Sopraggiunse il mese d'aprile e la primavera sbocciò pure a Boston: le giornate, finalmente più lunghe, divennero più calde e meno uggiose; vorrei tanto poter dire che anche la tristezza venne spazzata via come il polline dai fiori a maggio ma non sarei affatto sincero in quanto successe tutto il contrario… più mi allontanavo dall'idea di me ed Alex insieme e più provavo nostalgia di quel noi; avevo commesso un grave errore, un errore madornale, nel lasciarla andare altrove. Non c'era sera in cui non mi biasimassi, in cui non mi ripetessi quanto stupido fossi stato per essermi lasciato scappare via una creatura come lei: un bellissimo cigno dalle lunghe piume tinte d'un bianco candido e puro. Mi pentivo di aver anche solo potuto pronunciare determinate parole, di averla ferita nuovamente; sarebbe stato assai meglio se le avessi permesso di finire il suo discorso, magari ora saremmo rimasti amici ed io non mi sarei sentito così solo, inutile e colpevole. A scuola ci incontravamo spessissimo non ostante i nostri sforzi ed ogni volta che la scorgevo era come ricevere una coltellata in petto, dritta al cuore; lei sembrava felice e non provava neanche imbarazzo nel vedermi anzi, pareva quasi si divertisse a mostrarmi quanto la sua vita fosse tornata ad essere perfetta; aveva il coraggio di guardarmi negli occhi, senza paura, senza vergogna, e di sorridermi mentre io mi sentivo come un ladro, non provavo solo imbarazzo bensì anche timore che lei si accorgesse di quanto stessi soffrendo e così cercavo disperatamente di nascondermi il più possibile e talvolta fui costretto a fare cose incredibili - in senso negativo, ovviamente - pur di riuscire nel mio intento. Albergava in lei una gioia inaudibile come se si fosse liberata di un grande peso, di una figura ingombrante la cui presenza non era gradita e sapere che lei era così serena mi infondeva un senso di depressione… perché stava bene? Forse che non le mancassi affatto? Si vede con qualcuno? Con Jefferson? Poteva quell'essere vuoto e demente renderla più contenta di quanto l'avessi resa io in precedenza? Mille anzi, milioni, furono le domande che cominciarono ad affollarmi la mente in quel periodo, tante piccole e grandi incognite che giacevano proprio dentro di me con l'unico scopo di tormentarmi l'animo che, già di suo, era abbastanza affranto; temevo che qualcuno potesse entrare nella vita di Alexandra e cancellarmi definitivamente dalle sue memorie rimpiazzandomi magari in qualche circostanza. L'esito della nostra storia d'amore - o avventura, a questo punto - erano due parti lese, entrambi gli amanti ne uscivano col cuore spezzato, chi più, chi meno, e con un vuoto che solo uno di loro fu in grado di colmare in tempo breve; io, Jacob Richard Taylor, ero stato capace di ferire non solo lei ma anche me stesso e quando la mano che ti ferisce è tua, la ferita non si emarginerà mai. Il tempo dunque per me divenne relativo: andavo a scuola, il pomeriggio studiavo e non appena calava la notte andavo a dormire; arrivò il due aprile senza che io me ne accorgessi, quello sarebbe dovuto essere un giorno importante in quanto compivo ben diciassette anni. Era un martedì, avevo un esame importante di fisica quel giorno ed avevo studiato duramente per preparami a questo: non erano ammessi passi falsi, mancava poco più di un mese al termine dell'anno scolastico e non sarei stato più in grado di recuperare un errore del genere. La mattina mi venne a svegliare mia sorella che, con grande gioia, mi festeggiò calorosamente; a scuola invece nessuno - fatta ovviamente eccezione per i miei amici cari - si rammentò della ricorrenza, credo che neppure Alex lo fece. Fu un giorno come un altro, incastrato in una routine di momenti monotoni e noiosi, e non vedevo l'ora che finisse; avevo esplicitamente detto ai miei familiari di non volere feste a sorpresa o stronzate simili, niente regali o cose strane e lo stesso avevo riferito ad Austin e Max. Trovavo inutile fingere d'esser felice quando in realtà non vedevo l'ora che il mondo crollasse addosso a tutti e distruggesse tutto, me per primo. Tornato a casa, non trovando nessuno, mi chiusi in camera mia e aprii il libro di letteratura inglese… sembravano essere passati secoli da quella piccola rappresentazione mia e di Alex, all'epoca eravamo due persone completamente diverse ma pur sempre migliori, io sicuro. Mi saltò in mente quel pomeriggio trascorso sul letto di camera mia a ripetere il copione, era stata la volta del nostro primo vero bacio e poi invece ripensai alle ore passare a casa sua quando ancora vedevamo l'altro come un perfetto estraneo… caspita, quanto parlava Alex! Ricordo di essere rimasto impressionato dal modo in cui lei mi aveva raccontato tutta la sua vita con un milione di parole in pochi minuti, allora pensavo di conoscerla ma, ahimè, non avevo capito proprio nulla di come fosse realmente fatta; ci eravamo avvicinati gradualmente senza mai risultare sfacciati o frettolosi, entrambi mostravamo un grande interesse per l'altro ma sapevamo ancora come tenere a bada i nostri sentimenti… riflettendo bene, in modo più accurato, compresi quanto in realtà fosse stato perfetto l'incipit della nostra storia assieme: semplice, grazioso, romantico, stracolmo di dolcezza ma pur sempre equilibrato; ci eravamo innamorati sotto l'occhio disincantato di William Shakespeare o, meglio, di Romeo e Giulietta. È incredibile come a volte le cose accadono senza che noi ce ne rendiamo conto. Sfogliai le pagine di quel libro prestando la maggiore attenzione possibile a ciò che c'era scritto e ogni parola mi parve un tuffo nel passato, più leggevo, più però soffrivo. Soffrivo tanto e non vedevo l'ora che la sofferenza terminasse. Si dice che il tempo sia in grado di svolgere due compiti fondamentali: dare luce alle verità celate e guarire i cuori spezzati; confidavo molto nel tempo affinché mi liberasse da quel senso di nostalgia, di malinconia e di tristezza che mi teneva legato stretto agli avvenimenti passati. Basta, mi dissi, non posso continuare così, la devo lasciare andare per poter ricominciare a vivere! Chiusi il libro di scatto e strinsi entrambi le mie mani alla nuca, la testa mi doleva. Dopo un paio di minuti mi liberai da quella stretta, riposi il libro di testo su uno scaffale e mi coricai sul mio letto, annoiato, e fu allora che scorsi la mia chitarra che giaceva in un angolo della stanza da tempo e la polvere ne era una prova. Era da tanto tempo che non la adoperavo più… La andai a prendere e poi mi adagiai nuovamente sul mio letto, soffiai sopra la paletta per scacciare quanta più polvere possibile e poi mi misi a strimpellare accordi a caso; tempo prima avevo composto un brano, il mio primo, e lo avevo intitolato "Little Things" ma ora non potevo sentirmi più distante da questo: le parole, le rime, la melodia, niente aveva più lo stesso sapore e dunque niente aveva più alcun senso. Strimpellai per un'ora o forse addirittura per due finché non mi accorsi di aver prodotto una melodia orecchiabile più affine ai miei sentimenti, allora andai in cerca di un testo decente. Per cantare qualcosa avrei dovuto aprire la mente e lasciare che i miei pensieri e le mie emozioni giungessero sino alle corde ma era troppo teso per farlo; tra comporre un brano d'amore e uno no passa un intero oceano, sono due cose completamente diverse… e me ne resi conto subito. La volta precedente mi era bastato soffermarmi a pensare ad Alexandra, ad immaginare alle sue labbra, le sue mani, il calore del suo corpo, il suono caldo ed avvolgente della sua voce, i suoi occhi profondi; ora invece mi sentivo come un foglio bianco, privo di parole e tutto stropicciato, al centro del quale vi erano un mucchio di sentimenti tutti aggrovigliati che neppure io stesso sapevo distinguere. Se fossi adirato, deluso o solo triste non lo saprei dire. La melodia, forse, l'avevo individuata ma non sapevo come riempirla con frasi sensate; allora posai la chitarra sull'angolo sinistro ai piedi del letto e mi sdraiai un secondo con la speranza di schiarirmi le idee, socchiusi gli occhi e scacciai via quei pensieri malsani e dolorosi cercando di far strada a quelli che forse mi avrebbero potuto aiutare a scrivere un brano inerente al mio stato d'animo. Niente. Fu in quell'istante che udii il mio telefono emettere una specie di squillo: mi era arrivato un messaggio. Mentirei se vi dicessi che neanche per un attimo sperai che fosse Alexandra il mittente perché in realtà ci sperai con tutto me stesso ma posso affermare con certezza che, una volta letto il nome del mittente sullo schermo, mi sentii sollevato e più incoraggiato a lasciarmi alle spalle tutto il resto. Era, udite udite, Virginie che mi augurava un buon compleanno. Ad essere precisi mi scrisse, e cito testualmente: "Anche se non te lo meriti affatto, tanti auguri Jake! Se ti va, quando hai un secondo, chiamami". Incredibile, da tutti sarei potuto aspettarmi un messaggio come quello tranne che da lei, dopotutto quello che le avevo fatto se lo era ricordato! Vi parrà assurdo ma interpretai ciò come un segno del destino: era giunta l'ora di smettere di pensare al passato, ovvero ad Alex; in fin dei conti lei era felice, realizzata, si sentiva appagata dalla presenza di quei dieci imbecilli e delle sue amichette troie. Con un sorriso smagliante in volto mi rialzai e ripresi lo strumento musicale, chiusi nuovamente gli occhi e mi lasciai trasportare dalla marea di pensieri che fiorivano sul momento nella mia mente. Ecco cosa ne uscì fuori…
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L'ULTIMA OCCASIONE (completo)
Novela JuvenilÉ quando meno te lo aspetti che il mondo decide di caderti addosso. La vita di Jake si trasforma in un attimo nell'Inferno. Non ha via di scampo. É sicuro di aver perso tutto, é sul punto di cedere... Poi incontra Alex. © 2014 Virginia della Torre...