Capitolo 10

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«Tre, due, uno... bevete!»
Due sere successive, dopo la ripresa quasi miracolosa di Astrid, Alastair si concesse il lusso di andare alla Taverna e partecipare alla gara di bevute, la Gola Infuocata, dedicata al Dio Aegir.
Come al solito, il posto era molto affollato. Per lo più uomini erano presenti. Le uniche note femminili erano i seni di Gretchen, nascosti appena dalla scollatura generosa della ragazza: ogni volta che si sporgeva, balzavano in avanti e minacciavano di liberarsi.
Se Gretchen avesse ereditato un po' della graziosità della madre, probabilmente ora non sarebbe a rifocillare gli stomaci degli uomini di Wönder.
«Vai Alastair! Forza!» gridavano in molti, fra grasse risate e urla chiassose. I pugni dei presenti battevano sui tavoli con così tanta forza da far tremare l'intera taverna.
Alastair si concentrava e ingurgitare più birra annacquata possibile e vincere quella maledetta gara.
Non si sentiva così tanto divertito da giorni, la sua mente stava per partire in un viaggio di sola andata per il Valhalla.
«Continua così! Hai la vittoria in pugno!» lo incitavano, fissandolo con occhi spalancati. Nessuna anima in quel posto era sobria da molto tempo.
Mentre tutti erano concentrati sulla gara, Viktor sgattaiolò velocemente nel retro della locanda, dove Gretchen la Grassa era intenta a riempire altri boccali di birra vista la quantità di gente che si era presentata. Fortunatamente suo padre sapeva che doveva sempre avere la taverna preparata per la Gola Infuocata. Quando finì di preparare le birre sul vassoio da portare in sala, si accorse dell'ombra di qualcuno che la sovrastava. Si alzò di scatto, girandosi frettolosamente per vedere chi le stava facendo compagnia. Nel momento in cui vide la faccia di Viktor, si rilassò ma le sue sopracciglia si aggrottarono.
«E tu che ci fai qui?» chiese mentre incrociava le braccia al petto. Gretchen sapeva che doveva liberarsi velocemente di lui. La gara era quasi terminata e ben presto in molti avrebbero ordinato altra birra e poi abbandonato la taverna, lasciandola simile ad un porcile. Aveva molto lavoro da fare.
Viktor non si scompose per l'espressione che la ragazza gli aveva riservato. I suoi occhi potevano essere ingannati, ma il suo fiuto no: sentiva il suo profumo deciso e intenso, il calore che emanava. Non presentava note floreali, che stava a significare la sua impurità: Gretchen non era più vergine.
L'uomo accarezzò lentamente con il pollice la sua guancia. Doveva ammaliarla e portarla via. Lei sarebbe stata un'ottima valvola di sfogo.
«Cercavo una donna... ma ho trovato la reincarnazione di Freyja» iniziò a dire lui, dipingendosi sul viso un sorriso sghembo, da vero manipolatore. Gretchen però, abituata alle lusinghe di quel genere, non si lasciò soggiogare dalla sua espressione.
«Sentite come parla» lo rimbeccò, alzando le sopracciglia e piegando le labbra in un'espressione leggermente disgustata. «Che cosa vuoi?» gli chiese mentre portava le mani sui fianchi morbidi.
Intuendo la resistenza che opponeva la ragazza, Viktor iniziò a infiltrarsi nel suo pensiero per influenzarla. Era semplice visto che erano soli e nessuno avrebbe interrotto il momento.
«Qualcosa che puoi darmi solo tu...» sussurrò al suo orecchio dopo essersi avvicinato pericolosamente al suo corpo.
«Dove hai portato Bernadette quel giorno?» Gretchen provò a cambiare argomento ma in quel momento Viktor aveva un obbiettivo: ucciderla.
«Chi?»
«Pensi che non ti abbia riconosciuto?»
Gretchen sapeva che con ogni probabilità era stato lui a rapire, e uccidere, sua cugina, ma non gliene faceva una colpa: la odiava e lui le aveva fatto solo un favore togliendola dalla sua vista per sempre.
«Non ricordo nessuna Bernadette. Però ricordo te, china sul bancone, con le tue belle forme alla mercé della mia vista e della mia mente.»
A quelle parole, l'influenza di Viktor su Gretchen raggiunse l'apice: la mente della ragazza era sua, così come lo era anche il suo corpo. Da quel momento in poi avrebbe risposto alle sue richieste.
«Devo averti scambiato per un'altra persona...» mormorò a bassa voce la ragazza.
«Capita, guardami» gli disse lui, alzandole il mento per permetterle di guardarlo dritto negli occhi. «Dimmi come ti chiami» sussurrò in modo che quelle parole le arrivassero languide.
«Gretchen» rispose lei, nonostante fosse consapevole che lui già sapeva come si chiamasse.
«Ora ascoltami, Gretchen, vorrei allontanarmi dal chiasso della Gola Infuocata, e sono sicuro che conosci un posto dove stare da soli» propose lui.
«Ma io sto lavorando»
«Non se ne accorgeranno» ribatté subito Viktor, allungando la mano verso il sedere di lei. «Ti prego...»
In un ultimo tentativo di allontanarsi, Gretchen cercò di spingerlo via. Il cacciatore si oppose alla sua patetica resistenza e si protese per baciarla mentre le sue mani stringevano le generose curve del corpo di lei. Gretchen cedette completamente alle attenzioni di Viktor.
In pochi attimi i due finirono in una stalla dal tetto scoperto, poco lontana dalla Taverna chiassosa e gremita di gente. Gretchen era piegata sopra una vecchia mangiatoia con le mani appoggiate al muro davanti a lei.
Viktor le aveva alzato il vestito fin sopra i fianchi in modo da avere un accesso facilitato alla sua intimità. Si muoveva dentro di lei velocemente, affondando colpi duri, e stringendole i capelli con una mano. Gretchen mugolava di piacere ma avvertiva una strana sensazione. Sentiva che stava per succedere qualcosa di molto brutto, lo sguardo di Viktor su di lei improvvisamente divenne spaventoso. La mano sul suo fianco si stava ingrandendo, le unghie si stavano facendo via nella sua carne. Gretchen iniziò ad urlare quando il dolore divenne insopportabile, ma non riusciva a muoversi. Percepiva il suo stesso sangue lasciare una striscia cremisi sulle sue gambe nude.
Viktor si trasformò nel mostro che celava dentro di sé e uccise Gretchen, strappandole la carne dalle ossa e bevendo il suo sangue dopo aver masticato con le sue fauci pezzi di lei.
Il grido terrificante della ragazza si fece sempre più debole, fino a trasformarsi in un ultimo sospiro, con cui la vita era costretta ad abbandonarla.

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