Ricordo 4 sei anni: ben arrivata estate

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Agosto 1977. La scuola è finita da più di un mese, sono stata promossa. Con i miei amici nel pomeriggio si va in oratorio. Soffro di vertigini e l'altalena non la reggo, però c'è il seggiolino per due, noi lo chiamiamo così, ci si siede una di fronte all'altra, ci si tiene con le mani ad un manubrio, i piedi si poggiano su due tubi di acciaio consumati dal calpestio che fanno da pedaliera; il mio sedile, come quello di una bicicletta che ha perso l'imbottitura è scomodo da impazzire, una spinge e l'altra va indietro volando in alto e viceversa e la sensazione di libertà è indescrivibile, mi sento come un gabbiano o almeno credo che i gabbiani si sentano come me. Saremmo dovuti andare alla Scarioni, una piscina comunale in Viale Suzzani, non molto lontano da dove abitiamo, ma ci sono dei nuvoloni che preannunciano pioggia quindi è tutto rimandato alla prossima settimana.
Marco in piscina non viene mai, ma già che siamo rimasti in oratorio sono tornata indietro a prenderlo. Mi dice che non vuole venire, gli fa male la schiena, così restiamo ai giardinetti a parlare, io seduta su una panchina e lui accanto a me. Mi piace stare con lui, mi sento a casa. Lui mi ascolta sempre, ascolta tutte le cose che ho da dire, mi interrompe solo per farmi domande, ed io gli racconto molte storie, le storie che nessuno vuole ascoltare, lui ride ed io con lui.

Fa molto caldo, il sole sembra si sia nascosto dietro a delle nuvole minacciose, mia madre mi chiama dalla finestra, é ora di cena, Marco mi accompagna. Mentre percorriamo il vialetto comincia a piovere, i giardinetti sono deserti, sono scappati tutti come formiche, l' afa mi toglie il respiro e la pioggia sulla pelle mi schiaffeggia dolcemente. Adesso siamo discretamente bagnati, sento l'aria sulle braccia e sul viso, mi fermo e mi tolgo le scarpe, resto a piedi nudi, Marco ride, mi guarda e dice - anche io!- adesso siamo entrambi senza scarpe, non posso fare a meno di notare che i piedi di Marco sono gonfi e rossi, faccio finta di non vedere, lui però si è accorto del mio sguardo e per un momento sembra rabbuiarsi, così lo distraggo e comincio a ballare, a saltare, e a girare su me stessa. Allargo le braccia, con il capo rivolto all'indietro, la bocca aperta a sorseggiare le grosse gocce di pioggia, mentre mi impegno in giravolte vertiginose. Lui fa altrettanto ma con un braccio solo, con l'altro gira la sedia a rotelle, adesso giriamo insieme, io prendo i manubri della sedia e giro con lui. Sento il vento, assaporo l'acqua che batte sulla mia lingua e sul palato, sento la sua voce che ride insieme alla mia, sento l'odore di zolfo che mi toglie il respiro, ed ho l'assoluta certezza, che questo momento di gioia nessuno potrà portarcelo via.
Entrando in casa faccio finta di niente e cerco di infilarmi nel bagno, mamma mi ha vista e purtroppo anche Edo, che mi blocca davanti alla porta del bagno ed urla a mio padre
-Mely è tornata in ritardo, stava in giardino con "gambe di ferro", ed è tutta bagnata!-
gli rispondo
- sei cattivo, perché lo chiami così? Perché glielo hai detto? lo sai che adesso mi picchia- non faccio in tempo a dirlo, che sento un dolore fortissimo ad una gamba, un dolore assordante, terribile, mio padre mi ha già preso un braccio, io mi butto in terra ma lui continua a picchiarmi con una grossa paletta di legno. Gli chiedo scusa, gli dico
- scusa papi! basta papà ! ti prego! mi fai male!-
lui non mi sente, e mentre mi picchia dice che sono pazza, che la mia testa non sta bene, dice che lui mi farà tornare normale. Lo guardo negli occhi ma non è più lui, ed io mi perdo nel suo odio e nel mio dolore.

A letto senza cena ma non è un problema, mia mamma entra in camera e mi porta un bicchiere di latte ed una fetta di pane, mi dice di mangiare velocemente così lui non mi vedrà. Io trangugio tutto anche se non ho fame, anche se la bocca dello stomaco mi fa male. Mi dice anche che Edo si è beccato due sberloni da Pietro. Non so perché ma questa cosa non mi lascia più contenta.
Il sonno arriva presto, ma durante la notte mi sveglio, ho fatto un brutto sogno, non me lo ricordo ma c'era topolino con i denti da vampiro. Mi alzo e mi accorgo che mi fa male tutto, le gambe, le braccia, la schiena. Sotto la camicia da notte passo le mani su ogni punto, e su ognuno sento la pelle che brucia ancora ed i solchi che la forma del legno ha lasciato su di me, sembrano piccoli quaderni rettangolari. Chiedo a Gi se posso dormire nel letto con lei, ma non vuole, dice che fa caldo, dice di rimettermi a dormire. Non ci riesco. Vado in bagno e tornando mi fermo davanti alla porta della camera di Paolo e Pietro che è semi aperta. Noi femmine non possiamo andare nella camera dei maschi, è una regola scritta, però entro ugualmente. Dormono entrambi, mi avvicino a Pietro e con la mano gli picchietto dolcemente sulla spalla, lui apre gli occhi, mi guarda
- però domani mattina devi andare in camera tua prima che si svegli Paolo-
Adesso sono accucciata tra le sue braccia, odora di dopobarba al pino silvestre, prima di addormentarmi a voce bassa mi chiede
- senti ancora male?-
- si!-
- vedrai che domani ogni colpo brucerà di meno, spunteranno i lividi, e dopo un po' non sentirai più niente-
Io annuisco
-hai fatto un brutto sogno?-
-si!-
-ti va di raccontarmelo?-
-mica tanto-
-ti piace stare con Marco?-
Non rispondo, ho paura di dirlo non so perché, ma ho paura.
- è simpatico, anche a me piacerebbe avere un amico come lui, solo non farti vedere da Edo, e soprattutto non fare tardi per la cena, torna a casa prima che rientri nostro padre, e mi raccomando, quando piove, cerca di non tornare fradicia-
Io annuisco
- hai detto le preghiere questa sera prima di addormentarti?-
-no! Me ne sono dimenticata...-
-allora puoi dirne una con me se ti va-
-si!-
-Pietro!-
-dimmi!-
- esistono i mostri?
Lui ci pensa un attimo e con molta calma mi risponde
- solo quelli che decidi di fare entrare nella tua vita .-
Adesso posso dormire.

Lontano dal soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora