Capitolo 6 - Parte 2

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Arvid strinse le mascelle. Era sicuro di poterlo dire? Alastair ne soffriva ancora terribilmente e in tutti quegli anni gli aveva detto una menzogna per proteggerlo. Ma in quel momento? Suo figlio non era più un bambino.
E fu così che prese la sua decisione.
«A uccidere tua madre» finì.
Alastair, nel sentirla nominare per quel discorso senza senso, afferrò il padre per il colletto e lo spinse contro il muro, l'impatto fece cadere qualche fucile appeso.
«Ascoltami bene, e vedi di aprire bene le orecchie» iniziò a ringhiare Alastair mentre guardava suo padre con occhi furiosi. «Mia madre non è morta per mano di una schifosissima invenzione di un pazzoide. Mia madre è morta per una terribile malattia e il suo corpo , così come la sua anima ora giace in pace quindi evita di parlare di lei come se fosse complice di questa dannata storia»
Arvid non batté ciglio e rimase fermo. Guardava gli occhi di suo figlio e vedeva fuoco ardere dentro le iridi verdi. Avrebbe potuto liberarsi velocemente dalla sua presa, gli aveva insegnato tutto quello che sapeva dopotutto, ma avrebbe solo aggravato la situazione. «Pensi che stai soffrendo solo tu per la sua scomparsa, Alastair? Pensi di essere l'unico?» rispose Arvid.
«E dimmi, che motivo avresti tu di mentirmi sulla sua morte?» sputò velenosamente Alastair.
«Non ero sicuro nemmeno io di come fosse morta tua madre, ma ora, dopo tutti questi anni, mi parli di un uomo che vive nella foresta, e nessuno avrebbe mai il coraggio di fare della sua casa la foresta di Wönder!» spiegò, cercando di essere convincente, ma sapeva che Alastair non avrebbe creduto ad una singola parola. Ed era colpa sua: lo aveva cresciuto in quel modo, a credere solo a ciò che vedeva e mai alle parole al vento.
Infatti Alastair in quel momento non poteva che vedere un uomo impazzito davanti a sé.
«Ma si può sapere che cosa c'è nell'acqua che bevete tutti? Prima Astrid con le sue allucinazioni, ora mio padre che parla di cani cresciuti troppo!» disse, lasciando la presa su di lui e allontanandosi.
«Astrid? La ragazza ha delle allucinazioni? Vede anime di donne?»
Arvid lo sospettava. Anche sua moglie prima di sparire, vedeva donne morte ovunque.
«E tu come fai a saperlo?» chiese Alastair.
«Figlio mio, mi devi credere, qualsiasi cosa sia questo Viktor, ucciderà Astrid se non lo uccidi prima tu!» continuò a dire il padre. «Sì! Ti servirà un pugnale! Imbevuto nel sangue di una donna vergine e illuminato dai raggi di una luna piena...» disse e iniziò a frugare nel cassetto dove tenevano tutti i pugnali.
«Stai diventando pazzo» riprese a parlare Alastair, avvicinandosi al padre. Gli girò il volto verso di lui con la forza e lo guardò negli occhi. Aveva qualcosa di strano, sembrava sudare freddo. «Non farò questa sciocchezza e questa», Alastair infilò la mano nella tasca interna della giacca del padre per prendere la borraccia di alcool. »Te la sequestro. Non sia mai che dopo tu inizi a vedere fate e goblin»
«Non mi crederai mai finché Astrid non morirà, vero?» sentenziò Arvid, allungandogli un pugnale ancora dentro la sua fodera.
«Lei non morirà» disse Alastair, ignorandolo.
Arvid ghignò.
«Scommetto che anche quella povera disgraziata di Bernadette sia già morta... Ma non capisco perché, dopo tutto questo tempo...»
«Che cosa?»
«Un licantropo non scompare nel nulla per anni. Un licantropo non dorme mai, è sempre alla ricerca della sua compagna...»
«Papà è ora che tu ti riposi» decise Alastair, spingendolo verso la sua stanza.
«Leggi il libro Alastair, fallo, ti prego. Domani parleremo con Bjorn» lo supplicò suo padre.
«Lo leggerò, ma ora vai a riposare. Devi essere molto stanco per farneticare così tanto. Finirò io qui.» rispose lui, ma Arvid lo bloccò prima che potesse allontanarsi.
«Figliolo, io non sto scherzando» sussurrò.
Alastair strinse i denti, e si liberò lentamente dalla sua presa.
«Nemmeno io»

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