La mia nuova casa

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L'aereo è atterrato da pochi minuti ed ora sto aspettando la mia valigia. Non è grandissima, non mi sono portata vestiti, soltanto i ricordi più cari: il diario di prima superiore, un album con le foto che mi possano far sentire vicino casa quando mi sentirò sola, i miei trucchi dei quali non posso farne a meno e qualche altra piccola cianfrusaglia. Eccola! Per fortuna è rosa e riesco a vederla subito tra tutte le altre. 
Qui sono le 15.49. Devo subito chiamare i miei. 
- Pronto? Ciao mamma! Niente, volevo solo avvisare che è andato tutto bene.
- Ehi, tesoro! Tuo padre ed io eravamo ansiosi di sentire che stavi bene. Abbiamo chiamato anche Steven ma evidentemente non eri ancora arrivata.
- Grazie, mamma. Sto bene, ho solo fame. Vado subito da Steven così mi porta all'appartamento e mi do una rinfrescata per uscire a mangiare un boccone. Stammi bene! Saluta papà.
- Certo! Kathy, abbi cura di te. Ci sentiamo. 
- Buonanotte mamma. 

Io e la mia valigetta ci dirigiamo con passo svelto verso l'uscita. Certo che è strano sentire parlare solo in inglese, dovrò abituarmi. Eccolo! Mmmh, papà non mi aveva detto che questo Steven fosse così carino. Alto, capelli scuri e occhi profondi. Corporatura muscolosa nascosta dietro ad uno smoking nero. In mano ha un cartellino con scritto il mio nome, Caterina. Avrà meno di trent'anni. 

- Ciao, sei tu Steven, giusto?
- Signorina Kathy, mi fa piacere conoscerla. Sì, sono Steven
. E mi stringe la mano. Sembra una persona sensibile e gentile. 

- Piacere mio, chiamami solo Kathy. Questi alti appellativi non fanno per me. Per fortuna parli l'italiano. 
- Ma certo, anche io sono italiano nonostante questo accento dalla cadenza americana. Mio padre è del Maryland e sono nato e cresciuto qui. Mia madre ha fatto sì che io imparassi anche l'italiano.
- Ottima scelta! Che dici Steven, mi porti a casa? Devo assolutamente mangiare un boccone. Sull'aereo il cibo era veramente pessimo. 
- Certamente, andiamo
. Attento a tutto, prende la mia piccola valigetta e mi chiede di seguirlo alla macchina. Un bellissimo fuoristrada nero ci aspetta con la portiera aperta e un signore su una cinquantina ci saluta. E' del posto e non parla l'italiano. Non che non parlassi l'inglese, l'ho studiato a scuola, però so che dovrò far tesoro dei momenti in cui sentirò parlare nella mia stessa lingua. 

Arriviamo nella Fifth Avenue. E' come come l'ho sempre vista nelle foto. La macchina si ferma e con voce rassicurante Steven mi dice che siamo arrivati. Ma come, papà aveva detto che abiterò vicino a Fifth Avenue, non proprio qui. Scendo dalla macchina e guardo il palazzo. E' bellissimo. Ha 5 piani e il mio appartamento so che è al secondo. Guardo tutte le finestre nella speranza che le più belle siano le mie, ma non potrei mai indovinare. Mi sento proprio come alla mia età: un'adolescente alla scoperta di cose nuove. In fondo ho solo 19 anni. 

Steven mi accompagna davanti alla porta di casa e si congeda rassicurandomi che all'interno avrei trovato tutto l'occorrente e che se avessi bisogno di qualcosa sul tavolino del soggiorno avrei trovato il suo biglietto da visita. Ecco, iniziamo coi biglietti da visita. In Italia ci scambiamo semplicemente i numeri di telefono e ci facciamo uno squillo. Ognuno salva il numero dell'altro e storia finita. Ah, gli americani. 

Dalla tasca del parka prendo le chiavi che Steven mi diede in aeroporto e mi preparo per aprire per la prima volta la porta di casa mia, già, mia! 

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