È venerdì, oggi mamma non si è alzata dal letto. Mia sorella dice che ha la febbre. Papà è andato al lavoro come al solito ed in casa resterà Gi ad occuparsi di lei e a darle una mano.
Per me dovrebbe esserci scuola ma io insieme ad Elvetia, Andrea, Daniela, e altri tre dei miei compagni ci andremo ma non faremo lezione perché siamo stati invitati a casa di Marco.
Mi sono svegliata presto, ho fatto il bagno, e mia sorella mi ha pettinato i capelli in due trecce. Ho messo anche un po' del suo profumo. Ho dei pantaloni nuovi blu che mamma mi ha comprato al mercato, una camicia rosa che Gi non mette più, un golfino blu, e le solite scarpe da ginnastica.
Siamo appena arrivati in classe, io non ho il grembiule come gli altri però sono la più elegante. Elvetia chiama i nostri nomi, firma il registro e andiamo.
Il cuore mi batte fortissimo, penso d'essere emozionata ma anche preoccupata per mamma che non sta bene. Arriviamo sotto casa di Marco, prendo la mano di Elvetia e le dico che forse non sto bene. Lei dice che sto bene, di non preoccuparmi di niente e soprattutto che andrà tutto bene. Saliamo in ascensore, io non l'avevo mai vista, è proprio come quella di casa mia ma più pulita. Nella mia scala ci sono tre famiglie che hanno diversi figli drogati, papà non vuole che io prenda l'ascensore, così mi faccio sempre tre piani a piedi.
Si apre l'ascensore, è Linda la mamma di Marco che ci apre e ci fa entrare in casa. Io sono l'ultima della fila, la saluto ma non la guardo. Lei ricambia il mio saluto con una carezza sulla testa, e mi chiede come sto, le sorrido e le rispondo - bene grazie ma mi viene da vomitare - . Elvetia si gira, io non so perché l'ho detto, è vero che mi viene da vomitare ma non era proprio il caso di dirlo. Poi aggiungo - solo un po', credo sia stato il latte di questa mattina, ma non sono malata- in realtà per l'agitazione non ho nemmeno fatto colazione. Cosi mi ritrovo seduta in cucina, che bevo acqua e limone, con tutti che mi guardano e aspettano che vomiti da un momento all'altro. Ma non succede.
Adesso siamo nel corridoio, la sua casa è come la mia, lo stesso marmo per terra, un solo bagno, ma forse ha una camera in meno, del resto la famiglia di Marco è fatta di sole quattro persone, lui, i suoi genitori e sua sorella più piccola. Adesso la signora Linda ci porta in camera da Marco, si entra due alla volta, io resto fuori. Elvetia vuole che mi calmi, dice che entrerò per ultima e facendomi l'occhiolino mentre gli altri entrano ed escono, a voce bassa mi dice
- se sarai l'ultima potrai rimanere con lui un po' di più-
Adesso tocca a me. Entro, lui è a destra della stanza, seduto nel letto che è sotto la finestra con le spalle poggiate a dei cuscini, ha il viso pallido, forse è un po' stanco, sembra ancora più piccolo di quello che è. Socchiudo la porta dietro me e rimango ferma lì, lui mi sorride e con la mano mi fa cenno di farmi avanti. Ci sono delle macchine che fanno rumore, una è dietro al suo letto blu e l'altra vicino alla finestra. Non so a cosa servano. Ad un lato del letto c'è un piccolo comodino anch'esso blu. Sulle pareti due poster con degli aerei, per terra su una mattonella di linoleum, tre palle piccole colorate di gomma morbida, come quelle che usiamo per le libere attività, a sinistra della stanza una libreria rossa piena di libri di ogni genere e fumetti di topolino, sopra questa moltissimi giochi in scatola, e più su ancora, modelli di macchine chiuse in scatole di plastica trasparenti. La sua sedia a rotelle è sotto la scrivania come una normale sedia. C'è odore di medicinale, proviene da una busta bianca di plastica dentro ad un cestino vicino al letto. Marco indossa una tuta blu come quella che usiamo per ginnastica, con impresse alle gambe ed alle braccia due strisce bianche laterali, nella felpa là zip è aperta e mostra una canottiera bianca. Io mi avvicino a lui.
I suoi capelli lisci sembrano appena lavati, sono più lunghi, ed ora porta la riga di lato. Vorrei parlargli della scuola, dirgli che nei pomeriggi alle volte gioco a calcio, ma riesco solo a dire in modo imbarazzato
- scusa sono un po' ingrassata.- .
Lui mi osserva e
- a me non sembra poi molto -
Sorrido compiaciuta e mi siedo delicatamente sul suo letto. Adesso mi accorgo che dal suo petto sotto la canottiera escono dei fili che sono collegati alla macchina dietro il suo letto, dalla quale si sente un beep che si ripete, da un certo punto di vista somiglia al ticchettio di un orologio. Faccio fina di niente e dimentico quello che ho appena visto.
Mi dice di aprire il primo cassetto del suo comodino, E scopro che al suo interno ci sono tutti i miei biglietti. Aggiunge che suo papà Ernesto che ritira la posta, glieli consegna quando arrivano ma senza farsi vedere da sua mamma. Continua dicendo che non sapeva come rispondermi, se lo avesse fatto nello stesso modo forse in casa mia qualcuno se ne sarebbe accorto ed io avrei passato dei guai. Così ha deciso di scrivermi ma di non darmeli. Adesso è lui che apre il secondo cassetto. Dentro c'è il mio disegno di noi due che balliamo sotto la pioggia, dei palloncini colorati e sotto al disegno una busta da lettere quadrata bianca, la prende, sembra sia piena, la apre e al suo interno ci sono tutte le sue risposte. Me la consegna sorridendo e mentre lo fa sembra arrossire, poi mi dice
- leggili quando sei a casa -
So che il tempo a nostra disposizione sta scadendo, tra un po' dovrò andare, lui mi guarda e
- qualche volta dalla finestra ti vedo giocare a pallone, stai diventando brava-
- grazie, non gioco sempre, però alle volte mi piace . Anche io qualche volta ti ho visto alla finestra ma non sapevo se potevo salutarti.-
Non gli dico che passo sempre sotto casa sua per andare ai negozi, né tantomeno gli racconto di quella volta che nascosta dietro la colonna l'ho visto scendere dall'ambulanza. Ma non faccio in tempo a pensarlo che lui aggiunge
- e ti ho visto anche quella volta quando eri nascosta dietro la colonna -
Scoppia a ridere e poi mi dice
- si vedeva il sacchetto della spesa!-
Poi ride ancora e aggiunge
- hai un buon sinistro ma tu sei sempre stata ambidestra -
Adesso rido con lui. Entrambi avvertiamo che le nostre vite sono cambiate, lo sappiamo, ma adesso siamo insieme e domani non conta. So anche perché ha cercato di tenermi lontana, lo capisco, ma io non potrei volergli più bene di adesso e non potrei mai smettere di volergliene anche se lui mi mandasse via un altra volta.
Un attimo di silenzio e lui riattacca dicendomi
- ho parlato con papà, ed Elvetia ha parlato con lui e con mamma mentre c'era anche il mio medico, così i miei mi hanno detto di dirti che se hai voglia, puoi venire a trovarmi nel pomeriggio quando vuoi. A me farebbe piacere, potremmo giocare con qualche gioco in scatola, e vedere i cartoni animati, papà la prossima settimana mi mette la tv in camera.-
Gli rispondo prontamente che per me va benissimo, in realtà non so proprio cosa diranno i miei genitori, però non mi importa. Sono felice e nessuno può portarmi via questo momento.
Qualcuno bussa alla porta che è semi aperta, mi giro ed è Elvetia che mi dice che dobbiamo andare via. Prima di andare Marco mi prende la mano e
- scusa Melina per tutte le cose cattive che ti ho detto, scusa se ... - Lo interrompo immediatamente e gli dico
- posso gonfiare dei palloncini?-
lui sorridendo mi dice
- si certamente!-
gli gonfio otto palloncini , mentre lo faccio il mio viso assume una tonalità di espressioni che passa dal buffo fino al finto arrabbiato. Adesso lui ride ed io con lui e per un attimo mi sembra di essere ancora seduta sulla panchina dei giardinetti, sembra che tutto sia tornato come prima.
Adesso devo proprio andare, la testa di Elvetia fa capolino dalla porta.
- ragazzi non vorrei interrompervi mai, ma Marco adesso deve fare delle cose e noi dobbiamo ....- non finisce la frase perché Linda nel corridoio le dice qualcosa, io sento solo
-...lasciali ridere... Aspettiamo....-
Lascio tutti i palloncini gonfiati accanto a lui, gli sorrido ancora, e nell'alzarmi dal suo letto per andare via gli do un bacino sulla guancia. Odora di sciampo alla camomilla e la sua pelle è liscia e morbida come la mia. Adesso la sua faccia è tutta rossa. Poi gli dico - se vuoi domani pomeriggio passo e giochiamo a nomi, cose e città- lui annuisce si alza leggermente e ricambia velocemente il mio bacio dandomene uno sulla guancia. Ha sempre le occhiaie ma il suo viso torna ad essere rosso come una mela.
Con Elvetia salutiamo tutti la mamma di Marco e torniamo a scuola.
Durante il tragitto non dico una parola, i miei compagni invece si scambiano impressioni più o meno intelligenti sulla salute di Marco.
Arrivati a scuola Andrea si avvicina e mi dice che è proprio contento di averlo visto, mi chiede se qualche volta potrà venire con me a trovarlo, io gli rispondo che chiederò a sua mamma.Sono a casa e mamma non c'è, Gi mi dice che papà è venuto a prenderla e l'ha portata in ospedale ed è stata ricoverata. Adesso sono molto preoccupata e mi sento in colpa. Forse dovevo rimanere a casa con lei, forse non sarei dovuta andare da Marco, forse se io avessi rinunciato a un po' della mia felicità lei sarebbe a casa adesso.
Papà torna alle 17 dall'ospedale e chiede a mia sorella di preparare una borsa per la mamma, dice di metterci dentro più di un pigiama, qualche vestito e l'occorrente per lavarsi.
Lei resterà in ospedale per un po', papà ha detto che mamma ha il diabete.
Ha cucinato papà, ha fatto una pasta con il pomodoro ed il sugo era troppo dolce, l'ho mangiata anche se non avevo fame, mi sembrava di avere un tornado nello stomaco. Il posto di mamma è rimasto vuoto, nessuno ci si è seduto, nemmeno papà, io avrei voluto, forse l'aereo sentita di più e forse mi sarebbe mancata di meno, ma, forse se lo avessi fatto avrei sbagliato.Sono nel mio letto, Gi non vuole che dorma con lei, dice che stiamo strette e comincia a fare caldo. Io non so cos'è il diabete, però papà mi ha assicurato che non è una cosa grave.
Io la penso tutta sola nel letto di quel ospedale, lei che ha paura dei medici, lei che ha paura delle malattie e prego Dio di farla tornare a casa e se lui lo farà, io come pegno gli donerò un pezzo della mia felicità per lei.
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Lontano dal sole
General FictionOgni cosa che vivi corre il rischio di scappare via. È anche vero che a volte il ricordo porta dolore. Non puoi nasconderti, in ogni caso lui ti troverà, ma per quel dolore non vale la pena di stare lontano dal sole