Ventiduesimo Capitolo

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Giunto a New York trovai l'amico di mio padre pronto a consegnarmi le chiavi; l'appartamento era carino e non si trovava neppure in una brutta zona, anzi… Era un loft. C'era un salottino con una cucinotta a vista, una camera da letto col bagno ed un'altra stanzina che adibii a studio. Il signore, un certo Rogers, un uomo basso, tozzo e col viso simile ad una cartina geografica per via di tutte le rughe che lo segnavano, mi spiegò un paio di cose e mi disse che una volta tornato dall'Italia avrei potuto iniziare subito a darmi da fare nel loro negozio. Perfetto, pensai fra me e me, per lo meno saprò come impiegare le mie ore libere. « Ah, Jacob » aggiunse lui « non pensare che io ti voglia sfruttare! I dollari che guadagni in più sono tuoi » 

« Grazie mille » gli sorrisi. 

Okay, pensai ancora, avevo un appartamento, un lavoro e l'università; le cose dovevano per forza andare per il verso giusto. Meno male. 

Vi trascorsi un paio di giorni tanto per familiarizzare con la città, approfittai dell'occasione per andare anche a visitare il college e chiedere le ultime informazioni. Poi, partii. Il quarto giorno del mese di giugno, alle ore undici e nove, il mio aereo decollò dall'aeroporto di Newark. La mia nuova vita era ufficialmente iniziata, ne ero certo. 

Mio padre aveva pensato a tutto: avevo una camera prenotata a Roma in un albergo ed un'altra prenotata a Milano dove, il 25 luglio mattina, avrei dovuto prendere un volo da Malpensa per Boston. Tutto quello che c'era in mezzo a queste due date e a queste due città era affar mio. 

Atterrato all'aeroporto Leonardo da Vinci a Fiumicino all'una di notte, ora locale, un taxi mi ha portato fino al mio Hotel, in pieno centro storico. Sono rimasto a Roma per due settimane col fine di vedere in tutte le sue sfaccettature la capitale ma le giornate più belle sono state senza dubbio quelle trascorse con i miei tre amici romani: Marco e Valeria. Li ho conosciuti nel parco di Villa Borghese in un caldo pomeriggio di inizio estate e mi sono piaciuti da subito; quel dì stavo passeggiando per il prato quando un pallone da calcio mi ha colpito dritto in pancia, di corsa sono giunti questi due ragazzi pronti a scusarsi. Hanno un anno in meno di me e frequentano un liceo classico di nome "Giulio Cesare" ma, a differenza mia, non si sono ancora diplomati. Con loro ho avuto modo di vedere la vera Roma, quella che la notte si anima; mi hanno portato in giro per vari quartieri facendomi da guida.  Mi hanno persino portato ad Ariccia a mangiare la porchetta! 

Credo che se fossimo nati nello stesso posto saremmo certamente divenuti amici per la pelle, c'era qualcosa in loro che combaciava perfettamente con me nonostante avessimo degli stili di vita così diversi. Marco, ad esempio, é figlio di un celebre notaio, vive fra una festa ed un'altra, conosce tutti i locali, discoteche ed eventi ed ha sempre qualcosa da fare, anche quando non fa niente. É pieno di amicizie, di ragazze e di soldi. Valeria invece é molto diversa da lui seppur frequenti gli stessi ambienti e scuola; é una bella ragazza, bionda e con i capelli ricci, di corporatura robusta, ma non somiglia per niente al genere femminile che ero abituato a conoscere… lei, infatti, adora le moto, segue le corse, é appassionata di calcio e di pallanuoto. Parla molto bene l'inglese e dunque conversare con lei mi é risultato assai più facile che farlo con Marco. Insieme comunque mi hanno addirittura insegnato qualche vocabolo italiano e qualcuno tipicamente romano. 

Verso la fine del mese però mi sono trovato costretto ad incamminarmi verso Milano alla ricerca di nuove città da scoprire: la prima é stata Firenze. Mentre di Roma non sapevo un granché, Firenze mi pareva già di conoscerla ancor prima di arrivarci. Mia madre vi aveva vissuto per quasi due anni da giovane in quanto appassionata d'arte e mi aveva sempre detto di aver lasciato un frammento di sé proprio qui. So che potrà sembrar sciocco e forse pure banale ma era mia infezione trovare quel frammento infinitesimale, quindi sono andato per mostre, ho visto tanti musei e gallerie d'arte. Lei aveva ragione, questa città é proprio magica. La cosa che mi é piaciuta di più é stata camminare in riva all'Arno assieme a tutti quei turisti giapponesi e ai fiorentini, ciascuno munito di macchina fotografica per immortalare chissà quale momento speciale. In particolar modo c'erano due ragazzi, lui un omaccione alto e robusto, lei una figura esile e piccolina di statura, che pomiciavano poggiati su un muretto; ad essere sincero ho provato molta invidia nel vederli amoreggiare felicemente, avrei tanto voluto esserci io al posto suo ma con Alexandra. L'ho pensata tanto durante il mio soggiorno a Firenze… 

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