Decimo Capitolo

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Alex ed io non ci parlammo più. Si era rotta qualcosa quella mattina che niente e nessuno avrebbe potuto restaurare, nemmeno io e lei. Confesso però di essermi sentito una merda spesso. L'espressione che aveva quella mattina con gli occhi lucidi ed il naso arrossato era impressa nella mia mente come fosse stata incisa con uno scalpello, era la mia Alexandra quella che aveva pianto... ne ero certo: il suo sguardo l'avrei riconosciuto fra mille, persino bendato perché emanava un calore speciale che riusciva a scaldarmi il cuore.

Ero affranto, tanto da scansare anche Elizabeth, presi le distanze, era meglio così dopotutto, ma mi faceva sentire solo, tanto solo, profondamente solo; qualche volta mi lasciavo andare, nel balcone, seduto su quella sedia di ferro gelida, al cospetto di mia madre. La sua stella brillava quando le parlavo. Stando in terrazzo, sotto quel cielo stellato, era l'unico momento in cui la solitudine mi abbandonava, c'era una stella, la più bella e raggiante, a farmi compagnia. Piangere mi aiutava, le lacrime riuscivano ad affogare quel rimorso per qualche secondo.

Avevo trascurato mia madre in quelle lunghe settimane, forse fu un bene per me o forse no, ma nel momento del bisogno, quando ti senti inutile, quando hai deposto le armi e ti sei arreso, quando stai malissimo, c'é solo una persona a cui ti puoi rivolgere: tua madre. Io non ce l'avevo più. Ma il suo ricordo, vivo in me, talvolta mi bastava.

Alexandra eliminò da qualunque social network in voga le nostre foto, le sue didascalie romantiche, i pensieri d'amore, mi bloccò su Facebook e su Whatsapp. È paradossale, io non riuscivo neppure a scacciarla dai miei pensieri... Il suono della sua voce, il calore delle sue carezze, la dolcezza delle sue parole. Le memorie dolevano perché raffiguravano solo i momenti belli, mettendo all'oscuro tutto ciò che mi aveva fatto disinnamorare.

Dovunque andassi venivo sovrastato da una serie di flashback, e se non era la prima volta in cui avemmo fatto l'amore era il primo bacio, oppure la prima coccola, o un pomeriggio piacevole, o un momento di estrema passione.

A rallentatore, nel corso dei giorni, dei mesi, rivissi tutto da capo; le stesse emozioni, sensazione, dolori, riprovai le fitte al cuore, i brividi che mi percorrevano la schiena al solo contatto della sua pelle, piansi in più occasioni. Non c'era volta in cui quando mi facessi la doccia non venivo assalito dalla nostalgia del suo corpo caldo accanto il mio, quella volta in cui lo avemmo fatto nella vasca, nudi, con le candele profumate tutte accese intorno. Wow, ne avevamo fatte di cose. Le raccontai una ad una alla mia stella, tanto non avrei potuto sentire i suoi giudizi da lassù.

E mentirei se dicessi di non aver fantasticato su quante altre avventure avremmo potuto fare se solo il tempo ed il fato fossero stati dalla nostra parte, ma il destino aveva designato pure questo, che ci saremmo lasciati, allora forse non era solo colpa nostra, bensì dell'universo. Ma che vado dicendo? Deliro.

Il mio dubbio più grande, che mi perseguitò notte e giorno, era se anche lei stesse soffrendo almeno la metà di quanto soffrivo io, se rimpiangeva i bei tempi, i nostri momenti, ma la risposta venne da sé e non fu affatto positiva... A scuola cercammo di evitarci il più possibile ma, frequentando alcuni corsi in comune, era inevitabile incrociarsi, e quando capitava ci scambiavamo un'occhiata fugace per poi volgere lo sguardo altrove. Lei, impassibile, io, a pezzi. Non le mancavo affatto anzi, forse per lei era stata una liberazione vedermi con Elizabeth. All'uscita di scuola di tanto in tanto vedevo Alex baciarsi animatamente con Thomas, poggiati sulla sua auto, e - nove volte su dieci - lui aveva le mani indaffarate con il fondoschiena di Alexandra.

Mentirei anche in questo caso se dicessi di essere stato indifferente a certi atteggiamenti loro, la verità è che mi infastidiva saperla con lui, fra le sue braccia, nuda una notte dopo una sbronza. Erano stati miei quei momenti. Ma lei era felice dopotutto e lui era decisamente all'altezza delle sue aspettative quando io invece non lo ero mai stato.

Venne il momento in cui me ne dovetti fare una ragione.

Decisi dunque di voltare pagina volgendomi verso un altro capitolo della mia vita, con la speranza che il destino non avesse in serbo nulla affine con le disgrazie ed i dispiaceri dei capitoli precedenti.

Il primo passo fu dimenticare in via definitiva la mia ex, ed i miei amici furono lieti di aiutarmi: mi portarono per locali, mi invogliarono a farmi qualche ragazza, a divertirmi, a bere... ma non era lo stesso. Non riuscivo a sgombrare la mente dalle preoccupazioni, dai ricordi, dai desideri.

La vera svolta, però, la ebbi nel momento in cui un pomeriggio, di fronte scuola di mia sorella, Hannah mi presentò una sua amichetta originaria della Francia. Beh, che dire, quella bambina aveva una sorella maggiore di nome Virginie - o come la definivano Austin e Max, una figa da paura -. Lei si mostrò interessata a me sin da subito, quando cominciò a flirtare. Iniziammo ad uscire insieme e, per i primi tempi, funzionò come metodo per distrarmi dalla realtà. Era estroversa, aveva già diciotto anni, e la sua spontaneità mi trascinò sempre di più in questa storia.

La sua spensieratezza una notte mi condusse in u museo, rimanemmo lì a lungo finché il guardiano ci trovò e ci scacciò minacciandoci di chiamare la polizia: fu memorabile; un altra volta, guidato dal suo infallibile istinto, non saprei dire come ma finimmo in una discoteca chiusa, deserta, uno stabile abbandonato e vi trascorremmo l'intera notte. E poi fu la volta del concerto dei Green Day, sua band preferita, a cui non potei sottrarmi.

Era una ragazza eccezionale, aveva i capelli biondi e mossi che le cadevano morbidi lungo la schiena, aveva un gran sorriso ammaliante, aveva due occhi che erano un misto di azzurro cielo e marrone terra ed aveva un fisico scolpito, pieno di curve e con un seno prosperoso. Aveva addirittura fatto qualche scatto per un paio di pubblicità e di riviste secondarie, e mi chiedevo cosa la spingesse a stare con me.

Virginie era in grado di farmi cambiare umore in un nonnulla, di accendere una giornata, di rendere interessante qualunque cosa facessimo, e di farmi dimenticare per qualche misero secondo chi fossi o cosa avessi fatto. Ma, come ho appena accennato, l'effetto che aveva su di me durava un paio di secondi, un paio di miseri secondi, e dopo, quando finiva il suo anestetico, tutto si incupiva nuovamente lasciando ampio spazio alla tristezza.

Virginie era perfetta, ma non avrebbe mai potuto colmare il vuoto interiore che Alex e mia madre mi avevano causato...

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