Ricordo 3 sei anni: si va a scuola

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Viviamo in un quartiere della periferia di Milano, le nostre case sono palazzoni grandi e marroni, con dei portici enormi e soprattutto un grande giardino.
Questa mattina, come in tutte le occasioni importanti non mi sono lavata da sola. Ho quasi sei anni. Mamma ha portato la sedia in bagno, mi ha fatto salire in piedi su questa e mi ha lavato.  Mia mamma si chiama Miriam, ha dei bellissimi occhi color nocciola, un viso ovale, i capelli neri e mossi sempre raccolti in un tupé, e odora di latte. Mezza nuda in piedi sulla sedia, la guardavo mentre mi lavava, era così concentrata nel momento in cui mi strofinava il viso e le braccia, non ha parlato come suo solito, io però l'ho sentita. La finestra era un po' aperta ed il sole si rifletteva nei suoi occhi, la radio suonava ed io cantavo a squarciagola e ridevo.
Sono contenta di andare a scuola, ho un po' paura ma sono contenta. Non ho frequentato l'asilo, quindi conoscere altre bambine e altri bambini mi emoziona. Ho solo un po' paura della maestra, Edo, mio fratello più grande di me di cinque anni, dice che le maestre sono severe, dice anche che sono stata adottata ma io a quest'ultima cosa non credo. Ad ogni modo questa mattina in casa sono tutti agitati, non li capisco, dovrebbero essere abituati. Chi corre a destra, chi a sinistra, ho le scarpe nuove e non è domenica, indosso una gonna blu di mia sorella che mia madre ha accomodato per me , calzini corti, bianchi, e una maglietta nuova gialla. Sono proprio elegante!
Usciamo di casa e passando dai giardini salutiamo mamma con la mano, che ricambia il saluto dalla finestra del salotto. Quando ero più piccola, stavo dietro a quella finestra con mamma e salutavo i miei fratelli. Adesso sono grande anche io.

La mia scuola si trova alla fine della via dove abitiamo. Un complesso marroncino, come le nostre case, ma un po' triste, elementari e medie in due palazzine diverse, due campi in terra battuta dove si gioca a calcio, e sul retro una pista dritta a quattro corsie per le gare di atletica. Due dei miei fratelli e mia sorella vanno tutti alle medie, io sono la più piccola, l'ultima di sei figli, ed oggi è il mio primo giorno di scuola. Ci sono tanti bambini accompagnati dalle mamme, io stringo la mano di Gì. Chiamano il mio nome
- Carmela Corleone prima B con l'insegnante Serafina Ruffio -
Faccio finta di non sentirlo, Gì è distratta dalle sue amiche, forse torno a casa. Invece no perché quel ripetente di mio fratello Paolo detto L'Orso, di otto anni più grande di me, dice a mia sorella che hanno fatto il mio nome. Mentre lui si avvia nell'altro edificio con Edo, Gi mi guarda, e sorridendomi mi dice che sarà li al suono dell'ultima campanella. Salgo i primi tre gradini, mi volto e lei non c'è più.
L'insegnante ha gli occhiali spessi, capelli corti e neri, sembra abbia qualche pelo in faccia, in ogni caso un po' mi piace perché non è molto alta, non urla e sorride a tutti noi. Guardo la bambina accanto a me, grembiule bianco e fiocco rosa come il mio, siamo uguali, le sorrido. La sua cartella è tutta rossa, la mia tutta blu, ed anche se è di terza o quarta mano la adoro. Dentro ci sono il diario e l' astuccio nuovi che mi ha comprato papà, la esse presa dal prestinaio, ed un quaderno Pigna a quadretti grandi con in copertina dei fiori d'acciaio. Alla mia sinistra noto un po' di confusione, sporgo il viso, mi metto in punta di piedi e finalmente riesco a vedere; in classe con me ci sarà anche lui, non so come si chiama ma ha gli occhi azzurri ed è seduto su di una carrozzina con le ruote come quella di alcuni grandi che non camminano. Nemmeno lui cammina.

