Primo Capitolo

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CAPITOLO UNO

« Jake, Jake... figlio mio! » iniziò ad esclamare a gran voce mio padre appena aprii gli occhi « riesci a sentirmi? Come stai, Jacob? » continuò. Sbattei un paio di volte le palpebre prima di socchiudere nuovamente gli occhi, dovunque mi trovassi c'era troppa luce. « Jacob, come ti senti? » mi chiese lui.

Aprii molto lentamente gli occhi, vedevo tutto in modo sfocato quasi come se stessi indossando un paio di occhiali di un signore anziano. In più ero anche frastornato.

Tutto attorno a me era bianco e luminescente. La prima cosa che riuscii a distinguere fu un letto che, assieme ad una serie di aggeggi particolari, si trovava proprio di fronte a me poggiato contro un'ampia parete. Poi c'erano degli strani tubi che pendevano da dei macchinari, delle lampadine al neon accese e delle lunghe aste di ferro con delle sacche trasparenti appese. Non ebbi la più pallida idea di come ci fossi finito.

Dentro di me avvertivo come una presenza, una strana sensazione che mi appesantiva il cuore. Mio padre continuava ad agitarsi e a blaterare; la sua voce rimbombava nella stanza nello stesso modo in cui lo faceva nelle mie orecchie; continuava a chiedermi ad in oltranza le medesime cose, insisteva... sembrava preoccupato.

Ad essere onesto lo sentivo anche troppo bene ma un dolore fisico mi rintontiva a tal punto da non permettermi di replicare; a malapena fui in grado di capire cosa mi fosse successo e perché mi trovassi lì. Mi doleva ogni parte del corpo, nessuna esclusa, eppure quel dolore somigliava più ad un fastidio che per qualche motivo sapevo sopportare.

Mio padre accese un'ulteriore luce, costringendomi così a richiudere gli occhi. C'era come un martelletto che mi picchiava in testa e anche la gola mi bruciava molto. Aprii gli occhi adagio e mi sforzai affinché non si richiudessero, le palpebre sembravano calarmi giù da sole. Il cuore mi batteva a mille.

« Dove siamo? » bisbigliai.

Mio padre, udendo la mia voce, tirò un lungo sospiro di sollievo e accennò ad un sorriso. « Sei in ospedale, Jacob » si limitò a dire.

Aveva uno sguardo assente e degli occhi gonfi e ricolmi di lacrime che a stento riusciva a trattenere.

Rimanemmo entrambi in silenzio per qualche interminabile istante a contemplare il vuoto, lui con la testa chissà dove mentre io ero semplicemente assorto nel nulla. Mi ero appena svegliato, non sapevo né perché mi trovassi in ospedale, né cosa mi fosse successo, eppure dentro di me ero consapevole del fatto che qualche cosa di grave dovesse essere successa.

Udii il rumore di una porta che si chiudeva e subito dopo comparve un signore. « Cosa mi è successo? » balbettai rivolgendomi direttamente a questo.

« Non te lo ricordi? » fece lui con tono leggermente sarcastico, « sei nel Chisholm-Demertine perché hai fatto un incidente. Noto con piacere che ti sei finalmente ripreso! » continuò.

Quella figura mi parve familiare, era un medico - lo dedussi dal camice bianco con ricamata la scritta "Dr. Nilson" in azzurro - e sicuramente doveva essere a conoscenza di qualcosa in più sul mio caso rispetto a me.

Avanzò verso mio padre e gli strinse la mano.

Avrà avuto una cinquantina abbondante di anni, portava i capelli corti, della barba ed un paio di occhiali rossi dalle grandi lenti; era piuttosto basso e di corporatura massiccia. Mi sorrideva ma il suo sorriso pareva una maschera, si vedeva che non era un vero sorriso sentito e sincero come del resto anche quello di mio padre.

Dapprima mi visitò puntandomi una luce diritta in faccia invitandomi a seguirla con lo sguardo e toccandomi vari punti del corpo chiedendomi al contempo se, come e quanto mi facessero male; poi si sedette su un angolo ai piedi del letto su cui ero sdraiato ed iniziò a pormi alcune domande di ogni genere. « Non ci vorrà molto » premise.

L'ULTIMA OCCASIONE (completo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora