Anni '70 Ricordo 1 cinque anni: una domenica

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Sono circa le sette di domenica mattina, mi sveglio di colpo. Il giorno prima, come spesso capita il sabato sera, è avvenuta una lite enorme tra papà e mamma, ho solo cinque anni ed il mio cuore in questo momento, batte all'impazzata, destandosi come al solito nel mio petto prima di me. Aspetto che si calmi ascoltando il suo suono, e il suono che proviene dalla grande casa dove viviamo. Tutto è immerso nel silenzio, avverto solo il ticchettio della sveglia di fronte a me sul comodino, e mia madre in cucina che si muove delicatamente per non disturbare nessuno di noi, intanto prepara il caffè e scalda il pane. Come un gattino, senza fare rumore, esco dalla mia stanza, percorrendo il lungo corridoio da dove ogni camera si affaccia arrivando fino all'anticamera dell'ingresso, da li l' intercapedine di una porta che è stata tolta anni prima che affaccia sulla cucina, mi permette di rimanere attaccata al muro, sporgendomi solo quel tanto che basta per permettermi di spiarla.
La guardo di nascosto senza saperne il perché. I piedi nudi sul marmo ghiacciato mi fanno sentire in colpa, se mio padre mi vedesse senza ciabatte me la farebbe pagare cara, sgridandomi come non mai. Cosi sempre in silenzio torno in camera, mi accerto che mia sorella dorma ancora, e rimettendomi a letto continuo a poltrire, felice che mia madre sia ancora lì, che non abbia dato retta alle sue stesse parole della sera prima, mentre papà la picchiava di fronte a tutti noi. Sono felice che non sia andata via come ha promesso lui, lei non ci lascerebbe mai ad amare quel uomo da sole.
La mia stanza è di colore bordeaux. Due letti a formare una elle, uno contro il muro, ed uno sotto la finestra, un comodino con una radio, degli scaffali componibili, un armadio enorme a sei ante ed una scrivania.
Dal mio letto attaccato al muro guardo giù verso i miei piedi mia sorella Gi (Giada) di fronte a me, è bellissima, carnagione olivastra, capelli neri e ricci, quegli occhi grandi e neri adesso chiusi dal sonno, ha sette anni più di me, ed io la guardo come si ammira un quadro bellissimo, vorrei essere bella come lei, ed in quel desiderio non c'è ne invidia ne gelosia ma solo la consapevolezza che io sono troppo diversa. La mia carnagione è bianca come il latte, occhi nocciola, e capelli castani rossicci leggermente mossi, con il viso pieno di lentiggini. In questi giorni passo diversi momenti davanti allo specchio a cercare di ridere come ride lei, la imito in tutto ma non riesco a indossare le gonne, le detesto, mentre invece adoro i pantaloni che mi permettono in ogni momento di giocare a biglie e di saltare alla corda.
Siamo troppo diverse e questo lo sanno tutti, e tutti me lo fanno notare. i miei genitori, i miei quattro fratelli e mia sorella sono tutti nati a Catania, io invece no, sono milanese, sono nata qui. Papà al lavoro ha chiesto il trasferimento per il nord, non voleva restare giù, dice sempre che se fosse rimasto giù per i miei fratelli non ci sarebbe stato un futuro lavorativo. Ad ogni modo questa cosa, anche se la dicono con ironia, anche se è solo un gioco, mi fa arrabbiare, e mi fa stare male, è come non appartenere alla mia famiglia.

Sono arrivate le otto e trenta, ritorno in cucina e saluto mia madre con un bacino sulla guancia, mentre lei distratta prepara il vassoio della colazione per mio padre. Non sono più arrabbiati, non so quando hanno fatto pace, ma sono certa che lui non le ha chiesto scusa, e lei adesso manda me a portare quel vassoio con latte, caffè e pane caldo imburrato, come messaggero di pace, come a farsi perdonare qualcosa che non ha mai commesso.
Io amo mio padre, lo amo tantissimo, alle volte picchia i miei fratelli e anche mia madre, ma nel mio cuore io so che non è cattivo.  Questo mi fa somigliare ad un ramo spezzato,  amarlo è un po' come tradire. Adoro portargli la colazione, mi fa sentire importante per lui, e adoro guardarlo fare colazione, quando finisce di mangiare ci mettiamo stretti l uno all'altra, io poggio la mia testa sul suo petto caldo, lui mi chiede quanto bene gli voglio, ed io gli rispondo allargando le braccia e dicendogli - te ne voglio così fino alla fine del mondo! - Poi mi inebrio del profumo del suo abbraccio e in quell'istante so con assoluta certezza che tutto è tornato alla normalità. Questa mattina però e andata in modo diverso, busso alla porta:
- ciao papà ti ho portato la colazione!-
- vieni entra!-
Attendo un paio di secondi, giusto il tempo che si metta seduto ed aggiusti le coperte. Poggio il vassoio sulle sue gambe, devo dirgli delle cose, non so cosa di preciso ma so che sono tante cose.
Lui mi guarda, mi sorride e mi dice
- vieni qua! -
io mi avvicino piano, fiduciosa, e lui, senza nemmeno una parola di preavviso mi tira un ceffone sul viso
- corri a metterti le ciabatte o prenderai una polmonite!-
Sento il rumore dello schiaffo, avverto il vuoto allo stomaco, mi accorgo delle lacrime che spuntano dagli occhi senza il mio consenso, il suono del vassoio che si muove e il latte che esce dalla tazza fino a bagnare la coperta pesante di lana verde che mia madre ha messo la sera prima. Porto la mano alla guancia colpita, sento i solchi che le sue dita lasciano sul mio viso ma non ricordo il dolore fisico. Rimango impietrita per un paio di secondi, poi dico: -scusa papà hai ragione!-
E corro in bagno a piangere. Inizialmente non piango per la sberla, piango perché so che mia madre adesso deve cambiare nuovamente la coperta. Poi Piango perché lui non ha mai messo una mano su di me in modo violento come in quel preciso istante. Adesso so una cosa, so che non sono più la sua bambina, sono diventata grande, così grande da poter essere picchiata.

Non gli portai più la colazione a letto.

Lontano dal soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora