Capitolo 3 - Parte 1

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Viktor tenne con una mano il cestino preparato dalla dolce Astrid: riportava alla memoria il suo viso, così angelico, il suo corpo minuto, la sua pelle candida e diafana

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Viktor tenne con una mano il cestino preparato dalla dolce Astrid: riportava alla memoria il suo viso, così angelico, il suo corpo minuto, la sua pelle candida e diafana. Nella sua mente si dipingeva il gesto con cui era riuscito a pietrificarla: gli era bastato semplicemente toccarle la spalla per sentire come era riuscito ad ammaliarla.
Il modo in cui si era rivolta a lui l'aveva riempito di curiosità: era una contadina, o una serva, sicuramente molto povera, eppure aveva un lessico e un modo di porsi elevato. Era stata istruita, non era stupida.
L'uomo continuò a camminare, fin quando non giunse davanti al sentiero che conduceva alla sua casa, al centro della foresta.
Il cacciatore si addentrò nell'oscurità della notte, in mezzo agli alberi e alle creature notturne. Come al solito sentiva di essere lodato: lì, lui era diventato il Re, il sovrano indiscusso. Gli sembrava che anche gli alberi si piegassero per fargli strada.
Inspirò a fondo l'aria fredda, poi si portò al viso la mano con cui aveva toccato Astrid, e sentì ancora il suo profumo: eccitazione e giunchiglia.
Viktor si morse il labbro, desiderando anche di più assaggiare la sua pelle, poi si rese conto di essere arrivato a casa.
Salì gli scalini e bussò alla porta.
Tre tocchi bastarono che il secondo più tardi arrivò sua sorella, Agathe.
La vecchia donna aveva tutti i capelli grigi, crespi, con alcune trecce ai lati, e alcune ciocche più voluminose delle altre.
Indossava un vestito largo e un grembiule, entrambi macchiati irreparabilmente dal sangue di qualche animale, probabilmente anche del cervo che aveva cacciato quella mattina.
Le rughe della donna rimasero al loro posto quando iniziò a parlare a suo fratello.
«Dove sei stato?» gli chiese con voce spezzata. «Ti sembra questa l'ora di tornare a casa?»
«Lasciami stare, vecchia» rispose Viktor, spingendola di lato ed entrando bruscamente in casa. Appoggiò sul tavolo del piccolo salotto il cestino, poi guardò la donna mentre lui si toglieva il mantello fatto con pelle d'orso e il giaccone. Li buttò entrambi sopra una sedia.
«Dentro il cestino c'è del pane e un po' di formaggio» le disse, prima di salire le scale, verso la sua camera, dove l'attendeva la sua dama.
Quando entrò, la vide vagare per la stanza, come un fantasma, nonostante lo scricchiolio del pavimento ogni volta che avanzava di un passo.
Si chiamava Bernadette, l'aveva conosciuta nella taverna. Era semplicemente stupenda nella sua semplicità: aveva dei bellissimi capelli corvini raccolti in una crocchia, il corpo esile, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue, gli occhi neri come la pece avrebbero stregato chiunque. La donna al bancone, che aveva sentito chiamarsi Gretchen e che era sua cugina, l'aveva derisa quando aveva fatto cadere il suo boccale di birra perché inciampata sui suoi stessi piedi per la fretta.
«Incapace!» le aveva urlato Gretchen, tra le grasse risate. Viktor, invece l'aveva aiutata a rialzarsi e poi fatta sedere al suo posto.
Con mano gentile, per quanto poteva esserlo, aveva iniziato ad asciugarle il petto con il suo fazzoletto di seta.
La ragazza era rimasta ferma, prima incredibilmente imbarazzata, poi improvvisamente stregata dal suo carattere.
Le aveva mostrato un sorriso appena accennato prima di dirle: «Può capitare a tutti. Tu non sei incapace.»
A quelle parole, combinate con la sua mano sul suo collo, dove con il fazzoletto stava asciugando la birra che l'era finita addosso, sentiva di averla fatta sua.
Eppure, la voleva ancora di più. La desiderava, voleva oltrepassare il limite. Sulle dita, Bernadette non aveva nessun anello.
Doveva anche essere vergine.
Viktor aveva fatto vagare la mano più in là, dentro il bustino. Aveva toccato la pelle in mezzo ai suoi piccoli seni, la catenella di un piccolo e tondo ciondolo che gli si era aggrovigliato fra le dita, e all'improvviso aveva liberato nell'aria il suo profumo: rose e frenesia.
La percepiva, la sentiva.
Il suo cuore pulsava con un ritmo irregolare.

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