Capitolo XIV

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Il cielo era azzurrissimo, per poco più traslucido delle onde del mare che si schiantavano contro gli scogli.
La sabbia bagnata solleticava le dita del ragazzo sdraiato sullo spiazzo d'erba verde, mentre il sole gli riscaldava la pelle coperta di cicatrici lasciate dalle Rune come tante piccole carezze.
Abigail, seduta vicino a lui con una maglietta e pantaloncini corti che lasciavano intravedere le sue cicatrici lasciate dalle Rune, con la schiena posata contro il tronco di un albero, scarabocchiava qualcosa su un blocchetto di fogli con una matita: era l'unico rumore che si poteva sentire oltre al mare e agli uccelli.
Jonathan sorrise e rotolò sulla pancia, alzando leggermente la testa per spiare il disegno di Abigail: l'aveva ritratto mentre dormiva sul bagnasciuga, con i capelli biondi platino che gli svolazzavano qua e là sul volto e il mare vicino che ruggiva le sue onde come urli.
Ma la cosa più bella lì, secondo lui, non era né il disegno né il paesaggio: era Abigail.
La ragazza era seduta composta e disinvolta allo stesso tempo, con gli occhi ridotti a fessure per la concentrazione; la matita scivolava sul foglio come l'acqua sugli scogli, mentre i capelli raccolti in una coda le volavano dietro al collo.
-Bello.- le disse, indicando il disegno con gli occhi verdi, e sorrise a trentadue denti.
Abigail alzò lo sguardo su di lui e, dopo un attimo di confusione, sorrise caldamente; poi ripuntò gli occhi sul disegno, riassumendo quell'aria concentrata: sembrava che fosse e non fosse lì allo stesso tempo, anima e corpo che litigavano sulla perfezione.
-Mi insegnerai mai a disegnare?- le chiese, lisciando i fili d'erba come aveva  fatto due mesi prima ai capelli del piccolo Liam prima di andarsene, osservandolo per l'ultima volta sulla sua carrozzella, incapace di muoversi per sempre: la botta alle gambe l'aveva reso un invalido, uno Shadowhunter senza futuro, ma lui non l'aveva incolpato, anzi...l'aveva ringraziato per averlo salvato, dicendogli:
-Sei il mio eroe.
Io non sono un eroe, Liam, io non sono importante, non dopo quello che ho fatto: è colpa mia se ora non camminerai più, e mi dispiace così tanto...perdonami, se puoi. aveva pensato, ma era taciuto e gli aveva sorriso prima di voltarsi.
I signori Aldertree, dopo essersi convinti che non erano una minaccia, avevano promesso a lui e ad Abigail di avvisare gli altri Shadowhunters del ritorno di Lilith, ma loro erano comunque andati di persona da qualche altro Istituto: molti sarebbero stati diffidenti, perciò era meglio chiarire senza lasciar dubbi.
Non era sempre stato facile rivelare le loro vere identità senza che qualche Shadowhunters non avesse preso le armi e le avesse puntate contro di Jonathan, come quella volta ad Oslo o quella a Roma, ma in qualche modo ci erano riusciti: lui e Abigail avevano avvertito più di venti Istituti in due mesi.
Nel frattempo, mentre loro svolgevano questo compito, il tempo era praticamente impazzito: a Sud faceva freddo e a Nord un caldo afoso, pioveva ghiaccio invece che pioggia e il Sole emetteva il triplo delle radiazioni normali: in due soli mesi, più di mille mondani erano morti per ustioni o congelamento.
O almeno, così pensavano i mondani: ma la verità era che Lilith li stava reclutando per trasformali in demoni, com'era già successo nell'Istituto di Belfast.
Neanche Abigail riusciva a capire com'era possibile trasformare dei mondani in demoni senza ucciderli.
Però lì, in Sud Africa, dove erano loro in questo momento, il tempo era squisito: o almeno, per ora.
In più, giusto per complicare ancor di più la situazione, gli attacchi dei demoni erano aumentati in ogni parte del mondo e molti Shadowhunters avevano perso la vita cercando di uccidere dei Demoni Superiori: Lilith stava attuando il suo piano prima del previsto.
Gli Aldertree, come li avevano avvertiti un mese prima, avevano setacciato come segugi tutti gli Stregoni e le Streghe d'Irlanda, ma del Messaggero di Lilith nessuna traccia: allora erano passati a chiedere aiuto al Conclave, ma questo al solo nome di Jonathan aveva drizzato le orecchie come un cane ed era partito alla sua caccia, vietando a tutti gli Shadowhunters di anche solo aiutarlo.
Secondo Abigail, presto il Conclave avrebbe dato l'ordine a tutti gli Shadowhunters di ritirarsi a Idris, lasciando morire i mondani pur di salvarsi: facevano sempre così, d'altronde.
Jonathan cercò di levarsi questi pensieri dalla mente, prendendo di scatto la matita e il blocchetto da disegno dalla mano di Abigail.
-Ehi!- protestò lei, cercando di riprenderli, ma Jonathan si mise subito seduta a gambe incrociate e le sorrise: imboccò la matita tra le mani callose e poggiò la punta consumata su un foglio pulito.
Abigail alzò il sopracciglio.
-E ora che vorresti fare?
-Disegnarti.- rispose lui, facendo spallucce.
-Sai che non amo i miei ritratti.- sbuffò la Shadowhunter, guardando il mare che si rompeva come vetro sugli scogli: i suoi occhi dorati assunsero una luce particolare, forse per merito del sole, forse solo perché stava pensando, ma che di fatto fece impazzire Jonathan.
-E tu sai che a me piace fare le cose che tu non ami per disturbarti.- rise con gli occhi Jonathan, iniziando a disegnare i contorni della figura della ragazza.
Abigail si voltò verso di lui e gli fece la linguaccia, mentre allungava i piedi nudi verso il bagnasciuga: le dita dei piedi le si colorarono di sabbia ruvida.
Jonathan passò a disegnare i particolari del suo volto, che ormai conosceva a memoria: zigomi alti, leggermente morbidi, labbra rosee, una cicatrice quasi invisibile sul mento, occhi profondi e dorati, fronte non troppo ampia...
Nella sua imperfezione, è perfetta. pensò, mentre si accingeva a disegnare la linea del leggero sorriso.
Alla fine, Abigail si coprì il volto con le mani e disse:
-Dai su, Jonathan, smettila!
-Perché? Sei bellissima.- rispose Jonathan con aria innocente, continuando a disegnare; probabilmente Abigail arrossì.
Allora la ragazza cercò di prendergli il disegno dalle mani, ma Jonathan lo allontanò e Abigail, per sbaglio, gli cadde addosso, facendo cadere anche lui sull'erba sulla schiena: le loro facce finirono a pochi centimetri di distanza.
Il petto di Jonathan, nudo e muscoloso contro la maglietta stropicciata di Abigail, si alzava ritmicamente, lasciando che il corpo della ragazza su di lui si alzasse con esso: sembrava che respirassero come una cosa sola, come una persona sola, all'unisono.
Jonathan sorrise: sebbene facesse caldo, quel calore che gli si stava diramando dentro era dannatamente piacevole. E bello.
-Una volta ho sognato che mi baciavi.- le mormorò, spingendole una ciocca di capelli biondi dietro all'orecchio.
Due mesi prima, Jonathan si sarebbe vergognato di dirle quelle cose: ma, ora che la conosceva meglio e lei conosceva meglio lui, le cose erano diventate più facili.
O, per così dire, così facilmente difficili.
Jonathan aveva sempre di più voglia di baciarla, abbracciarla, stringerla a sé per dimenticarsi dei problemi, di tutto e di niente (con lei non si poteva mai sapere se una giornata sarebbe stata dedicata a quello o a quell'altro suo argomento che le interessava, giusto perché le andava); aveva voglia anche solo di guardarla per ore e ore senza dire una parola: il suo sguardo parlava per lei al posto delle sue belle labbra.
Aveva imparato, visto che Abigail ormai era una propria e vera disciplina e più complicata della matematica, che a lei piaceva molto la storia, la matematica stessa e scienze; in più, adorava ascoltare le dolci melodie del vento e il rumore dei grilli in piena estate; odiava invece il troppo rumore, ballare o fare cose che non siano combattere o passare giorni interi sopra ai libri.
Però Jonathan l'amava.
Per l'Angelo, se l'amava.
Ti amo come il Sole ama la Luna; ti amo come la Terra ama il Cielo; ti amo come ogni cosa che amo e che trovo bella, ma tu, tu sei più che bella e gentile e intelligente di ogni altra cosa esistente nell'universo e ti amo ancora di più per questo. avrebbe voluto dirle: preparava quelle parole da due mesi ormai, ed era sempre più desideroso di dirgliele e...
-Sarà stato un bel sogno.- rispose lei, interrompendo i suoi pensieri, dopo un attimo di indugio: qualcosa la turbava in quel discorso, sicuro come...
...come io sono sicuro che l'amo.
-Perché non lo trasformiamo in realtà?- le chiese provocante, avvicinando il naso alla sua guancia: il cuore gli accelerò.
-Scemo!- gli fece Abigail, poggiando i palmi delle mani sul suo petto per rialzarsi; Jonathan le prese i polsi e la ritrascinò su di sé, schioccandole un bacio sulla guancia.
-Un giorno riuscirò a farmi dare un bacio da te, volontariamente, come quella volta alla Piramide.- disse prima di rimettersi seduto.
-Oh certo, Morgenstern, continua pure a sognare.- sorrise lei, alzando i suoi bellissimi occhi dorati al cielo.
-A volte i sogni si trasformano in realtà.- le ricordò, alzando leggermente un angolo della bocca: una volta Abigail gli aveva detto che era adorabile quando lo faceva, e perché non rifarlo?
Farla impazzire gli piaceva.
-Be', dipende.
-Da cosa? Da se ci sono io in palio?- e per questo, Jonathan si meritò della sabbia in faccia.
-Grazie, ti amo anch'io.- le disse pulendosi il volto con il dorso della mano.
Abigail lo guardò scocciata.
So che ti piaccio, in fondo dei conti. pensò per l'ennesima volta. Troverò il motivo per cui non vuoi ammetterlo!
Tra di loro c'era una perfetta alchimia sia in combattimento che in qualsiasi cosa: forse tranne in qualche decisione o principi di gusti, sennò formavano un'ottima coppia.
Anzi, più che ottima: nessuna coppia di Parabatai avrebbe combattuto così bene come loro.
Però Abigail, per qualche motivo solo a lei conosciuto, si teneva sempre a distanza di sentimenti: pochissime volte si lasciava andare e apriva il suo cuore, lasciando intravedere a Jonathan il suo affetto per lui.
-Stasera dove andiamo?- le chiese, passandosi una mano tra i capelli sporchi di sabbia; gli occhi di Abigail ne seguirono il movimento.
La ragazza si scosse.
-Mmh...qui vicino c'è un villaggio, che prima ospitava un Istituto.- pensò lei ad alta voce.-Potremmo passare la notte lì e domani ripartire.
-Per dove?
Abigail si morse il labbro.
-Pensavo New York.- ammise dopo un momento di silenzio.
Jonathan sbarrò gli occhi: New York significava passato, e il suo passato era Clary e sua madre; per Abigail significava Jace, il fratello gemello che non aveva mai conosciuto.
Mentre per lui andare a New York significava vedere gli occhi verdi impauriti e odiosi della sua famiglia, lo sguardo pieno di rimpianto di Jocelyn, sua madre, la paura palpabile di sua sorella Clary...e non era ancora pronto ad affrontarli, per Abigail significava conoscere l'ultimo suo parente in vita e trovare forse una casa, una vera casa.
Una casa che lui non aveva.
Non sono stato io a farvi del male...è stato Sebastian, la colpa è sua, non mia! Perdonatemi, perdonatemi... avrebbe detto a sua sorella e a sua madre rivedendole, cercando inutilmente un perdono e dell'amore che sua madre e sua sorella non gli avrebbero mai dato?
Ogni tanto le sognava...nell'intento di chiamare il Conclave per ucciderlo o addirittura di ucciderlo con le loro stesse mani.
Ma mai nell'intento di perdonarlo.
Mai.
Affrontare il passato è più complicato che affrontare il futuro.
-Abby, io...- cominciò lui, guardandola con occhi tristi, ma la ragazza lo interruppe alzando la mano.
-Jonathan, so a cosa stai pensando...ma ormai quasi tutto il Mondo Invisibile e quello degli Shadowhunters sanno del ritorno di una Herondale, la sorella di Jace, e del tuo ritorno, però in parte buona: i venti Istituti che abbiamo avvertito avranno di certo dato voce alla nostra causa, e di sicuro questa voce sarà anche passata per New York.- i suoi occhi erano come oro bollente: stava forse per piangere?
-Quello che volevo dirti è che...oh, per favore non guardarmi con quegli occhi spaventati! Jocelyn e Clary capiranno!- continuò Abigail, ma Jonathan rimase immobile come pietra a fissarla.
Poi scosse la testa.
-Ho fatto loro troppe cattive cose e ho dato loro solo dispiaceri: mia madre si è risposata e probabilmente tra poco avrà un altro figlio, un figlio che mi rimpiazzerà e a cui darà l'amore che io non ho mai avuto, mentre Clary ora ha degli amici che le vogliono bene, amici simili a fratelli...non voglio rovinarle altre cose, non più.
Abigail tacque allora, guardandolo con rimpianto e tristezza: era come una corda che si era allentata, senza aver scoccato la freccia.
Se lo capiva e allora aveva rinunciato alla speranza di conoscere il fratello, allora l'amava.
Mi ami, Abigail Ester Herondale? Mi ami come io amo te? Perché non mi lasci entrare nel tuo cuore?
Gli si avvicinò e lo circondò in un abbraccio, poggiando il mento sopra alla sua spalla: Jonathan le accarezzò i capelli in movimenti lenti, mentre il cuore gli si alleggeriva dai problemi...e dal passato.
Sei la mia salvezza e la mia distruzione, ma io ti amo.
Poi Abigail si staccò e si rimise in piedi, togliendosi la sabbia dai vestiti.
-Okay...allora va bene, dopo andremo in un altro Istituto, come quello di Cina o di Nuova Zelanda...poi vediamo.- gli sorrise, offrendogli una mano per alzarsi: Jonathan accettò.
-Ah, Jonathan?- lo chiamò la ragazza prima di girarsi.
-Sì?
-Per favore, rimettiti la maglietta.- rise lei, scuotendo la testa.
-Perché sono dannatamente sexy e vorresti baciarmi?- la provocò Jonathan, afferrando la maglietta da per terra.
-Perché hai un ragno sul petto.- rispose Abby, alzando gli occhi al cielo.
Jonathan si mise ad urlare, cercando di togliersi la bestiola dal corpo: Abigail invece si mise a piangere dalle risate.

Shadowhunters: Città Dei DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora