Capitolo 20

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POV MARTINA

"Ti uccido" queste due piccole e semplici paroline che dette da una voce fredda come il ghiaccio e dura come la roccia sembravano aver fermato il mondo.

Persone immobili, raggelate. Visi pallidi. Sguardi lontani. Animi vigliacchi.

Ecco cosa mi circondava.

Nessuno in quel posto avrebbe fatto nulla anche se avesse potuto. Nessuno voleva sapere le ragioni di quella minaccia e verso chi era rivolta.

Un altro grido.
Questa volta era stara un'altra voce che aveva fatto sentire la sua forza.
Questa era profonda e terribilmente spaventata.
Ma sotto il terrore si celava una voce che conoscevo.
Il suo suono era familiare: fin troppo.

Vi è mai capitato di riascoltare una canzone che magari sapete anche a memoria ma di non riuscire a ricordarne il titolo?
Di cui sapete perfettamente le parole e le canticchiate con l'artista ma il titolo proprio non riuscite a ricordarlo.
Beh, è così che mi sento in questo momento: questa voce la conosco ma è camuffata dalla paura e non riesco a capire a chi appartenga.

Ora potrei prendere il mio autobus e tornarmene a casa ma la mia curiosità non me lo permette. Devo scoprire chi sono le due persone che hanno urlato e cosa sta accadendo.

Mi guardo di nuovo intorno: le persone erano tornate a parlare, camminare, comportarsi come se nulla fosse successo.

Il mio autobus stava ripartendo e io sono qui che lo guardo allontanarsi: non sono come gli altri, voglio capire.
Più mi allontanavo dalla fermata, ad ogni passo che mi portava più lontana dalla possibilità di tornare a casa per non impicciarmi in cose che potrebbero essere più grandi di me, mi sembrava di essere diventata invisibile, come se nessuno mi notasse, come se nessuno si fosse accorto di una piccola ragazza dai capelli ricci che stava cercando di capire cosa avesse turbato la normalità di quel momento.
Passo dopo passo mi avvicinavo al mio obbiettivo: scoprire.
Purtroppo la verità che avrei scoperto dopo qualche minuto mi avrebbe lasciata a bocca aperta, impotente difronte allo spettacolo a cui avrei assistito, in un vicolo isolato.

Un ragazzo con uno spacco sul sopracciglio ed un occhio nero respirava a fatica: un rivolo di sangue uscì dalle sue morbide labbra e ricadde sul mento. Ma il mio respiro accellerò immediatamente appena lo riconobbi. Lui, come se avesse avvertito la mia presenza si voltò verso di me e mi guardò con occhi tristi, stanchi, spenti, senza quella lucentezza che li distingueva.

I suoi occhi verdi si chiusero per un istante prima di posarsi in quelli del suo aggressore.
Ed Harry, con il sangue che colava dal naso stava gemendo dal dolore.
Il suo volto angelico da bambino si stava colorando di rosso mano a mano che il liquido dal gusto metallico gli solcava il viso.

Davanti a lui l'artefice del suo dolore: Noah.
Lui e il suo gruppo di idioti palestrati lo stavano prendendo a pugni.
In quel momento realizzai quanto fossi stata stupida a seguire la mia curiosità: cosa credevo di fare?
Non avrei potuto fare nulla se non continuare ad assistere a quell'orribile spettacolo; i miei piedi avevano deciso di incollarsi al suolo impedendomi di muovermi.
Si sarebbero accorti di me.
Ma dubito mi farebbero qualcosa. La loro è la classica mentalità da uomo ritardato secondo la quale non è morale picchiare una ragazza inquato debole. Ma evidentemente la loro morale non comprendeva il non schierarsi in quattro contro un solo ragazzo.

Un altro pugno deturpò il viso del povero riccio.
Noah continuava a picchiarlo mentre i suoi amici tenevano il debole corpo di Harry. Agivano incontrastati, nessuno li avrebbe interrotti, nessuno si sarebbe accorto di ciò che stava accadendo in questo vicolo nascosto in cui ci trovavamo.

I loro visi dipinti da rabbia, rancore e superbia, quest'ultima era la più evidente.
Più li guardavo e più mi convincevo che sarebbero scoppiati come palloni gonfiati da stupidità e dal senso di superiorità che si erano attribuiti.

Noah sferrò un pugno contro lo stomaco del ragazzo dagli occhi di smeraldo che si piegò in due e cadde a terra. Un urlo straziato, una supplica dettata dal dolore lasciò le sue labbra.

Avrei voluto urlare, dire o provare a fare qualcosa: aprii la bocca ma non ne uscì niente, nessun suono, nessun rumore, nulla. Il mio corpo non rispondeva ai comandi.

Ma al mio posto fu un'altra voce a farsi sentire.
Alzai lo sguardo verso il ragazzo che si stava avvicinando a passo lento; una sigaretta tra le labbra e le mani strette a pugno lungo i fianchi.

Lo sguardo duro, gli occhi ridotti a due fessure.

Il ciuffo biondo gli ricadeva sul volto dandogli quell'aria da cattivo ragazzo che avrebbe fatto a pugni con tutti i presenti.

Aveva una figura snella, magra, vestita da dei jeans aderenti e una maglia bianca a fasciargli il corpo.
Feci scendere il mio sguardo lungo la sua figura fino a vedere le sue scarpe.
Rosse.
Conosco solo una persona che porta le scarpe di quel colore da fare invidia al fuoco, al sangue.

Quella stessa persona che ora stava applaudendo prendendosi gioco di quel gruppo di stronzi.

Justin.

Che cazzo vuoi?》dissero i ragazzi lasciando cadere a terra il corpo dolorante di Harry mentre il loro capo si avvicinava al ragazzo che aveva rovinato il loro momento di gloria.

Vidi il corpo ormai stremato dai pugni ricevuti cadere a terra privo di sensi.
Haz!》 Urlai io a quel punto correndo verso il mio amico.
Aveva il volto ricoperto di sangue e la maglia si era tinta di rosso.
Ma correndo da lui avevo spostato l'attenzione su di me.

Paura.

Ansia.

Le certezze del fatto che non mi avrebbero fatto male erano svanite nello stesso istante in cui i loro occhi si erano posati su di me.

E tu cosa ci fai qui bambolina?》mi chiese Noah avvicinandosi a me.
Il suo sguardo bruciava su di me.
Mi stava facendo diventare nervosa.
Restai in silenzio a guardarlo, impotente, sperando che qualcuno lo facesse soffrire e lo riducesse come lui aveva ridotto Harry.

Fece un altro passo verso di me.
Il mio cuore iniziò a battere fortissimo.

Con uno scatto afferrò il mio mento tra il suo indice e il suo pollice e lo strinse tra le dita.
Si avvicinò con il viso al mio.
Mi teneva ferma, impedendomi di allontanarmi, di andarmene.

Ti ho fatto una domanda puttanella》

《Fottiti》

Una scarica di adrenalina aveva appena attraversato il mio corpo portandomi a fare un gesto di cui mi stavo pentendo amaramente.
Vorrei scomparire, andarmene, scappare via, lontano da tutti, lontana da lui, da Noah.

Il mio cuore iniziò a battere velocemente. Sbatteva contro la mia cassa toracica.
Noah alzò il braccio pronto a colpirmi.
Lo avrebbe fatto se qualcuno non gli si fosse buttato addosso fermandolo.
In questo momento avrei avuto il segno delle sue cinque dita se non lo avessero fermato.

Justin si trovava a cavalcioni sul corpo di Noah.
La sigaretta gettata a terra, ancora accesa, si trovava vicino ai loro corpi in lotta.
Iniziarono a picchiarsi.
Un pugno dopo l'altro colpiva il volto di Noah che non riusciva a difendersi, schiacciato dal corpo del biondo.
In breve tempo anche gli altri ragazzi si unirono alla rissa tentando di aiutare il loro capo.

La mia attenzione fu attirata dal corpo di Harry.
Si stava muovendo.
Stava riprendendo conoscenza.

Haz cazzo svegliati!
Hai dormito abbastanza principessa non trovi?》
Stavo andando nel panico.
Non sapevo che fare.
Loro si prendevano a pugni mentre io ero qui con la bella addormentata nel vicolo.
Vidi un altro pugno infrangersi contro il volto di Justin quando ebbi un'illuminazione.

Se quei bastardi volevano giocare sporco lo avrei fatto anche io.

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