Quinto Capitolo

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Qualche notte la sognavo, qualche notte invece erano gli incubi a farmi compagnia; non ostante mio padre mi avesse raccontato di come fosse andato l'incidente, del tram che non si era fermato per un guasto colpendo così in pieno l'auto, io continuavo a rivivere quell'accaduto ogni qual volta chiudessi gli occhi per un secondo, ogni qual volta mi soffermavo a pensare. Il buio che faceva da sfondo a quel faro accecante, il suo urlo stridulo, la paura… l'incubo si ripeteva ad inoltranza, che avessi gli occhi socchiusi o spalancati. E non c'era una volta in cui non sentissi il cuore pesare come un macigno, un groppo in gola, la bocca secca, gli occhi asciutti e la voglia di piangere, l'irrefrenabile voglia di imprecare, urlare tanto forte affinché tutti mi potessero udire. Avevo voglia di tornare sul luogo dell'incidente a notte fonda e di gettarmi sotto la prima metro; un secondo e l'avrei raggiunta, e nessuno sulla terra se ne sarebbe realmente curato. Eravamo giunti oramai all'otto novembre, un mese freddo, un mese ambiguo, un mese in cui mi sentii solo, ed il mondo era sempre lo stesso schifo; che mia madre se ne fosse andata non importò di fatto a nessuno, la sua morte era stata vana e, a parte noi familiari stretti, nessuno sembrava essersene accorto. Un paio di condoglianze, parole vuote e misere, parole oggettivamente finte, e una lacrima pianta a fatica: ecco quello che il mondo aveva avuto in serbo per lei. 

Gli incubi ed i pensieri divennero sempre più una persecuzione e l'unico modo per allontanarli era annacquarli con dell'alcool oppure sovrastare quelle immagini e quei ricordi con il rumore della musica; ricorsi ad entrambi i metodi. Ero amareggiato dall'inutilità della vita e disperato per aver perso il controllo sulla mia. Mi chiusi nella chitarra, nella musica, in me stesso ed iniziai a comporre brani, o per lo meno cenni di canzoni, alcuni pessimi mentre altri orecchiabili. Fui in grado di accostare parole senza senso, suoni onomatopeici ed altre folli idee che mi balenavano mentre suonavo. I testi facevano pena, le melodie - se possibile - erano perfino peggiori, ma nel momento in cui strimpellavo quelle corde, in quei pochi minuti in cui la pelle innocente delle miei dita si strofinava contro i fili metallici, la mia mente era totalmente sgombra. Nessuna memoria, nessuna preoccupazione, visione, flashback o  incubo. A novembre inoltrato, dopo un mese trascorso nel modo più misero ed ignobile, compresi che forse era meglio gettarsi a capofitto nella mia attività musicale anziché divenire un vero e proprio alcolizzato, l'effetto bramato era per lo più lo stesso. 

Dopo scuola mi intrattenevo con i miei amici, ormai fratelli, con i quali mi svagavo e riuscivo a sfogarmi: dissi loro di Alex, del fatto che c'ero rimasto male che lei si fosse comportata così meschinamente, dissi loro delle mie crisi, dei miei attimi di sconforto… erano gli unici a cui potevo mostrare di avere un lato sensibile e profondo senza esser giudicato frocio. 

Ed intanto mi ero fatto una nuova amica, Elizabeth, una ragazza d'oro. Liz era bella, estremamente attraente con quella folta chioma indomabile color rosso ramato. Le piaceva giocare - meglio non specificare come o a cosa - ed aveva la dote di riuscire a tirarmi su di morale ogni qual volta ci incontrassimo. Con lei però, la mia compagna d'avventure, non riuscii mai ad aprirmi. 

In un giorno freddo ed uggioso nel mezzo dell'autunno, stranamente, le cose migliorarono e, fra le foglie secche ed appassite che giacevano desolate sul suolo sdrucciolevole riuscii ad rinvenire dei colori! Ero in classe, stava per finire l'ora di Letteratura quando l'insegnante assegnò noi un progetto da eseguire in gruppi riguardante Shakespeare. « Formate le coppie in fretta che è tardi! » aveva detto. 

« Jake lavoriamo insieme? » sentii chiedermi da una voce alle mie spalle

« Alexandra?! »

« sì, hai già qualcuno? »

« no, non ancora »

« allora, lavoriamo insieme? »

Annuii. 

« forza! Sbrigatevi! » ripeté ancora una volta la docente, « perfetto. Ora… voi farete tratterete l'Amleto, voi…. voi.. ( etc… ) » proseguì. « mmm, Taylor e Monroe: che accoppiata insolita! Perfetto, a voi Romeo e Giulietta. Non deludetemi.. »

Alexandra ed io ci guardammo tentando di contenere le risa, personalmente ero solito odiare quella vecchia babbiona ma, in questa circostanza, le fui abbastanza grato. 

Quel pomeriggio Alex ed io ci incontrammo a casa mia. Il tempo volò, a dir il vero non combinammo niente ma fu comunque un pomeriggio sensazionale. Qualcosa in lei mi attraeva profondamente, il suo modo di parlare, la sua risata, il suo profumo… non saprei indicare con esattezza una sola sua qualità che mi interessasse, ma c'era qualcosa in lei che mi accedeva. La casa intera fu sommersa da un'ondata di allegria e di positività col suo arrivo, persino mia nonna ne fu traviata che si affrettò ai fornelli per prepararle un qualcosa da sgranocchiare. 

« tua nonna è stupenda » commentò mentre addentava una fetta pizza. « ma tua madre, non c'è? È da un po' che non la vedo in giro… »  

Ecco la domanda che più temevo, quella che mi avevano risparmiato durante quei due mesi e mezzo. Cosa avrei potuto rispondere? Come? Ancora una volta temevo il suo giudizio, quanto ero caduto in basso… che squallore! Presi un respiro profondo e parlai senza pensare neanche per un attimo le parole che avrei pronunciato. 

« è morta » risposi freddamente soffermandomi a guardare la sua espressione scioccata, l'ebbi gelata. 

« oh mio Dio! » esclamò con voce sommessa, « non no lo sapevo, scusami! »

« figurati » mormorai. Senza neppur accorgermene Alexandra si era alzata ed era venuta ad abbracciarmi. « allora proseguiamo, dai. Qualche idea su come presentare l'argomento? » incalzai. 

Da quel preciso istante iniziò a guardarmi con occhi diversi, compatendomi. Questo mi fece distaccare bruscamente da lei. Ci incontrammo per un paio di pomeriggi ma più lei diveniva affettuosa, più io ero freddo; ma mai persi l'interesse nei suoi confronti, ahimè. Non affrontammo mai discorsi diretti, magari riguardo al motivo per il quale si era comportata precedentemente così male, ed io mi dovetti trattenere dall'impulso di aprirmi a lei quando invece Alex non si faceva problemi nel affrontare punti della sua vita. Un giorno mi raccontò per filo e per segno una lite che avevano avuto qualche tempo prima lei e Thomas, un altro invece mi mostrò la coreografia che lei e le sue compagne avrebbero dovuto eseguire alla partita successiva, poi mi spiegò di una difficile situazione che viveva a casa sua per il divorzio dei suoi genitori ed infine arrivò a confidarmi il suo desiderio di rifarsi il seno. Un pomeriggio, mentre lavoravamo sul personaggio di Romeo a casa mia, mi disse che non sapeva cosa le succedesse con me, ma che sentiva di potermi confidare qualunque cosa. In quella situazione tacqui come in tante altre in cui forse avrei preferito parlare anche io. La novità però, con mia grande sorpresa, fu che Alexandra non prese ad ignorarmi a scuola; sì, il progetto non era ancora terminato, dunque non sapevo se lo avrebbe rifatto una volta finito, ma ad ogni modo si comportò in modo diverso, forse perché le facevo pena o forse - e mi auguro - no… a pausa pranzo si sedeva accanto a noi, chattavamo, uscì una volta o due con me a la mia comitiva e disse di essersi divertita. Mi sorse il dubbio che avesse litigato con i suoi amici ma no, aveva deciso di trascorrere del tempo con me, il motivo mi sfuggiva ancora…

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