Siamo i più bassi io e Marco, e sediamo in prima fila. Le prime ore della mattina le abbiamo passate a presentarci, ognuno di noi ha detto il proprio nome, io guardavo i suoi capelli lisci e corti, le sue mani che si muovevano mentre parlava e così ho saputo il suo nome. Ho anche scoperto che Marco abita nel palazzo di fronte al mio. Non lo avevo mai visto. E soprattutto è terrone come me. Odio questa parola, papà dice che non dobbiamo offenderci, dice che terrone è quello che lavora la terra e non c'è niente di male nel lavoro onesto. In ogni caso i miei fratelli mi hanno preparato a questa cosa,
e mi hanno detto di stare lontana da certi milanesi perché ci offendono e ci prendono in giro.

Sono passati un po' di mesi dall'inizio della scuola. Adesso la mattina mi lavo e mi vesto da sola, non sono brava a pettinarmi così metto un cerchietto in testa. A scuola sono sempre seduta vicino a Marco che adesso occupa un banco più grande e più alto per via della sedia a rotelle. Mamma non vuole che compriamo la merenda dal prestinaio, dice che costa troppo, così ci dà lei un po' di pane e mezza mela ciascuno. All' intervallo tutti scambiano un pezzo della propria merenda con un pezzo della merenda di un compagno. Nessuno vuole la mia ma a me non importa, quello che ho mi piace, e assaggiare tutte le merende finte chiuse in quelle bustine di plastica non mi alletta.
So scrivere il mio nome ed altre parole ma la E maiuscola non mi riesce proprio. Mi piace leggere e fare i riassunti a voce, mi piace disegnare, adoro disegnare, ma la E proprio non mi riesce e così, passo interi pomeriggi sul tavolo della cucina a scrivere intere righe di E, in compagnia di mia madre che stira e mio fratello Edo che continua a darmi sberle in testa, ogni errore è una sberla in testa o una tirata di capelli. Odio fare i compiti!
La verità è che a scuola non capisco niente, alle volte penso, anzi credo di essere stupida, l'insegnante parla, spiega le cose ma io non la capisco, e sono persa dentro me, poi quando mi fa qualche domanda io non so rispondere, cioè vorrei rispondere delle cose che so ma probabilmente non sono quelle che lei vorrebbe sentire. Così lei si alza, si avvicina a me e al mio quaderno e all'improvviso mi tira una sberla in testa. Io non piango, i miei compagni (tranne Marco) ridono tutti, mi chiamano somara, la maestra ride. I suoi denti sono gialli separati da strisce nere, il suo fiato addosso puzza come il gatto morto che ho visto giù nei box la settimana prima. Lei non mi piace più, e non mi piacciono più nemmeno molti dei miei compagni, quelli figli unici, con due genitori che lavorano e nel pomeriggio stanno dalla nonna che gli compra tutti i giochi, e gli prepara il panino con la Nutella, quelli con i soldi, quelli con la mamma che li accompagna a scuola, gli ravvia i capelli e li bacia sulla fronte. Odio loro e odio me.
Per fortuna il pomeriggio, dopo i compiti possiamo stare ai giardinetti. Io e Marco siamo diventati amici anche fuori da scuola, lui non mi invita mai a casa sua, ed io nemmeno a casa mia, però stiamo sempre insieme. Alle volte lui scende con le stampelle ed i tutori alle gambe, ma ultimamente ci ha rinunciato, mi ha confidato che non gli piacciono, gli fanno male. Io penso che non li metta perché a scuola viene preso in giro anche lui, lo chiamano "paralitico" o  "gambe di ferro", lui come me non piange, è forte, ma so benissimo che nel petto gli si forma un buco nero enorme.
Io, Marco, Daniela, Letizia e Giovanni giochiamo spesso insieme, o andiamo insieme dal prestinaio o dal droghiere a fare delle commissioni per le nostre madri. Adoro giocare a nascondino, Marco si nasconde con me, io spingo la sua carrozzina correndo, stando attenta che sua madre non si affacci al balcone, altrimenti rimprovera me e fa salire lui, ho una vita doppia mentre corro alla tana, io corro per lui e mi piace farlo.

La scuola sta per finire, non so se sarò promossa, Marco e Daniela dicono di sì, a me non importa. L'unica volta che mio padre è andato a parlare con l'insegnante, le ha detto che poteva picchiarmi se lo riteneva giusto. E figurati se quella se lo faceva dire due volte.
Io penso all'estate, a quando andremo in piscina con l'oratorio,  penso a quando andremo al parco a rubare le pannocchie, o quando andremo a caccia di more e lamponi, e penso a Marco.

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