Capitolo IX

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Stordimento.
Per tutto il viaggio, Jonathan fu preso dallo stordimento.
Non riusciva a focalizzare i pensieri su niente che non fossero le parole di Abigail.
-Chi? Chi è tornata?
-Lilith. Lilith è tornata.
Dalla piramide di Cheope, lui e Abigail avevano preso un Portale e si erano ritrovati in Irlanda, sotto ad una crespa pioggia di mezza primavera.
-Che ci facciamo qui?- aveva chiesto mentre seguiva Abigail sotto la pioggia.
-Dobbiamo avvertire gli altri del ritorno di Lilith.- gli aveva risposto, starnutendo come se non ci fosse stato un domani.-Cominciamo dall'Irlanda.
-Ora?! Vuoi andare ad avvertirli ora?!- Jonathan l'aveva presa per un braccio e l'aveva fatta girare verso di lui.-Siamo sotto la pioggia, tu sei malata e abbiamo appena visto una piramide con dei Fratelli Silenti morti.
-E allora quando?!- aveva urlato lei, con la rabbia negli occhi.-Non c'è tempo, Jonathan! Non c'è più tempo, lo vuoi capire?!
-Almeno la notte.- le aveva detto, fissandola con il viso supplicante.-Tu sei stanca come lo sono io e saranno tipo le undici di notte! Una notte, Abigail, una notte!
Abigail, seppure a malincuore, aveva acconsentito e aveva preso una strada di terra battuta che li aveva portati in un piccolo villaggio: c'erano sì e no dieci casette con i tetti acuti e a punta sistemate in circolo attorno ad una fontanella d'acqua, che sembrava davvero vecchia e si univa al canto della pioggia; più in là, come un reietto, stava un agriturismo vecchio e malconcio, che ai loro occhi però era stato come un hotel a cinque stelle.
Ricordava a malapena di essere entrato in quell'agriturismo pieno di Nascosti come fate, licantropi, vampiri e persino due stregoni nascosti nell'ombra del locale.
Tramite le parole di Abigail, il locandiere - uno stregone dalla pelle azzurra vecchia e rugosa - aveva dato loro due stanze vicine e gli aveva detto, sussurrando le parole:
-State attenti, Nephilim: qui i Nascosti non tollerano molto le persone della vostra razza.
-Faranno meglio a starci alla larga, sennò non esiterò a infrangere la Legge e metterli KO.- aveva risposto fredda Abigail, poi si era girata e Jonathan l'aveva seguita su per le scale; poi Abigail era entrata in una stanza e Jonathan nell'altra, mettendosi sotto le coperte.
Cercò di dormire, ma quelle tre parole lo perseguitavano, come aghi sulla pelle: Lilith è tornata.
Jonathan non riusciva a capire: Lilith era tornata per lui? Vedeva ancora in lui il figlio perduto?
Perché era tornata?
Io non sono Sebastian. Non devo temerla: non cerca me. Io non sono Sebastian. si ricordava senza tregua, sotto il tepore delle coperte, anche se ormai quelle parole sembravano non avere senso.
Chi era lui, veramente?
Possibile che in lui ci fosse ancora qualcosa di cattivo?
Jonathan scosse la testa e se la prese tra le mani, mettendosi seduto sul letto: la sua stanza era semplice, con un letto di legno con il materasso di piume d'oca e un armadio di legno ammuffito; al lato della camera scoppiettava un camino, che però non riusciva a scacciare del tutto l'umidità.
La grande finestra con le vetrate colorate era chiusa e fuori infuriava la tempesta di pioggia, anche se Jonathan sentiva freddo anche stando sotto le pesanti coperte di lana: qualcosa - forse l'umidità - gli penetrava nelle ossa e lo faceva gelare nel profondo.
Non riusciva a prendere sonno e per un istante, desiderò il corpo caldo di Abigail contro il suo, come quand'era nella piramide.
Abigail aveva preso un'altra stanza, rassicurandolo di potercela fare benissimo ora che erano fuori dall'opprimente piramide, anche se Jonathan aveva notato che aveva gli occhi lucidi di febbre.
Sapeva che lei era forte, ma pensava ugualmente che forse la vista dei Fratelli Silenti morti l'avesse sconvolta nel profondo.
Certo, era un po' arrabbiato perché lei non gli aveva detto subito della sua visione di Lilith nel deserto, ma in un certo senso la capiva: era stata spaventata a tal punto da chiudersi in se stessa, come faceva Jace qualche volta.
Quei due, fratello e sorella, erano talmente simili che Jonathan pensava che, se si fossero mai incontrati, sarebbe scoppiata la guerra delle "migliori battute" o perfino del "miglior Herondale".
E Abigail ne sarebbe uscita vincintrice o vincitrice.
Fratello e sorella. pensò Jonathan in quel momento, seduto sul letto con le mani sui capelli bianchi. Anche a me piacerebbe conoscere mia sorella.
Una parte di Jonathan sognava di risistemare le cose con sua sorella, dirle che gli dispiaceva per quello che Sebastian aveva fatto e ricucire il legame fraterno con lei; l'altra parte, invece, pensava che sarebbe stato meglio per Clary non incontrarlo mai più.
Volse lo sguardo verso la porta, torturandosi le dita con la stoffa della sua maglietta stropicciata.
Non le farà dispiacere una visita, spero.
Si alzò e lentamente scivolò fuori dalla stanza, con i piedi scalzi che incontravano le assi scricchiolanti e fredde del pavimento, su cui si muovevano agili e silenziosi.
Il corridoio era corto e massiccio, con un lampadario malcencio attaccato sul soffitto e una rampa di scale alla sua fine; un gruppo di porte decorate con i tipici disegni celtici si affacciava su di esso, e dietro di esse si sentivano suoni che solo i Licantropi potevano emettere. Al piano di sotto, invece, c'era una sala enorme dove si riunivano tutti i tipi di Nascosti per ballare e urbiacarsi: quell'agriturismo non era proprio il massimo dove passare la notte, ma lui e Abigail non erano stati schizzinosi, visto che fuori infuriava una tempesta esemplare.
Jonathan si fermò davanti ad una porta e, senza bussare, entrò nella stanza: una candela ridotta a un pezzetto di cera bruciava sul comodino di fianco al letto, dove dormiva Abigail.
O almeno, sembrava che dormisse: la Shadowhunter poteva anche benissimo essere sveglia e sul punto di sgridarlo, pensò Jonathan.
Si avvicinò lentamente al letto, temendo che facendo movimenti bruschi la ragazza si sarebbe svegliata, ma doveva star male visto che non lo notò neppure quando le si inginocchiò vicino.
Abigail aveva il viso pallido e tirato, il sudore che le incorniciava la fronte e i capelli biondi sudaticci e scompigliati sul cuscino; vestiva degli stessi abiti che portava alla piramide, ovvero la divisa da combattimento degli Shadowhunters, ma si era tolta le scarpe e riposava sotto due strati di coperte, continuando però a tremare.
Sta dormendo. decise Jonathan.
Jonathan le toccò il viso con le dita, delicatamente, e sentì come scottava di febbre.
Sorrise leggermente.
Poi lei aprì gli occhi e, con una mossa fulminea, estrasse un coltello dalla cintura che portava ancora addosso e glielo puntò contro.
Jonathan rimase immobile, alzando le mani al cielo per arrendersi.
Avrei dovuto aspettarmelo.
Abigail si rilassò vedendo che era solo Jonathan e si riappoggiò sui cuscini, socchiudendo gli occhi e dicendo:
-Pensavo che fossi...lasciamo perdere.
Jonathan prese posto vicino al letto, alzando le spalle e chiedendo:
-Ti fa sempre questo effetto la claustrofobia?
-Dici la febbre?- chiese Abigail, poggiandosi una mano sulla fronte; annuì:-Sì, ma di solito è anche peggio.
-Devi essere davvero terrorizzata dagli spazi chiusi per ridurti in questo stato.- sorrise Jonathan, mordendosi la lingua quando la ragazza alzò un sopracciglio e riaprì gli occhi dorati, puntandoli nella sua direzione.
-Hey, guarda che se voglio posso ancora stenderti come se tu fossi una mosca.- disse seria, nascondendo gli angoli alzati della bocca con uno sbadiglio.
-Sicura, Herondale?- la sfidò.
-Certo. Io sono più forte di te.- si pavoneggiò lei, stringendosi nelle spalle.
-Ma non ti stanchi mai?- rise lui, passandosi una mano tra i capelli bianchi scompigliati.
Abigail gli sorrise.
Jonathan allora prese ad osservare la sua stanza, che era uguale alla sua, solo per non farle vedere il rossore sulle sue guance.
Abigail non si era arrabbiata del fatto che lui fosse entrato senza permesso nella sua stanza, quindi non le avrebbe fatto dispiacere che lui fosse restato, pensò Jonathan.
-Da quant'è che non vedi Fratello Zaccaria?- le chiese dopo un po', giusto per sentire la sua voce.
-Due anni.- rispose Abby, guardandosi le mani.-Sono stati anni duri, visto quello che è successo.
...quello che è successo. si ripeté, accorgendosi che la ragazza intendeva la Guerra Mortale e...lui.
-Già.- disse solamente, guardando la ragazza di sott'occhi; poi le chiese senza pensare:-Pensi che sia stata colpa mia?
-Mmm?- fece Abigail, alzando lo sguardo su di lui; addolcì l'espressione del viso quando vide la preoccupazione dipinta negli occhi verdi di Jonathan.-No, non penso sia stata colpa tua. Penso che nessuno abbia colpa di niente, perché non siamo noi stessi quando agiamo. La velocità, l'ansia e la paura ci trasformano in qualcosa che neppure noi riusciamo a vedere: in ognuno di noi, Jonathan, c'è una parte buona e una cattiva; devi decidere tu quale usare di più.
-Come faccio a pensare al futuro quando tutti mi conoscono per quello che ero in passato?- sussurrò, poggiando la testa sul materasso del letto.
-Non devi dimenticare il passato.- gli disse Abigail, accarezzandogli i capelli bianchi con le mani calde: un brivido percorse la schiena di Jonathan.-Semplicemente, devi evitare di fare gli stessi errori: è a questo che serve il passato; per non sbagliare il futuro.
-Sei molto saggia, sai?- le disse, alzando leggermente il capo per vederle gli occhi.
Questa volta Abigail non rispose con parole sarcastiche, ma si chinò verso di lui e poggiò le labbra sulle sue.
Jonathan alzò un po' di più la testa e poggiò le mani sul viso di lei, schiudendo le labbra e liberando un miscuglio di emozioni constrastanti.
Per un attimo pensò che forse Abigail si sarebbe ritirata e gli avrebbe rifilato uno schiaffo, ma non fu così: la ragazza non si scostò.
Le sue labbra erano calde di febbre, ma a Jonathan fece piacere quel calore sul viso. Salì sul letto e l'avvicinò a sé, continuandola a baciare delicatamente, quasi temendo che si sarebbe potuta rompere come porcellana.
Abigail immerse le mani nei suoi capelli argentati, gemendo quando lui le morse il labbro inferiore.
Poi Jonathan sentì tutto freddo: le labbra di Abigail contro le sue divennero di ghiaccio e sempre più fameliche, e lui si sentì inondato da una sensazione di panico.
Tentò di staccarsi dalle braccia della ragazza, invano; sembrava tutto così anormale, così...sbagliato.
Quando le labbra di Abigail si mossero veloci sul suo collo, Jonathan cercò di impedirglielo, dicendo con un nodo alla gola:
-Abby...Abigail, basta! Fermati, io...
-Sarai consumato dal desiderio e dalla passione.- disse Abigail, con voce tonante che non le apparteneva e occhi neri come inchiostro.
Jonathan indietreggiò, ma la ragazza lo afferrò per il polso con una morsa di ferro; il suo cuore cominciò a galoppare dalla paura.
Quella non era Abigail: quella creatura non poteva essere lei.
-Non saprai mai cos'è l'amore,- continuò gelida la ragazza, mentre i capelli biondi le si coloravano di nero e il viso si sfigurava e diventava più spigolo e meno umano. Quegli occhi, scuri come ossidiana e affilati come ferro, lo scrutarono, come un leone guarda la sua preda.
Lilith!
Jonathan represse un grido, mentre Lilith lo afferrava per il mento con la mano libera e lo faceva voltare verso di sé, la lingua biforcuta protesa nella sua direzione.
-Non sei umano, figlio mio.- gli sussurrò, passando la lingua vibrante sulla guancia di Jonathan.-Quella ragazza, quella Shadowhunter, non farà altro che metterti dalla parte nemica, contro di me, tua madre!
-Tu...non...sei...mia...madre.- balbettò Jonathan, tastando il materasso del letto dietro di sé con la mano.-Jocelyn Fairchild è mia madre.
-Chi ti ha messo queste idee in mente, eh? Quella stupida Shadowhunter?- rise Lilith, passando la mano artigliata sulle sue guance.-Quella Abigail...ti ha mai detto perché scappa ancora, anche ora che è finita la Guerra Mortale? Ti ha mai detto perché non si è mai rivelata al fratello? Ah, e ti ha mai detto da cosa sta scappando?
-Lei...lei me lo avrebbe detto, se non fosse successo quel che è successo.- si difese Jonathan, chiudendo la mano sull'impugnatura della candela del comodino: le avrebbe fatto male, no?
Tanto male, sperava.
Spero che riuscirò a spaccarle la faccia. Con tanto di lingua, già che ci siamo.
Frenò l'impulso di lanciarle la candela in testa seduta stante, visto che Lilith continuò a parlare con quella faccia divertita.
-Strano...allora perché insiste tanto a portarti in quell'Istituto?- gli chiese, alzando gli angoli della bocca in quello che doveva essere un sorriso ma che parve più un ghigno.-Pensi davvero che gliene importi qualcosa di te? Probabilmente ti consegnerà all'Istituto, stolto!
-Non è vero.- sibilò Jonathan, tremando dalla rabbia; la sua mano iniziava a sudare sotto il tatto caldo del manico della candela.-Lei non lo farebbe mai. L'avrebbe potuto fare quando eravamo all'Istituto de Il Cairo, ma non l'ha fatto!
-Già, e forse ti avrebbe anche detto che ti ama.- rise Lilith, avvicinando le labbra blu e ghiacciate al suo orecchio, e sussurrò:-Ammettilo che non hai speranze, figlio mio. Abigail Herondale è come il fratello: presuntuosa, egoista e metà angelo. Tu non sei come loro: tu non sarai mai come loro.
Jonathan impugnò l'arma improvvisata con più forza.
Sentiva il sudore colargli sulla fronte.
-Be', preferisco stare con lei e non avere chance di conquistarla per sempre, piuttosto che restare con un demone che si spaccia per mia madre.- ringhiò, poi sollevò la candela e la calò sopra la testa di Lilith con potenza.
L'urlo che si diffuse per la stanza gli fece accapponare la pelle.
Si tappò le orecchie e cercò di uscire dalla camera, senza però raggiungere la porta: per quanto camminasse veloce, corresse, la porta sembrava sempre più lontana.
-Cambierai idea, Jonathan Christopher Morgenstern! Cambierai idea!- urlò Lilith, e la stanza cominciò a ruotare, ruotare e ruotare sempre di più...
Finché Jonathan non fu l'unico pallino di colore in un burrone di pazzia e dolore.
Tentò di urlare con tutto il fiato che aveva in gola e...

...si svegliò, sudato e con la luce ovattata della finestra che gli colpiva il volto.
Ansimò, il fiato corto e pesante.
Il suo petto si alzava ritmicamente, sopra coperto dalla pesante e calda coperta.
Lasciò ricadere la testa sui cuscini, strabuzzando gli occhi per cacciare via ogni traccia del sonno. O meglio, dell'incubo.
Si girò più volte per la stanza, la paura e il panico che gli premevano contro il petto: ma non c'era niente, tranne che il silenzio.
Era solo un sogno. Era solo un sogno. si ripeté, mentre con la mano si ravvivava i capelli bianchi.
Tutto quello...tutto quello era troppo. Era troppo per lui.
Jonathan iniziava a covare un odio che non aveva mai provato, un odio profondo e per niente risparmiatore verso Lilith: chi era lei per prendersi gioco dei suoi sentimenti? Ancora vedeva tra le sue braccia e sul suo viso le labbra di Abigail: convincersi che Lilith voleva farlo soffrire in quel modo, dicendo lo stesso che fosse sua madre, era qualcosa di inaccettabile.
Quella Abigail...ti ha mai detto perché scappa ancora, anche ora quando è finita la Guerra Mortale? Ti ha mai detto perché non si è mai rivelata al fratello? Ah, e ti ha mai detto da cosa sta scappando?
Jonathan scosse la testa, andando verso il bagno per sciacquarsi il viso: era stanco, come se non avesse chiuso occhio per tutta la notte.
Aprì il rubinetto d'argento e ascoltò il rullio dell'acqua sul lavandino.
Era un suono rilassante.
Come una piccola cascata che...scorre e scorre: non se ne fregava di niente.
Lei andava avanti.
Immerse le mani nel liquido fresco e se lo passò sul collo sudato, cercando di regolare il respiro.
Si sentiva a disagio...non più al sicuro in quell'agriturismo.
Strano...allora perché insiste tanto a portarti in quell'Istituto? Pensi davvero che gliene importi qualcosa di te? Probabilmente ti consegnerà all'Istituto, stolto!
Quelle parole...quelle parole erano come tante piccole lame nel cuore.
Non ci voleva credere, perché sapeva che Abigail non era così.
Lei non era così.
Lei...lei era la persona che amava.
Può l'amore dissolvere ogni dubbio?
D'un tratto, chiuse il rubinetto e uscì dal bagno, indossando la maglietta sul petto nudo: l'aria fredda gli punse la pelle come piccoli aghi appuntiti.
Lanciò un'occhiata alla grande finestra, dove poteva vedere che fuori ancora pioveva a dirotto sui verdi prati irlandesi seminati di mucche bianche, e uscì dalla stanza, stringendosi le mani al corpo per tentare di riscaldarsi.
Nel corridoio, accasciati contro le porte, c'erano licantropi e creature del Popolo Fatato ubriachi fradici che russavano, addormentati o alcuni persino in piedi come sonnambuli.
Jonathan passò oltre.
Scese le scale con passi agili e decisi, il volto imperscrutabile e impassibile; i capelli bianchi erano arruffati, e per un attimo pensò che forse avrebbe dovuto pettinarli.
Si ritrovò davanti la sala principale, con al lato la parte bar e ristoro con il bancone rosso scarlatto pieno di bottiglie di alcolici vuote.
Chissà che bordello ieri sera. pensò passando davanti a una coppia di licantropi con i vestiti mezzi stropicciati che si baciavano come forsennati.
Aveva molte domande per la mente, e voleva ricevere delle risposte, in quel preciso istante.
Percorse la sala con lo sguardo e, agilmente, voltò in direzione di un tavolo presso una finestra, pressoché illuminato.
L'aria lì sotto era abbastanza umida, ma Jonathan rimase impassibile.
Prese posto sulla sedia libera e fissò la figura davanti a sé, dicendo:
-Abigail, dobbiamo parlare.
Abigail alzò lo sguardo.


Spazio autrice:

No, oookay, scherzi a parte *vedremo lol* mentre scrivevo questo capitolo stavo ridendo troppo:')

E poi...boh, sono una fangirl molto disagiata.

Cià😂❤

Shadowhunters: Città Dei DimenticatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora