Secondo Capitolo

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Per alcuni i giorni passarono velocemente, per me invece non passavano mai… rimasi chiuso in casa e trascorsi le giornate da recluso, immerso nella mia depressione. Del funerale non ne volli sapere niente, non ci andai, non mi sentivo pronto abbastanza. Al posto mio vi prese parte Hannah alla quale le cose furono raccontate dopo il mio ritorno; quella mattina non aprì bocca, si vestì ed uscì con mia nonna e mio padre e con un urna contenente il ricordo di nostra madre… quando tornò, a sera inoltrata, si limitò ad augurarci buona notte e si chiuse nella sua stanza, ma l'eco del suo pianto giunse sino in camera mia. Era troppo piccola per affrontare tutto questo ma, al mio contrario, non si tirava indietro e a soli nove anni si dimostrava quatto più matura. Perse dunque la parola: per lo shock, dissero i medici, aveva deciso inconsciamente di tacere… e chissà, forse per sempre… 

L'intera casa era colmata dal ricordo costante di nostra madre, la potevamo scorgere in ogni dove e pian piano i nostri corpi andavano alleggerendosi fino a perdere ogni brandello della nostra anima. Io stesso mi sentivo più leggero perché sapevo che quel frammento che era andato perso non apparteneva più alla mia persona in vita, ma allo stesso ero pesante, sempre più pesante, per via dei sensi di colpa, ma così facendo mi allontanavo da lei ulteriormente. 

Il silenzio divenne il rumore più chiassoso della casa, fatta eccezione per i pianti; tutti ci stavamo lentamente spegnendo. 

Al mattino, quando scendevo in soggiorno, mi imbattevo in mio padre, alla sera in mia nonna, ma nessuno aveva la forza di dire qualcosa. E la monotonia diventò eccitante, quasi più del silenzio. Io mi annullai lentamente. 

Qualche caro amico, come Austin o Max, mi scriveva qualche messaggio, mi chiamava, mi teneva aggiornato su quello che accadeva a scuola, mi invitava a passare del tempo in compagnia a casa sua, ma non avevo voglia di fare niente. Mi sentivo mille persone diverse allo stesso tempo che venivano traviate da miliardi e miliardi di sentimenti che le distruggevano, o quasi. Mi sentivo piccolo di fronte ad una situazione come quella, e mi sentivo debole. Trascorrevo le ore rimpiangendo i momenti felici e biasimandomi per aver detto o compiuto determinate azioni in passato che a ripensarci non contavano proprio niente per me, ma allora perché le avevo fatte? Perché l'avevo fatta infuriare? E tutti quei dispiaceri, perché glieli avevo arrecati? Ero stato stupido, sciocco, stolto, ingrato, ed ecco come ero stato ripagato. Non c'era nulla al mondo che avrei desiderato più d'un suo abbraccio, d'una sua parola dolce, e avrei venduto la mia anima solo per avere l'onore di risentire il melodico suono della sua voce che mi sembrava risuonare nelle orecchie in ogni istante. Avrei voluto gridare al mondo, essere ascoltato, rendere magari gli altri tanto infelici quanto lo ero io; avrei voluto terremoti in ogni dove, onde anomale, dolore, tristezza e devastazione per il mondo intero… perché la consapevolezza che il mondo andasse avanti non ostante io soffrissi così tanto, come un coltello fisso nella piaga, rendeva più pesante e dolorosa l'agonia. 

Fui costretto dunque a chiudermi in me stesso, a soffocare le mie emozioni, a far tacere le voci interiori, smisi di sognare la notte per evitare di avere degli incubi, divenni freddo perfino con me stesso ed allontanai tutti quei ricordi che mi tenevano ancorato a lei.. Finii per respingere le persone, mio padre, mia nonna, e addirittura anche mia sorella: lei, il mio povero piccolo angelo che avrebbe taciuto forse a vita. Trascorsero in questo modo tre lunghe anzi, lunghissime, settimane… non mi ero mai sentito così vuoto… 

Hannah ed io ci allontanammo tanto, troppo a mio giudizio, e ad entrambi dispiaceva assai; eravamo duri come rocce, pietre nere, impenetrabili, e nei giorni in cui eravamo meno addolorati osavamo salutarci con un accenno ad un sorriso. Era sufficiente questo per scaldarci i cuori quel poco che bastava per non crollare, ma tirare avanti a denti stretti e pugni chiusi.

E se mio padre ed io eravamo universi a parte prima, ora eravamo opposti: il nero contro il bianco. Troppo era il rancore che serbavo nei suoi confronti, per averci abbandonato, per essersene andato quando più avevo bisogno di lui, per non esserci stato… non ero ancora pronto a perdonarlo e non sapevo neppure se sarei mai stato in grado di farlo; in fondo non si meritava niente, ed era lui ad aver spento mia madre quando, da giovane ingenua ed innamorata, aveva sacrificato i suoi sogni per lui. Ma lui ci aveva abbandonato. Ed io, io non potevo dimenticare un male così grande. 

In quei ventuno giorni crebbi, mi fortificai diventando impenetrabile perfino al dolore. Riuscii a raggiungere un livello tale di maturità da prendere la difficile decisione di far ritorno a scuola. Volevo tornare alla mia vecchia vita, al monotonia che sempre avevo disprezzato; sentivo un gran bisogno di dovermi distrarre, e non trovai nessun modo migliore che far ritorno dai miei compagni, ma soprattutto dagli amici. 

Ecco, ora ero pronto… forse

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