27 Luglio 1914Erano passati dodici giorni da quando Jennifer non apriva quei suoi occhi maledettamente fantastici, dodici giorni in cui è rimasta stesa nel suo letto immobile e respirando appena. Quando l'avevamo trovata, stesa nella foresta, con il viso coperto di sangue il mio cuore aveva smesso di battere. La paura mi aveva attanagliato e stretto in una morsa il petto. Avevo davvero temuto di non poter più far avvampare le sue gote o di non poter più sentire la sua risata cristallina. Il dottore aveva diagnosticato un trauma cranico grave, c'era la possibilità che non si risvegliasse più, io però volevo continuare a sperare di rivedere i suoi occhi. Non potevo e non volevo credere di non poterla più tenere tra le mie braccia. Non era nemmeno concepibile per me, stare senza di lei, ormai era diventato un dolore fisico separami da lei. Ed erano dodici giorni che ero seduto al capezzale del suo letto, aspettando un qualsiasi segno da parte sua, ma il respiro è rimasto sempre uguale, e le sue palpebre non si sono socchiuse. Suo padre non si vede da quando l'ho portata a casa tutta insanguinata, ed è da allora che soggiorno in casa sua, le domestiche sono tutte molto gentili e preoccupate, capiscono la mia preoccupazione e non dicono niente se ogni tanto prendo la mano di Jen e la stringo forte sperando che lei ricambi. Emisi un altro sospiro, non so quanti ne ho buttati fuori in questi giorni. È sempre la stessa giornata, mi sveglio, la guardo, vedo se è cambiato qualcosa, le stringo le mani, le accarezzo una guancia e sospiro, sempre così tutto il giorno, tutti i giorni. È stancante dover vedere la ragazza che ami inerte davanti a te e tu non puoi fare niente. Sentirti impotente è una di quelle sensazioni che non vorresti mai provare, io ci speravo, ma evidentemente non sono così fortunato. Provai a chiamarla:- Jen, mi senti?- dissi scuotendole un po' la mano, ma non ottenni risposta, tanto per cambiare.
Jennifer's pov
Passavo da stati in cui sentivo voci, anzi una voce soltanto a stati in cui c'era soltanto il buio, a quelli in cui sognavo qualcosa di molto bello, questo momento era uno di quelli: ero sulla sponda del lago, vestita con un lungo abito celeste chiarissimo, stretto in vita, che però ricadeva morbido sulle gambe senza fasciarmi troppo, lo avevo leggermente tirato su poiché avevo immerso i piedi nell'acqua, ma il retro si bagnava lo stesso, non che me ne importasse, ero troppo occupata a guardare la figura che si avvicinava a me, lo osservavo attentamente, partendo dall'abbigliamento poiché non mi era possibile vederlo in faccia per via del troppo sole, aveva il corpo fasciato da una giacca e un pantalone molto elegante più o meno dello stesso colore del mio vestito e mentre veniva verso di me, mi allungò una mano, invitandomi a prenderla, si incomonciavano a vedere i capelli di quel nero-marrone scuro e la bocca carnosa. Quando mi fu davanti e io gli presi la mano, potei finalmente immergermi nei suoi occhi azzurri. Incominciammo a ballare ed io ero avvolta dalle sue braccia e dal suo calore, ero felice. Buttai la testa indietro e mi misi a ridere. Sentii le sue labbra avvicinarsi al mio orecchio e schiudersi in un sorriso mentre diceva:- È ora di svegliarsi Jen, non posso stare ancora a lungo senza di te, mi manchi da impazzire, resta con me e non lasciarmi, per favore, torna.- lo guardai sorpresa dal cambiamento della voce che non era come me l'aspettavo, era disperata e implorante. Richiusi e riaprii gli occhi confusa, non capivo a cosa era dovuto quel suo cambiamento, ma al posto di due occhi azzurri, ne vidi due marroni e freddi che grondavano arroganza da tutte le parti, cercai di togliermi, di dimenarmi e staccarmi da quel maniaco, ma più cercavo di scansarlo, più sembrava che lui mi tenesse stretta. Lo scenario cambiò di colpo, mi ritrovai sulla chiesetta nella quale si erano sposati mio padre e mia madre, ma sull'altare questa volta c'ero io, con Jeremia affianco che mi guardava negli occhi con un sorrisetto perfido. Sgranai gli occhi, cercai di andare via, ma il mio corpo non rispondeva ai miei comandi. Il prete disse:- Tu Jeremia Richard Laurence, vuoi prendere in sposa Jennifer Marie Cavignano?- -Si- rispose -E tu Jennifer Marie Cavignano vuoi prendere Jeremia Richard Laurence come tuo sposo?- speravo di urlare di no, ci stavo provando in realtà, ma il mio corpo non mi ubbidiva -Si- risposi. Guardai terrorizzata il ragazzo di fronte a me che mentre il prete diceva che poteva baciarmi, si avvicinava piano, volendosi gustare per bene l'attimo. Un momento prima che le sue labbra si posassero sulle mie, scorsi alle sue spalle tre figure che mi procurarono molto dolore: mio padre che mi guardava soddisfatto, mia madre insieme a lui, ma era triste e per ultimo, quello che mi distrusse di più, Jaime con una lacrima solitaria che gli solcava una guancia, non esprimeva niente altro, ma quella lacrima per me significava tutto, quella singola lacrima, ebbe il potere di lacerarmi tutta l'anima, lasciandomi inerte e col cuore che non batteva più e in quel momento capii che non mi sarei arresa davanti a niente, che avrei lottato per lui, per sempre, sarei potuta anche scappare con lui, con lui sarei potuta andare ovunque. E in quel momento decisi che appena fossi tornata, e sarei tornata, questa era una delle mie poche certezze, avrei costretto mio padre a ritirare quel contratto per secondo e per primo, avrei baciato quelle Sue labbra maledettamente morbide e perfette, e nessuno mi avrebbe fermato, questa era la mia seconda certezza che avevo.
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Non arrendersi mai {IN REVISIONE}
ChickLitJennifer, ragazza diciassettenne, figlia di un membro del Consiglio dell'Italia, al servizio di Giolitti, una sera per caso, incontra un ragazzo, di quelli da togliere il fiato con uno sguardo, quelli che lei potrebbe definire "principi azzurri". Do...