadde tutto così rapidamente che Jonathan appena se ne accorse.
-Devi essere veramente stupido per pensare che avresti potuto uccidere un demone con un tubo.- disse una voce davanti a lui, rimettendosi nella cintura la spada angelica.
Era una ragazza che indossava un vestito nero da sera senza maniche che gli arrivava fin sopra il ginocchio, una cintura alla vita dov'erano appesi pugnali e una spada angelica e aveva i capelli biondi legati in una treccia lungo una spalla. Sembrava divertita, con gli angoli della bocca leggermente alzati.
-Non sono fatti tuoi.- balbettò a denti stretti Jonathan, cercando di nuovo di alzarsi facendo pressione sulle mani insangiunate.
Ricadde, restando a corto di fiato.
La Shadowhunter sbuffò e gli si avvicinò con lo stilo in mano, tracciando un iratze sul polso del ragazzo, dove il sangue del demone aveva liquefatto la manica della camicia: Jonathan notò che lei aveva lunghe dita affusolate piene di cicatrici e un anello...
La ragazza finì agilmente la runa e si sedette sui talloni a pochi centimetri da lui: lo osservò a lungo.
Jonathan provò un senso di sollievo quando l'iratze iniziò a fare effetto e pensò che doveva procurarsi uno stilo, sennò non sarebbe sopravvissuto molto con quei demono in giro.
Guardò la ragazza e gli sembrò familiare: aveva delicate linee degli zigomi alti, le labbra carnose senza rossetto e le sopracciglie alzate in attesa che lui dicesse qualcosa.
-Grazie.- disse infine Jonathan, continuandola a fissare.
La Shadowhunter alzò le spalle e si alzò, pulendosi il vestito nero dalla polvere del vicolo.
-O sei un reietto o hai perso lo stilo e la spada da qualche parte.- concluse la ragazza, aggiustandosi la treccia sulla spalla destra.
Aveva la carnagione leggermente abbronzata, le braccia firmate da rune nuove e vecchie e le spalle leggermente larghe.
-Io...- cercò di dire Jonathan, ma la ragazza fece un gesto veloce della mano, segno che non le importava molto ciò che avrebbe detto.
-Non devi giustificarti.- disse lei, osservando il posto in cui il demone era scomparso.-Ti consiglio solamente di procurarti uno stilo: qui i demoni sono molti.
Il ragazzo annuì e la guardò curioso: chissà da dove veniva...
-Non sei del luogo, vero?- le chiese, alzandosi da per terra.
-E neanche tu.- concluse lei, girandosi verso la piazza con occhi indagatori. Jonathan notò che aveva occhi d'oro scuro, di una sfumatura tendente all'oro fuso.
Era...molto belli. Anzi, bellissimi.
Sarebbe potuto rimanere lì a fissarli per ore e ore, sempre accompagnato da quella voglia di disegnarli, senza stancarsene mai: era come se quegli occhi si muovessero, fossero ricchi di vita propria...
-Be', ci si vede.- disse la ragazza, poi si rituffò nella folla.
Jonathan, risvegliandosi da quel senso di vuoto, la seguì, cercando di raggiungerla.
Non sapeva come avrebbe potuto trovare uno stilo o una spada e, se davvero lì c'erano tanti demoni, aveva bisogno di qualcuno che conoscesse il luogo.
E la ragazza si muoveva con tale sicurezza che Jonathan pensò che fosse lì da tanto.
-Hey, aspetta!- urlò, ma la ragazza, minuta com'era, sparì velocemente tra la gente che si agitavano e muovevano.
Jonathan, con il cuore che batteva forte, si fermò.
Sapeva che non sarebbe mai riuscito a trovarla, ora, con tutti quei mondani: ma perché non aspettarla l'indomani?
Aveva un senso di bisogno di rivederla, di chiederle il suo nome, che avrebbe fatto di tutto per trovarla: non sapeva come si chiamasse quel sentimento, ma era davvero piacevole.
La città non sarà poi così grande.

Shadowhunters: Città Dei DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora