Ricordo 14 otto anni: nuvole come ali di angelo

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Agosto 1979. Ora nei miei quaderni scrivo tutto, papà non li legge più, è forse per questo che adesso mi sento libera di dire ciò che voglio e tutto quello che mi succede. Quasi ogni sera nel mio letto mi metto a pancia in giù, accendo la lucina sul mio comodino e scrivo mettendomi sotto al cuscino, in questo modo non mi vede nessuno. Adesso ho due quaderni, uno lo uso come diario e nell'altro scrivo le mie storie, quelle che poi leggo a Marco. Lui pensa che da grande dovrei scrivere favole, ma non gli credo, lo dice solo per farmi un complimento.
In ogni caso a me piace disegnare e anche scrivere , forse in quest'ultima cosa non sarò brava come dice la Ruffio ma  è una cosa solo mia e qualche volta anche di Marco. Il resto non mi importa. Quando mi sento triste, scrivo o rileggo le mie storie, cosi è come essere un' altra Melina.

Sto per partire.
Noi non andiamo in ferie molto spesso però quando accade, lo facciamo tutti insieme. Questo agosto invece parto solo io. Il dottore di mamma dice che io devo partire perché mamma non sta bene. Una mattina della settimana scorsa l'ho sentito che parlava con papà, diceva che mamma pensa che sia colpa mia, lei gli ha detto che io sono il diavolo. Ma non è vero, io non sono così. Quando ho sentito quelle parole avrei voluto essere più niente di quello che sono, ma invece sono scappata. Sono uscita da casa e correndo mi sonno diretta al parco dove ci sono gli zingari; è come un campo da calcio ma diviso in due, per una metà vengono coltivate le pannocchie (in alcuni giorni noi bambini ne rubiamo qualcuna ), nell'altra metà è pieno di frutti di bosco che crescono spontaneamente e noi li raccogliamo appena spuntano, alle volte li mangiamo direttamente dalle piante senza nemmeno metterli nei cestini, e torniamo a casa con le magliette e le facce rosse e blu. Ma non andiamo mai da soli e soprattutto non oltrepassiamo mai il campo perché, nascosti tra gli alberi che si trovano subito dopo ci sono loro, gli zingari. Ho pensato che se fossi stata il diavolo come diceva il dottore, loro avrebbero avuto paura di me e sarebbero scappati. Invece il risultato è stato che alcuni rovi mi hanno graffiata le braccia e i polpacci, e una volta arrivata al campo un bambino zingaro mi ha rubato le mie giapponesine. Ci sono rimasta male per le mie ciabatte, così ho pianto un po' ma infondo sono stata contenta che non mi abbia visto come un diavolo. Un ragazzo alto, con i capelli neri arruffati e con una busta di plastica piena di pannocchie che passava di lì, si è accorto che piangevo, mi ha chiesto se ero con qualcuno, gli ho risposto di no, che ero andata a prendere le pannocchie, e gli ho spiegato cos'era successo con le mie ciabatte. Lui ha cercato quel bambino, lo ha trovato subito e se le è fatte ridare. Poi mi ha detto che non dovevo stare lì da sola, che era un posto pericoloso. Io ho annuito, lui mi ha preso la mano e mi ha portato indietro fino ai negozi. Pensavo fosse molto più grande di me, ma parlando ho scoperto che aveva l'età di Edo, le sue braccia erano lunghissime quasi sproporzionate al resto del corpo, la sua mano teneva piano la mia e scommetto che se avessi chiuso la mia a pugno la sua l'avrebbe potuta accogliere tutta. Prima di salutarmi mi ha detto " ti regalo una pannocchia se mi fai un sorriso", gli ho sorriso ma non per la pannocchia, ma per i suoi occhi, i suo occhi verdi sembravano magici. Mi ha lasciato la mano, mi ha regalato una pannocchia delle sue, mi ha salutato con un "ciao!" ed un sorriso ed è andato via.
Io non so nemmeno il suo nome, ma per un po' ho creduto fosse un angelo.  Lo so che con gli estranei non bisogna parlare e non si deve accettare niente; come papà non credo molto in Dio, però come la mamma credo negli angeli e lui è stato gentile.

Ho visto mamma andare in giro per casa con una pentola in testa perché dice che questa  la protegge dai cattivi pensieri.  È strano vederla così, non sembra più mia mamma anche se alle volte, io nei suoi occhi la rivedo ancora. In quei momenti le sorrido, vorrei dirle che non sono una bambina cattiva, che le voglio un mondo di bene, ma lei appena sorrido mi guarda con rabbia, i suoi occhi diventano piccoli, io mi metto paura e vado via in un' altra stanza.

È mattina presto, sono all'aeroporto di Linate con papà. Mamma mi ha numerato ogni cosa, ha numerato le mie mutandine, le mie magliette, il mio pigiama, tutti i miei vestiti ed i pantaloni, anche io ho un numero attaccato al collo, sono il 110. A casa l'ho salutata con un bacino sulla guancia, lei ha detto
- ciao! Divertirti -
ma non mi ha baciata.
Papà mi ha lasciata qui con una signora ed altri bambini e bambine. Mi ha dato venti mila lire, ha detto di usarle per il gelato o per qualsiasi altra cosa. Dice di stare vicino a mia cugina Sandra ed ai suoi fratelli perché  loro vanno lì ogni anno. Poi prima di andare via ha aggiunto che mi avrebbe chiamato alla colonia di Monreale ogni sera.  Io l'ho abbracciato forte, volevo chiedergli di non mandarmi via, volevo dirgli che sarei stata migliore, che avrei fatto la brava, ma lui mi ha allontanata di fretta, doveva andare via.
Qui in aeroporto c'è anche mia cugina con i suoi tre fratelli è vero, lei ha la mia età, mi piace, ma io so di non esserle simpatica, infatti suo fratello più grande, Matteo,
quando andiamo con la mia famiglia a trovarli a casa loro, mi prende sempre in giro, mi dà sempre della cicciona, ed anche gli altri due, i gemelli che hanno sei anni, Luigi e Simone mi prendono in giro. Mia cugina Sandra ride, non mi offende è vero, ma nemmeno mi difende quindi è come se anche lei ridesse di me.
Ovviamente in aereo mia cugina sta con le sue amiche per i fatti suoi, io non conosco nessuno a parte loro, così, già che i posti sono tutti occupati, la signora che ci accompagna mi porta alla fine dell'aereo e mi fa sedere al mio posto da sola, poi se ne torna nelle prime file. Nessuno si siede con una cicciona, anche se non sono malata è come se lo fossi, forse pensano che io possa attaccargli il grasso. Possono andare a cagare, non ho bisogno di nessuno.
Sono seduta dove c'è la coda, e vicino dietro di me, è seduto un ragazzo molto bello, sembra un pilota per quanto è elegante ma invece è uno stewart, prima di partire ha portato un bicchiere di acqua solo per me, me l'ha data facendomi un sorriso, non gliel'ho nemmeno chiesta, forse ha pensato che fossi nervosa. Un po' è vero. Per andare a Catania, partiamo sempre con la macchina, ad un certo punto con questa saliamo sul traghetto, e papà mi porta con se sul ponte a "respirare un po' di aria buona" dice. A me invece piacciono le onde. Papà tutte le volte mi racconta che si sente come quando torna a casa la sera, appena vede la Sicilia gli si illuminano gli occhi, una volta di nascosto l'ho visto piangere, si era appartato, lontano da tutti, davanti a lui la costa della Sicilia, stava lì, con il petto sulla ringhiera della nave dando a noi le spalle. Mi sembrava tutto solo e mi sono avvicinata prendendogli la mano, lui aveva gli occhi lucidi, ma se li è puliti con la mano velocemente e mi ha sorriso. Lui è un vero uomo non piangerebbe mai di fronte ad altre persone.
Quando la nave si ferma a Messina, scendiamo tutti e andiamo a pranzo o a cena in un ristorante che fa solo pesce, la mia famiglia prende la frittura ed a me papà compra il pesce spada. Quando lo fa io mi sento importante.
Siamo venuti in Sicilia anche con il treno ma l'aereo non lo avevo mai preso, quindi si, sono un po' agitata.
La partenza dentro questo uccello di metallo mi fa sentire come quando salgo sul calcio in culo, però è più forte, più potente, anche se hai voglia di stare seduta e portarti in avanti per guardare dal finestrino, la forza dell'aereo ti spinge indietro contro il sedile.  E forse è meglio perché soffro di vertigini. Adesso voliamo, alla mia destra il cielo è azzurro come l'azzurro dei pennarelli carioca, voliamo sopra e sotto le nuvole, alle volte anche dentro, potrei toccarle con le dita, sembra come nelle storie di Elvetia, somigliano a riccioli di panna, o ad ali di angelo. Io mi sento leggera come le margheritine che ogni tanto lancio a Marco, mi sento leggera così e felice come non mai. Guardo giù, non ho paura, le persone non si vedono più, si vedono le città, campi coltivati e prati fino a perdere lo sguardo. Penso a mamma, e credo che a lei piacerebbe tantissimo stare qui con me, mano nella mano, come quando da piccola mi portava ai negozi a fare la spesa, c'erano dei momenti che me la stringeva così forte che pensavo me la volesse strappare via. Io le stringerei la mano così e non gliela lascerei più. Vorrei che vedesse quello che vedo io, vorrei che il mio desiderio arrivasse fino a lei perché un sole così non lo ha mai visto, ed allora, per un momento, credo che, se avessi dei poteri speciali potrei rubarne un po', tenerlo nel mio cuore e poi regalarlo solo a lei senza farmi vedere.
Papà invece mi ha mandato via, lui crede che io possa fare del male a mamma, come quella volta, quando ero piccola che ho ucciso il canarino che avevamo nella gabbietta nel balcone della cucina. Io volevo farlo mangiare, non volevo fargli del male, ho fatto solo come mamma faceva con me, che mi infilava di fretta uno dietro l'altro i cucchiai grossi di pasta in bocca. Io gli ho spinto il becco nella ciotola del mangime, e poi in quella dell'acqua, ad un tratto non si è mosso più.  Ho chiamato papà, lui mi ha chiesto cosa gli avevo fatto, non sapevo cosa rispondere e per la paura, mi sono fatta la pipì addosso bagnando le mattonelle rosse del balcone. Poi lui lo ha preso, lo ha messo a pancia in su, la testolina del canarino gli penzolava dalla mano, con un dito gli ha massaggiato il petto ma lui era morto e la colpa era solo mia. Mio papà anche per questo pensa che sono cattiva, altrimenti non mi avrebbe mandato via.
Stiamo per atterrare a Palermo, vedo il mare, ma forse, per la prima volta in vita mia non mi importa, forse questo cielo bellissimo ha finito gli angeli, e forse lui ha ragione, io sono cattiva, lei non mi vedrà più e quando lo farà vedrà solo il buio. Io non  posso chiedere più niente al suo cuore, nemmeno il suo sorriso.
Tocco il finestrino con la mano, è freddo, come il freddo che sento nello stomaco, in silenzio le lacrime mi scendono dal viso, non voglio che gli altri si accorgano che sto piangendo, mi vergogno, non saprei cosa dire e infondo non so bene nemmeno io perché piango, so soltanto che mi sento triste è come se il buco nero mi avesse inghiottita.

Lontano dal soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora