In aereo. Appena saliamo la mia agitazione è palpabile, ma non voglio mettere in allarme ne Lucio né tantomeno Sara. Mille pensieri ed immagini si spintonano tra i miei neuroni confusi e contrariamente a me poco agitati. Vedo mia madre nella bara, e nello stesso istante rifiuto l'immagine, fa ancora troppo male e non riesco a prepararmi (il tempo del viaggio in aereo vorrei che mi servisse proprio a questo), penso ai miei fratelli, e l'idea di rivederli tutti insieme da un lato mi attrae ma dall'altro mi angoscia. Non ci saranno tutti. Pietro è morto da dieci anni e da quando se ne è andato quel poco che c'era tra noi fratelli se ne è andato via con lui.
Ci sediamo nei posti assegnati, mio marito al finestrino, Sara in centro ed io sul corridoio.
Lucio è così elegante nel suo completo blu notte, si sfila la giacca e chiede a me di metterla nel vano bagagli sopra i nostri sedili. Io sono così stonata di passiflora che nel modo di aprirlo faccio cadere il piccolo trolley di mia figlia, e nel vellutato chiacchiericcio pre partenza mi faccio notare. Mi volto e le tre file davanti a me mi guardano sgranando gli occhi, come se davanti avessero una mucca coi calzini. Chiedo scusa (non so a chi), sistemo tutto a fatica, poi chiamo la hostes e le chiedo un bicchiere di acqua.
Lei che è buona sicuramente per farci il ghiaccio mi risponde seccata che non siamo ancora partiti. Io aspetto che suoni il segnale di allacciare le cinture e nel contempo la tengo d'occhio. Una voce in tre lingue ci informa che partiremo in ritardo per problemi alla pista (c'è un aereo bloccato). Sara continua a far dondolare le gambe ed a giocare con la sua cintura.
L'assicuro al suo sedile perché la persona davanti a noi ha già cominciato a manifestare i primi sintomi di insofferenza all'infanzia. Tiro fuori dalla mia borsa il giornalino degli animali e le chiedo se ha voglia di leggerlo, lei mi sorride e dice
- si mami grazie, me lo tengo vicino ma per il momento preferisco tenermi Pimpi e guardare il panorama con papi - siamo ancora fermi sulla pista, e penso che lei sia stupenda.
Anche io allaccio la cintura, sento ancora freddo, inclino leggermente il sedile in modo da non infastidire chi è dietro me, rintanandomi in questo modo sotto al mio cappotto leggero, ovviamente tengo ancora sottocchio la hostes. Mi rilasso solo per un momento, magari per un momento e mezzo, la verità è che parto per un sonno profondo...
Sono a casa, accovacciata nel mio angolo preferito del divano, con la coperta che mi tiene calde le gambe. La voce di Ella che canta "Over The Raimbow" mi culla dolcemente. Sogno mio padre vestito da pasticciere che mi dice
- per te niente dolci! Niente dolci! Non farmelo ripetere!
Ad un tratto , da lontano mi arriva il suono di un campanello, è la porta, così anche se con gli occhi aperti ma sempre nel sonno grido a voce alta
- chi è? -
Ma la triste verità è che sono in aereo, stiamo per partire e quel campanello era il segnale di allacciare le cinture. Sento delle risate, alla mia sinistra sempre le tre file che questa volta se la ridono, adesso hanno visto la mucca col pigiamino; nel contempo mio marito allunga il braccio verso me ed accarezzandomi il viso, sorride dicendomi
- non è nessuno amore continua a dormire!- chiudo gli occhi e sento Sara che a voce bassa dice a Lucio
- posso fare una carezza alla mamma adesso che dorme? -
Partiamo, tengo gli occhi chiusi e con tutte le mie forze stringo i braccioli del mio sedile; per un momento mi sento schiacciare contro lo schienale da una forza misteriosa, vorrei muovermi ed alzarmi ma questa mi tiene inchiodata.
Adesso siamo in aria, e mi sento leggera, come se dopo quella spinta il mio corpo non avvertisse più la gravità. Mi lascio andare...
Prima domenica di maggio del 1996, io e Giorgio sposati da un anno, siamo reduci da un concerto di Michael Bolton tenutosi la sera prima, ed io sono riuscita persino ad afferrare al volo il plettro di quest'ultimo. Un regalo per il mio anniversario di nozze.
Ci svegliamo tardi e decidiamo di passare il pomeriggio al parco; Giorgio lascia il cellulare a casa, lo usa solo per il lavoro e al parco gli sarebbe d'impaccio. Al rientro cinque messaggi nella segreteria di casa ed altri due sul suo cellulare ci mettono in allarme. Mentre Giorgio ascolta la segreteria del telefonino io aziono quella di casa. In tutti e cinque c'è Paolo; nel primo la sua voce è agitata e confusa, ci vuole parlare urgentemente, per un attimo penso ad uno scherzo, ma nel seguente dice che è accaduta una cosa a Pietro, nel successivo ... Non lo saprò mai perché mentre usciamo e scendiamo le scale chiamo Paolo con il telefonino di mio marito. Mi risponde che Pietro si trova in ospedale, " questa mattina presto è stato investito!... È cosciente ma lo sarà ancora per poco.... " . Cade la linea, Ci infiliamo in macchina e richiamo Paolo "sembrava una cosa risolvibile, una gamba ed il bacino rotti, ma nelle prime ore del pomeriggio ha avuto un emorragia interna, è entrato in sala operatoria e ne è uscito dopo un paio d'ore. Stava bene! I chirurghi credevano di aver risolto il problema tamponando la falla, lui si è persino svegliato.. Avrebbe dovuto subire un altro intervento per la gamba domani. Invece ha perso i sensi, gli hanno fatto un'altra Tac d'urgenza, ad a quanto pare l'emorragia si è ripresentata da un altra parte, ma non sanno dove. Mamma, papà e Gi stanno per atterrare a Linate, potete passare a prenderli? Edo non è ancora arrivato dall'Emilia".
Siamo di strada per l'ospedale così Giorgio mi lascia all'entrata e corre a l'aeroporto a prendere il resto della mia famiglia.
Quando entro Pietro è già intubato ma cosciente. Sua moglie Michela e Paolo sono accanto a lui. Capisco immediatamente che la situazione è grave, molto più grave di quello che già mi era sembrata al telefono.
Saluto tutti con lo sguardo mentre mi avvicino a mio fratello. Lui mi sorride, il suo viso non ha un graffio, sembra si sia appena fatto la barba, in testa ha una cuffia come quella che uso per la doccia, i suoi occhi sono un po' stanchi, mi abbozza un occhiolino e mi fa ciao con un gesto delle dita, non può parlare, il tubo gli dà fastidio, tra pochi minuti lo porteranno via. Il chirurgo parla a Michela e le dice schiettamente che non ci sono molte speranze ma faranno il possibile. Un infermiere gli inietta qualcosa nella flebo, sta per addormentarsi, gli tengo la mano ancora per un secondo. Nel tenerla mi accorgo che ha ancora i calli, nonostante non faccia più il tornitore da quindici anni. È un dirigente di una nota multinazionale, la stessa che lo aveva nelle sue file come operaio. Pietro ha trentacinque anni, è marito e padre di tre splendidi bambini, è anche attivo politicamente e socialmente... Però lui per me adesso è solo Pietro, mio fratello, il mio gigante buono, il nido che accoglieva i brutti sogni, il volto della determinazione, l'allegria, l'onestà, la gioia di vivere. Gli scosto la cuffia alla sua destra mi avvicino accarezzandogli l'orecchio e la guancia, gli sussurro due parole
-andrà tutto bene fratellone, ti aspettiamo fuori non fare il matto!-
mi allontano cedendo il posto a sua moglie prima che lo portino via.
Il resto della mia famiglia arriva in tempo per salutarlo, mentre lui ci passa davanti accompagnato da medici e macchinari. Sta dormendo non è più cosciente. Mia madre chiede se può baciarlo, i medici acconsentono. Si avvicina a lui con delicatezza, lo accarezza, lo bacia in fronte ed infine si china e gli bacia la mano.
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Lontano dal sole
Ficción GeneralOgni cosa che vivi corre il rischio di scappare via. È anche vero che a volte il ricordo porta dolore. Non puoi nasconderti, in ogni caso lui ti troverà, ma per quel dolore non vale la pena di stare lontano dal sole